Cu2O 1 parte
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Cu2O

CAPITOLO 1

 

Ogni piccola città ha segreti inconfessabili. Biella tiene nascosti anche quelli confessabili. Ma un cadavere mai trovato è un buon argomento di pettegolezzo.

Cinquantamila abitanti mal contati, Biella è una città piemontese a una ventina di chilometri dal lago di Viverone, diventato la riviera degli operai e dei pendolari dopo che la motorizzazione di massa ha squalificato i bagni nel fiume Cervo e nel torrente Oropa.

Le valli biellesi sono chiuse, senza sbocco. Nessuno passa da Biella per andare in qualche altro posto. Non si transita, ci si va e basta. E se non piace si torna indietro.

Ma tornano indietro in pochi. Come dicono al Circolo Sociale, il circolo più "in" della città, qui l’oro corre a torrenti per le strade e anche se stai fermo sui marciapiedi t’impolveri le scarpe.

Però è raro che qualcuno resti fermo a Biella: si lavora, a testa bassa, ricchi e poveri. I biellesi sono democratici, amano l’understatement e l’unica cosa che ostentano sono i camini, ma solo perché lo disse un poeta.

Tuttavia una divisione netta separa chi ha i soldi da chi non li ha. E per soldi, s’intendono davvero i soldi. Tanti.

 

Walter Bassani è uno che i soldi li ha perché è figlio di suo padre e nipote di suo nonno: tre generazioni di commercianti in lana. Il vello di miliardi di pecore australiane è passato dalla loro famiglia. Il giovane Walter è l’antitesi del biellese classico: arrogante, smanioso di apparire, convinto che l’avere soldi gli dia il diritto di violare ogni legge, civile e morale. Rappresenta il peggio dell’ultima generazione, quella che, tradendo il rigore dei padri, ha ceduto alla volgare ostentazione del denaro.

Il tramonto sul lago di Viverone è struggente con i monti intorno che sembrano cupe sentinelle intorno a uno stagno.

L’acqua è immota e rossa come sangue. Una piccola barca a remi dondola a un chilometro dai moli dell’imbarcadero di Anzasco, che si intravedono nella foschia che aleggia a strati sul lago deserto.

Sopra la barca, Walter ride, le mani sui remi. Di fronte a sé, in mezzo al piatto nulla tutt’intorno, c’è Olga Olivieri, la sua ragazza dai bei capelli rame stretti a formare una lunga coda sulla schiena.

Potrebbe essere una situazione romantica e struggente: la giovane coppia innamorata immersa nella pace del lago.

Ma Walter ride di una risata cattiva che dà una luce fredda ai suoi occhi di un bellissimo blu intenso. Olga piange.

- E perché poi dovrebbe essere proprio mio? – le chiede Walter irridente.

Olga leva lo sguardo bagnato su quell’uomo: il suo volto virile, quelle fossette accanto alla bocca che l’hanno affascinata, ora le sembrano due brutte rughe di malvagità. Come in un effetto di morphing il volto di Walter muta accentuando volgarità e la cattiveria.

- Perché sono venuta a letto solo con te! – singhiozza con rabbia nel doloroso conflitto fra i vecchi sentimenti e le nuove emozioni.

-  Dite tutte così. Scopate come forsennate e poi cercate il fesso di turno che ci metta sopra il cappello. Con me hai sbagliato indirizzo, tesoro. Pensavi d’aver trovato il pollo? Apri le gambe e diventi miliardaria… comodo vero ? E poi c’è l’aborto. E’ legale, no? Nessuno vuole un bastardo. –

Walter si diverte. Per lui amare significa solo possedere un corpo, da padrone.

Si crede un privilegiato ed è un handicappato, incapace di vivere le grandi emozioni della vita. Non ha morale, non ha vergogne, non vibra di sensazioni profonde.

Guarda Olga come si guarda un animale della propria stalla. Walter non riesce a immaginare l’alterità delle persone. L’universo è focalizzato sul suo io, e non è un gran fuoco.

Una doccia di adrenalina fa alzare in piedi Olga e la barca dondola pericolosamente.

La donna si sente tradita, umiliata e offesa.

Vent’anni di buoni sentimenti, di educazione cristiana impartitale dalla bigotta zia Maria, la convinzione che chi ama con tutta se stessa venga sempre riamata allo stesso modo, illusa a scuola da poeti del tipo "amor che a nullo amato amar perdona", Olga è vissuta nella convinzione che il bene sia inteso nello stesso modo da tutti e che i cattivi siano dei mostri che si distinguono a prima vista.

Le parole di Walter le stando mandando in pezzi l’universo. Un groppo di emozioni scatena in lei abbaglianti cortocircuiti e Walter, l’angelo del Bene, si trasforma per un sortilegio infame, in Lucifero. Trema tutta mentre la furia si impossessa di lei.

-  Sei tu il bastardo! – gli urla Olga con una bava amara nella bocca e lo colpisce con uno schiaffo.

L’atto di lesa maestà è inaccettabile. Walter lascia i remi, si alza e colpisce a freddo Olga al ventre, con una ginocchiata.

La donna grida, reggendosi la pancia, piegata in due per il dolore. Un filo di sangue le cola lungo una gamba. Walter torna ai remi e le indica quel sangue con un sorriso cinico:

-  Ecco risolto il problema, se eri incinta, adesso non lo sei più! –

Olga ansima, si tiene il ventre. Guarda quel sangue che le è arrivato al ginocchio. Resta immobile per alcuni secondi, piegata dalla sconfitta, poi si scaglia, imprevedibile e tremenda, contro il Male.

Walter, colto di sorpresa, cerca di scansarla. La barca si rovescia e i due cadono in acqua.

Walter annaspa. Olga riaffiora e nuota raggiungendo la barca con tre bracciate. Walter beve e starnazza, affiorando e sparendo sotto il pelo dell’acqua, gli occhi strabuzzati, pieni di terrore.

-  Lo sai che non so nuotare! Aiutami! – dice con affanno.

Olga si aggrappa alla poppa rovesciata della barca, calma il respiro e guarda Walter che ingurgita acqua e tossisce cercando di raggiungere la prua dell’imbarcazione. Si agita in modo scomposto e poco producente.

- Non fare la stronza! Dammi una mano…ti pago, dai… ti regalo… ti regalo la spider… ti rrr…- ma va di nuovo sotto. Riaffiora paonazzo, a bocca aperta, i muscoli del torace contratti ma senza riuscire a prendere aria.

Anche in pericolo di morte, Walter crede che la salvezza stia nel suo denaro.

Olga lo guarda senza espressione, reggendosi alla barca, poi si sdraia sull’acqua, di dorso.

Walter tenta di aggrapparsi alla prua. Le unghie della mano non fanno presa sul legno viscido, scivolano e Olga con un calcio nell’acqua scosta la barca di qualche centimetro.

L’uomo sente i muscoli farsi rigidi e freddi, sente le dita perdere sensibilità. Si sbraccia, arriva a toccare di nuovo la barca e di nuovo Olga gliel’allontana.

La speranza si fa disperazione, consapevolezza di morte. Torna sott’acqua, scalcia per emergere. Sente la coscienza affievolirsi.

I polmoni bruciano e sono pesanti, ogni respiro è un colpo di tosse con rigurgito. Intravede, nell’appannarsi della vista, l’implacabile immobilità di Olga.

Questo gli dà una frustata di rabbia e riuscirebbe ad abbrancare la prua se Olga non battesse un altro colpo di piede nell’acqua e non gliela allontanasse del poco che basta per mandare a vuoto il suo tentativo disperato.

Walter vomita acqua e schiuma, sommerso dalle onde che egli stesso provoca, rantolando, con l’aria che trae dai suoi polmoni un rumore di bolle:

-  Ti do un miliard…- riesce ancora a sillabare e l’onda gli porta la prua sotto la mano che si contrae ad artiglio ma non trova nulla su cui far presa perchè Olga, con tranquilla crudeltà, sciacqua col piede nell’acqua e gliel’allontana di altri dieci centimetri.

Walter emette un suono rauco. Beve, va sotto, riaffiora, e l’ultima cosa che vede, sfocata, nella notte che gli invade la mente, è Olga, quella miserabile senza un soldo, che lo fissa, sdraiata sull’acqua, una mano poggiata sulla barca in atteggiamento da padrona. Quella donna povera che vivrà mentre lui miliardario muore.

Vorrebbe distruggerla, farla a pezzi come faceva da bambino con le bambole, ma ormai sa di avere perduto. Si tende ancora nel tentativo di afferrare quella prua che gli appare immensa e lontana. Stavolta Olga potrebbe anche non intervenire, ma gliela scosta lo stesso, gliel’allontana per rendergli evidente che non ha speranza.

-  Tro…ia…- riesce a gorgogliare Walter prima di affondare nel gorgo che lui stesso ha creato con il suo agitarsi.

Olga resta immobile a guardare l’acqua che si richiude su di lui. La sagoma del corpo di Walter sparisce nella profondità liquida colorata di rosso dal sole che sparisce dietro le montagne. Poi prende a nuotare sul dorso muovendo ritmicamente i piedi, reggendosi alla poppa della barca.

Il corpo di Walter riemerge davanti a lei come un macabro tappo spinto in su da una colonna di bolle. Le cornee bianche, rivoltate, ruotano e per un orribile momento Olga rivede quello sguardo blu che fino a ieri amava con tutta se stessa. Ora è un blu spento, uno sguardo alieno dall’aldilà, lungo e tragico, poi Walter affonda per sempre, la bocca spalancata come per una risata macabra, mentre anche il giorno si spegne nel viola della sera.

In un ultimo gorgo di bolle, la sagoma di quel corpo svanisce verso il fondo. L’acqua del lago diventa buia.

 

CAPITOLO 2

 

La morte di Walter Bassani ha messo a rumore la città.

Sarà stato davvero un incidente? Non ci sono testimoni, Olga è stata trovata, quando già era buio, dal guardiano dello Yacht Club, svenuta, bagnata e infreddolita, riversa sulla barca rovesciata che il vento della notte ha fatto incagliare fra le canne dietro al molo.

L’hanno ricoverata all’ospedale e le hanno fatto un raschiamento all’utero.

Non si è ancora del tutto ripresa dall’anestesia, quando nella penombra della stanza, un’ombra si muove verso di lei. E’ un ragazzo biondo, sui vent’anni, che si china a scrutare il viso pallido della donna, in contrasto violento col rosso dei capelli, sparsi sul cuscino come un’aureola.

Olga socchiude gli occhi, quasi avvertisse la presenza di quella faccia a pochi centimetri dalla sua, ma poi li richiude. Il ragazzo le soffia in un orecchio poche parole, dense di un odio maligno:

-  Troia, non la farai franca…. Tu hai ammazzato mio fratello e te la farò pagare… mi senti? Non la farai franca, hai affogato mio fratello e io t’ammazzerò o pagherò qualcuno per farti ammazzare… mi senti vero, maledetta troia? Io lo so che non è stato un incidente… Walter ti voleva scaricare e tu l’hai ucciso… -

Olga, ancora sotto gli effetti dell’anestesia, geme, forse qualcosa capisce.

La mano energica di un infermiere afferra il ragazzo per una spalla e lo strattona all’indietro:

-  Lei che fa qui? Non si può stare… se ne vada. –

Marco, fratello minore di Walter, obbedisce senza protestare. Si volta e se ne va, incrociando il commissario Bocca che si avvicina parlando col chirurgo.

Per l’interrogatorio deve attendere. L’operazione è andata bene ma la donna è ancora sotto shock.

-  La ragazza sa che il Bassani è morto? Sì, insomma che non è stato trovato il corpo? – chiede Bocca.

-  Sì, lo sa. Ha chiesto di lui prima dell’intervento e glielo abbiamo detto. Lo sa.-

-  E come l’ha presa?- Il medico si stringe nelle spalle:

-  Ha pianto. Credo commissario che dovrà aspettare qualche giorno per avere da lei un racconto sensato di quanto è accaduto. –

Il commissario si munge il labbro inferiore e poi si rassegna a seguire il consiglio. La famiglia Bassani ha già detto che si tratta di disgrazia e quindi sarebbe inutile andare in cerca di colpevoli.

Meme Perrier e Ramona Coppa sono le due grandi amiche di Olga, già sue compagne di scuola al liceo, note in città per essere un terzetto molto affiatato.

Sono tutte e tre carine e appena fuori dall’adolescenza, nello splendore dell’età più generosa per la grazia femminile: Olga la rossa, Meme la bionda e Ramona la bruna. Portano tutt’e tre i capelli a coda di cavallo, quasi un segno di appartenenza. Una meglio dell’altra, sempre insieme e difficilmente abbordabili.

Quando Olga esce dalla narcosi i primi volti che vede sono quelli di Ramona e di Meme, sorridenti, affettuosi, interrogativi. Olga scoppia a piangere. Meme le serra le mani fra le sue:

-  E’ stata una brutta disgrazia… un orribile disgrazia… però devi farti forza. –

-  Ci siamo sempre noi. Ti saremo ancora più vicine. – aggiunge Ramona.

Olga singhiozza e attira a sé le due amiche in un lungo commovente abbraccio a tre. Sussurra con difficoltà:

- Ho perso il mio bambino… - Ramona si irrigidisce e si stacca dall’amica:

-  Eri incinta …. di Walter? – Olga chiude gli occhi, già esausta per quelle poche parole e volta via la faccia in un moto di vergogna.

Ramona tira Meme in disparte: lei lo sapeva? Meme fa di sì col capo, imbarazzata:

-  Me l’aveva detto Walter, domenica. Però, a sentir lui, il bambino non era suo…

-  Che bastardo! – sussurra Ramona – Walter, nominandolo da vivo, era un gran figlio di puttana. – Meme dichiara seria:

-  Confermo. Conosco anche la madre. – Ramona sorride ma ha gli occhi umidi di lacrime.

Quando Olga, una settimana dopo, si presenta al commissariato per riferire sulla "disgrazia", è calma. Porta i capelli a chignon sull’alto della testa, pettinatura che esalta il suo collo. Ha riacquistato sicurezza e racconta una versione di comodo. Dice che la barca si è rovesciata per un suo movimento sbagliato e che Walter purtroppo non sapeva nuotare.

-  Non ricordo più quello è successo dopo. Sono andata a fondo e quando sono riemersa mi sono aggrappata alla barca rovesciata. Ma Walter non c’era più… non c’era più… stava venendo buio e ho creduto di moire. Poi mi sono svegliata all’ospedale. –

-  Capisco – dice Bocca – dev’essere stato orribile. Mi scusi la domanda, ma … il bambino che ha perduto era di… del signor Bassani? –

-  Sì. – ammette Olga chinando la testa con imbarazzo – Walter era così felice di diventare padre… ci saremmo sposati presto. - sospira, tornando a levare lo sguardo negli occhi del commissario che la sta scrutando con sospetto professionale.

-  Posso sapere come vi eravate conosciuti?-

-  A una mostra di quadri. Io dipingo. E Walter si interessava di pittura e diceva di essere un buon critico. Diceva che i miei quadri erano… comunicativi. Sì, diceva proprio "comunicativi" -

Bocca sospira: che può fare un commissario di polizia in casi come questo? Deve prendere per buona l’unica testimonianza che c’è, anche se in città molti mormorano che Walter non avrebbe mai sposato una come Olga Olivieri, orfana di operai e senza un soldo.

Dopo la "disgrazia", a casa della zia Maria che l’ha allevata da quando Olga è rimasta orfana, regna una gelida cortesia e un compassionevole disprezzo.

La zia Maria è una vecchia bigotta e la notizia che Olga era incinta senza matrimonio la fa molto soffrire, specie per i pettegolezzi cittadini.

Non che ai biellesi importi più di tanto del matrimonio, ormai molti giovani vanno a vivere insieme senza formalità e il sindaco e il parroco "possono anche andare a spanare meliga", come dicono loro. Ma la storia del ricco Walter che ha messo incinta la povera Olga stuzzica il pettegolezzo: è un classico che ha avuto però un finale inusuale.

Di solito storie così finiscono in una clinica in Svizzera con una boutique per la deflorata. Ufficialmente deflorata perché a Biella, cul-de-sac industriale del Piemonte, le ragazzine hanno da molti decenni libere esperienze sessuali intorno ai 15 anni, età minima per entrare nei giganteschi rumorosi saloni pieni di telai e filatoi. Ironicamente la schiavitù del proletariato del diciannovesimo secolo ha dato il via alla liberazione sessuale.

La vecchia zia Maria si sente una buona cristiana perché porta la colazione a letto alla nipote ancora convalescente soffocando il desiderio di rinfacciarle la colpa, ma le fa capire che per placare lo "scandalo" sarebbe meglio che se ne andasse da Biella, per un po’.

La donna ha un rapporto diretto con la icona di Padre Pio. Parla col vecchio frate come se fosse stata a letto con lui, con ammiccante confidenza.

-  Sai, Pio… - la sente sussurrare Olga la sera stessa – Noi sappiamo come vanno queste cose tra i giovani di oggi! Le femmine poi sono le più porche. Noi ci siamo frustati per placare le voglie, eh Pio? Cacciavamo via il demonio che ci voleva fott…. Beh, insomma che ci voleva. Ma le ragazze, oggi, sono tutte troie, Pio, tutte troie… e le stigmate gli vengono dove dico io, Pio, dove dico io…-

 

"Tro…ia…" è stata anche l’ultima parola di Walter. Olga la risente gorgogliata nella strozza dell’acqua del lago e di notte spesso si sveglia sudata con l’immagine di quel volto, un tempo amato con passione totale, che sparisce nel buio della profondità melmosa del lago.

"Tro…ia…" gli ripete negli incubi il cadavere enfio d’acqua, mezzo mangiato dai pesci e avvolto da viscide alghe.

"Tro-ia" gli sillaba senza voce ma con chiaro movimento delle labbra Marco Bassani quando la incrocia in via Italia, la strada dello struscio.

Col passare dei giorni Olga sente affiorare il rimorso. Cerca di dirsi che non è stato un vero delitto, lei non ha colpito, non ha ucciso. Ma è un dialogo interiore destinato alla sconfitta. La voglia di scappare, di andare in un posto dove nessuno possa guardarla con occhi che sanno e che si abbassano non appena la vedono, diventa impellente.

Fuggire da Biella e dalle sue ridotte ipocrisie. Ma fuggire dove? La soluzione arriva una mattina, col postino. Porta una cartolina da Firenze, dove il figlio di un fratello di sua madre è andato a vivere da qualche mese.

Un cugino mai visto e a cui Olga non ha alcuna intenzione di rivolgersi, ma qualcosa alla brava zia Maria bisogna pur dire. La vecchia non chiede oltre, ben lieta di levarsi di torno la svergognata.

Olga parte senza salutare le amiche. Al primo cambio di treno, a Santhià, chiama sul cellulare Meme e le dice della sua decisione: spera di restare a Firenze per un paio di mesi, o forse di più, dipende.

Arrivata a Milano telefona a Ramona e la sua determinazione è già minore: starà a Firenze un mese, forse meno, chissà.

A Biella il pettegolezzo regge per due settimane, poi terroristi arabi si fanno scoppiare da qualche parte e si parla d’altro.

Ma per alcuni giorni Olga è al centro dell’attenzione. Qualcuno dice che è andata a fare la puttana a Firenze perché alla storia del cugino nessuno crede.

Nominandolo da vivo, poi, Walter era un gran puttaniere… - dichiara con la saggezza che proviene dall’esperienza una vecchia madama al bar Ferrua -…nominandolo da vivo ovviamente.-

Al Circolo Commerciale, Meme fa quasi a botte con la moglie di un avvocato per difendere l’amica e sventola una cartolina col Davide di Michelangelo, firmata da Olga, ricevuta in mattinata. Olga dice di stare bene, di avere dipinto due quadri e di avere trovato una galleria che li espone.

I quadri… - ironizza la signora pescando una carta dal mazzo della canasta in corso - chissà che cosa mette in mostra la nostra brava Olga… -

-  Olga è una persona onesta e se Walter aveva approfittato di lei significa solo che era un porco! – esclama Meme con calore.

-  Nominandolo da vivo… - commenta un’altra signora compunta, obbedendo all’ipocrisia del perbenismo.

La moglie dell’avvocato sorride serafica, con faccia da schiaffi, fissandola al di sopra degli occhiali di marca con montatura in tartaruga.

-  Ah già, voi due eravate proprio amiche amiche amiche…. Giorno e notte? –

Devono trattenere Meme che si lancia per strappare i capelli grigi della malalingua.

L’amicizia tra Meme e Olga è sempre stata molto stretta, intima nel senso di condividere pensieri e prime esperienze. Persino affettuosa e condita di carezze e bacetti, ma lesbica mai. Meme ha sofferto che Olga le abbia tenuto segreta la maternità incipiente. Non si è ancora spiegata perché se ne sia andata senza abbracciarla, senza piangere sulla sua spalla, senza farsi confortare.

Ogni volta che Meme la pensa sente un bizzarro miscuglio di emozioni positive e negative: c’è il risentimento e l’incomprensione dell’amica del cuore che si vede tradita, ma anche l’apprensione e l’empatia di chi immagina lo sconvolgimento e il dolore che Olga ha provato. Per allontanare i pensieri negativi e scusare il suo comportamento, Meme si convince che l’amica sia ancora distrutta per la perdita del bambino e la morte di Walter.

Meme proviene da una famiglia agiata. Orfana di madre, vive con il padre, uomo stimato in città, consulente della Banca Sella, noto per la sua incorruttibilità. E’ iscritta alla facoltà di Biologia dell’università di Torino ma non frequenta e infatti ha dato un solo esame. Lavora da quasi un anno all’INAIL di Biella ed è contenta di quel suo impiego, un po’ noioso, ma che le permette di avere molto tempo per sé. Recentemente si è impegnata nella difesa delle cosidette "morti bianche", ossia gli incidenti sul lavoro per colpa delle scarse dotazioni di sicurezza attuate dagli imprenditori. Anche nel biellese molti operai sono extracomunitari, a volte clandestini. Tra la gente si è diffusa l’idea che questi nuovi venuti, brutti e sporchi siano per lo più anche cattivi. E quando ne muore uno non fa l’effetto che muoia una persona, ma qualcosa di meno.

Alla domenica, però, tutti a messa a onorare un ebreo palestinese che i romani inchiodarono su una croce perché predicava la fratellanza universale e malediceva i ricchi. Nessuno nota l’incongruenza: il rito è vuota routine.

Grazie ai telefonini e alle e-mail, i rapporti con Olga si sono ristabiliti ma qualcosa non suona più come prima. Si è incrinato quel legame un po’ misterioso che si stabilisce tra gli adolescenti, fatto di complicità e di sogni condivisi, di accese discussioni su nulla e su tutto condito da risatine all’unisono le cui motivazioni sono note solo al gruppo. Un po’ di freddezza si estende anche ai rapporti fra Meme e Ramona. La mancanza di Olga ha spezzato l’incanto che teneva unito il trio e le due "superstiti" evitano di incontrarsi per non dover affrontare quel mutamento. Evitano così anche di ammettere questo disagio.

Pure lo struscio delle diciotto lungo via Italia, fatto in due, non è la stessa cosa, perché i saluti e le occhiate dei conoscenti che si incrociano più volte nel passeggio, suonano falsi. Meme e Ramona avvertono che i sospetti che si sono addensati su Olga hanno offuscato anche la loro rispettabilità: sono in molti a pensare che loro due sappiano più di quel che dicono.

- …né più ti ricordi i colloqui tenuti con "guidogozzano"…- termina Bernardo, l’ex-compagno di scuola di Ramona, unico biellese romantico cresciuto fuori posto nella città del tessile, che legge alla ragazza poesie per sfogare il suo trasporto tutto spirituale verso di lei . Chiude il libro e la guarda: sarebbe il momento di una carezza, un bacio.

- Saputo niente di Olga? – chiede invece per rompere il disagio. Ramona sospira e lo congeda.

- No. E’ a Firenze, da un cugino…-

Il giovanotto se ne va coi "Colloqui" stretti nella mano sudata, odiandosi per la domanda che non voleva fare e col cuore in tumulto: mio cuore monello giocondo… Povero Gozzano, chi lo intende più nel terzo millennio?

 

CAPITOLO 3

Firenze annega in una luce dorata che dà magia ai suoi monumenti.

Olga guarda la magnificenza di quel tramonto fiorentino, affacciata a una porta a vetri, su un piccolo terrazzo, incorniciato da vasi fioriti. E’ avvolta in una vestaglia di seta nera, i lunghi capelli rossi sciolti sulle spalle.

L’ultimo raggio di sole si spegne sul campanile di Giotto che svetta oltre i tetti, aldilà dello slargo che si apre davanti alla casa e gioca sul suo volto mentre un colpo di vento fa gonfiare le tende e le scompiglia i capelli. La donna ha un brivido. Il tramonto trascolora nella sera.

Chiude la finestra e rientra nell’appartamento dove gli antichi tramezzi sono stati eliminati e l’ambiente ha l’aspetto di un loft newyorkese: un unico grande salone, a volta alta, con un arredo moderno che contrasta con due panconi trecenteschi.

Olga attraversa il salone ingombro di tele bianche e dipinte. Si ferma davanti a una di esse, ancora sul cavalletto, coperta da un drappo nero.

Leva la mano per toglierlo ma si ferma. Esita come se quella stoffa nera celasse qualcosa di odioso. Fa un passo indietro, abbracciandosi per calmare un brivido di angoscia.

Forse dovrebbe distruggerlo quel quadro. Lo ha dipinto in un momento di depressione, ma adesso è passata. Non tanto però da trovare la forza per disfarsene. Forse domani.

Sale la grande scala di legno lucido che porta a un soppalco dove c’è la zona notte.

Si leva la vestaglia e la getta sul letto. Nuda e bellissima si raccoglie i capelli sulla nuca e li ferma con una forcina, poi prende un accappatoio bianco ed entra nella sala da bagno.

La porta a vetri nel salone sbatte. Olga si affaccia sulla balconata. Nervosa, si infila l’accappatoio, attenta a captare qualche altro rumore. Un passo.

- Sei tu? – chiede, ma nessuno le risponde.

La portafinestra è socchiusa e il vento della sera muove le tende. Olga scende, a piedi scalzi, e la chiude. Guarda fuori: sta venendo buio.

Alle sue spalle qualcosa cigola.

Si volta di scatto e vede l’anta di un armadio a muro che oscilla.

Corre a spalancare l’armadio. I cardini si lamentano per l’attrito. Olga afferra una bracciata di vecchi giornali, li butta a terra e scopre un borsone di tela verde a doppi manici di cuoio. Lo tira fuori e lo apre, facendo scorrere la lunga cerniera: dentro ci sono decine di mazzette di banconote da 100 dollari. Olga ne prende una e la accarezza con un gesto sensuale. La sfoglia tra le dita, odorandola come fosse un fiore.

Rimette il denaro nella borsa, richiude la lampo e sistema la borsa al suo posto, nascondendola di nuovo con i vecchi giornali. Chiude bene anche l’armadio dando un giro di chiave.

Torna di sopra e rientra nel bagno. Accende la luce, accosta la porta di vetro smerigliato e apre l’acqua per riempire la vasca. Di tanto in tanto si ferma ad ascoltare il silenzio.

Ora che le ombre della notte si addensano nella casa, l’unica fonte di chiarore sui quadri del salone proviene dalla porta a vetri del bagno.

In un gioco di ombre e di luci si intravede la sagoma di un volto oltre i vetri della portafinestra, una faccia che si schiaccia contro i vetri per spiare l’interno, deformandosi.

E’ solo una macchia chiara, non si capisce neppure se è di uomo o di donna.

Olga, nel bagno, si sta limando le unghie. La mano destra poggiata sul piano della toilette e la sinistra che muove la lima con perizia. Al suo anulare destro porta una fascetta d’oro larga un centimetro su cui è scritto in smalto blu "Cu2O".

Alle sue spalle l’acqua sta scrosciando nella vasca ormai quasi piena.

Olga posa la limetta e, con una certa fatica, si sfila l’anello. Lo rigira fra le dita con un sorriso: quanta spensieratezza, quanta allegria aveva simboleggiato un tempo quell’anello! Le ritornano in mente le facce di Meme e di Ramona, le vede scuotere i capelli a coda di cavallo, ammiccare e ridere. Hanno diviso tutto per anni, dalla fanciullezza fino all’adolescenza, i primi turbamenti, i primi segreti. E anche i compagni di scuola: grande classe quella quinta del Bona.

Olga posa l’anello sul piano del lavabo: a Biella "Bona" vuol dire l’istituto Eugenio Bona dove ci si diploma in perizia commerciale.

Biella è stato un nido, un piccolo mondo caldo. E lei ha perso tutto: amore e amicizia.

- Il passato è passato. - tenta di consolarsi a mezza voce.

Sospira e si alza. Si leva l’accappatoio riapparendo in tutta la sua splendente nudità che controlla nel grande specchio a muro ricavandone un senso di euforia.

Bella com’è non può che avere un radioso futuro.

Chiude l’acqua e il cessare dello scroscio le permette di sentire un cigolio che ricorda quello delle ante dell’armadio in cui è nascosta la borsa col denaro.

Si gela e ascolta, poi afferra un paio di forbici ed esce dal bagno camminando in punta di piedi.

Si sporge appena dalla ringhiera del soppalco per controllare sotto: ma nell’oscurità del salone tutto è immobile e l’armadio ha le ante chiuse.

CLICK! Un suono secco, uno scatto metallico. Forse una finestra.

Nuda, i lunghi capelli rossi sciolti fin sul seno, scende di nuovo la scala e si inoltra nel salone buio. Si ferma vicino al quadro coperto dal drappo nero. Tutto è silenzio e Olga non s’avvede che la serratura a catenaccio della porta di ingresso va indietro di una tacca, stavolta senza rumore.

La donna scosta il panno che copre il quadro sul cavalletto, ma poi lo lascia ricadere: non se la sente proprio di guardarlo.

Torna a salire le scale mentre il catenaccio della porta si apre del tutto, scivolando silenzioso sull’ultimo scatto.

Olga si tira dietro la porta del bagno, posa le forbici ed entra nella vasca d’acqua tiepida, rilassandosi. Chiude gli occhi ma un movimento porta l’acqua a lambirle le labbra. Si tira su contro la vasca, ansimando: il lago, Walter, l’acqua in quella bocca spalancata…

- Tro…ia.- Quella parola orrenda e immeritata.

Al piano di sotto, la porta di ingresso si socchiude e fa capolino un uomo di mezza età, con occhi grigi e acquosi ombreggiati dall’ala di un borsalino fuori moda. Recupera la chiave con cui ha aperto la porta e se la mette in tasca.

Guarda a destra e a sinistra spiando la penombra del salone.

Si ferma, allarmato: c’è un’ombra umana accanto al quadro coperto dalla tela nera. Sembra una statua ma poi l’ombra leva un braccio e l’uomo vede che la sua mano guantata impugna un’ascia. Si ritrae e richiude quasi del tutto l’uscio mentre l’ombra si muove verso la scala di legno come un fantasma che scivoli sul pavimento.

Uno scalino scricchiola dando peso a quell’ombra e Olga, ancora immersa nell’acqua della vasca, volta la testa verso la porta: ma non ci sono altri rumori.

L’uomo dal cappello riapre un poco di più l’uscio e vede che l’ombra si è fermata davanti al bagno. Ora si staglia bene in controluce: una figura dalla corporatura media, vestita di nero.

L’uomo vede apparire Olga sulla soglia, illuminata da dietro, fermarsi davanti a quella figura inquietante: il contrasto è violento, così viva e carnale Olga nella sua nudità stillante acqua, e così funerea e lugubre l’altra. Si fronteggiano per un tempo che gli sembra lungo. Poi Olga indietreggia ed esce dalla sua visuale, ma l’uomo non osa muoversi. Sente una voce chiedere:

-  Quando l’hai saputo...? - E un’altra voce, bassa e profonda, rispondere:

-  Dal primo giorno. –

-  Perché lo fai? –

-  Per soldi. –

L’ascia si solleva e la lama riflette la luce. Olga urla e l’aggressore colpisce con violenza.

L’uomo col cappello segue la colluttazione attraverso il muoversi delle ombre che si stagliano dietro il vetro smerigliato che poi un colpo d’ascia manda in frantumi.

Attraverso il vetro rotto vede Olga, ferita al volto, strappare l’ascia dalle mani dell’aggressore e sollevarla cercando di colpire a sua volta. Le due figure si avvinghiano ed escono dalla cornice spezzata del vetro rotto, rotolando sul pavimento.

Poi l’ascia, con la lama sporca di sangue, riappare alta, nel buco del vetro spezzato, per calare in basso con forza omicida. Un tonfo sordo, come quello che si sente in macelleria. Poi silenzio.

L’uomo col cappello domina un tic che gli fa tremare le palpebre, strizzandosi gli occhi con le dita.

Sente ancora pochi gemiti rauchi e ansimi rabbiosi, mescolati insieme, quelli dell’assassino e quello della vittima, poi qualcuno butta l’ascia dal soppalco e l’attrezzo termina con clangore sul pavimento del salone, proprio davanti la porta d’ingresso. La lama è imbrattata di tessuto cerebrale.

L’uomo che ha assistito al delitto ha un conato di vomito mentre gli suona il cellulare che porta nella tasca della giacca. Accosta l’uscio ed esce in fretta dalla casa. Si allontana nello slargo poco illuminato da due fanali giallastri e risponde in affanno:

-  Pronto…

-  Berta…?-

-  Sì, sono io….. lo so, lo so, ma non posso entrare adesso. E’ successo qualcosa di tremendo. Non posso dirlo al telefono. -

Berta si leva il borsalino per asciugarsi il sudore freddo che ha bagnato i suoi capelli grigi.

Da fuori la villetta è buia, con la sola luce che proviene dalla finestrella alta, quella del bagno.

L’uomo si passa il fazzoletto sul viso e guarda l’orologio: sono le undici e mezza.

Non è mai stato un eroe e lo sa. Gli sarebbe piaciuto essere un duro ma quando le cose si mettono male sente un’acquerugiola calda colargli nell’incavo delle ginocchia. Che colpa ha se in qualche parte del genoma gli manca il gene del coraggio?

Pensieri confusi, non tutti consciamente avvertiti, si affastellano nella testa di Berta che si avvicina al fuoristrada da città che ha parcheggiato sul lato opposto della piazza, cercando di non perdere mai di vista la casa del delitto.

Pigia il telecomando e l’auto ha un breve lampeggio di riconoscimento. Berta sale e avvia il motore. Sposta la vettura davanti alla casa di Olga, nella confluenza delle strade, in modo da poterne controllare porte e finestre e aspetta. Si riempie la pipa, cercando di riordinare i pensieri.

Chi può avere aggredito la pittrice con un’ascia? Certo qualcuno che sapeva dei soldi: in quel giro criminale i killer non mancano.

Il fumo azzurro della pipa è più aromatico di quello delle sigarette e si possono fare dei bellissimi anelli. Berta socchiude le labbra a "O" e ne disegna un paio niente male che si allargano nell’aria quieta, infrangendosi contro il cristallo del parabrezza.

Chissà se Livia, la moglie, ne sa nulla di quell’omicidio. Berta sospira sentendosi gravare addosso quel pensiero. Livia sarebbe capace di tanto? L’esitazione è già in se stessa una condanna. Non si ricorda più perché l’ha sposata. Una sfida forse, per metterla sotto, quella donna arrogante. Uno dei suoi tanti stupidi sbagli da ominicchio.

La città dorme. Passa un taxi, poi un bus notturno.

Berta è sempre chiuso in macchina, gli occhi fissi sulla villetta del delitto, depresso dai suoi pensieri.

Tre ragazzi sghignazzano in un vicolo, poi se ne vanno. Berta svuota la pipa spenta fuori dal finestrino: lui non è mai stato allegro come quei bastardelli.

Ora è tutto silenzio.

Passano lentissime le ore e Berta fatica a rimanere sveglio: sono le tre del mattino ma l’assassino non è uscito, almeno non dalla porta. Le finestre sono rimaste buie, tranne quella del bagno.

Berta si decide. Esce dall’auto e si avvicina alla porta della casa: è ancora socchiusa come lui l’ha lasciata.

Spinge l’uscio con cautela: dentro, il salone è buio. Resta per qualche minuto sulla soglia per abituare l’occhio all’oscurità: per quel che può vedere il pavimento accanto al grande quadro sul cavalletto è pulito, l’ascia non c’è più, non ci sono tracce di sangue, non c’è più neppure il telo che copriva il quadro.

Il silenzio della casa lo conforta e decide di osare. Allunga una mano e gira un interruttore che sta sul muro accanto all’uscio. Si accendono cinque punti luce. Uno è centrato sul quadro.

La luce gioca sulla tela rendendo fosforescenti le figure dipinte: pesanti pennellate creano una quinta di capelli rossi stillanti sangue, oltre cui un cadavere putrido, gonfio d’acqua, galleggia in un universo buio. Il petto del morto è segnato da un’incisione, come fatta da un pugnale in quella carne morta. Si legge: "Cu2O".

Berta si avvicina affascinato: sul dipinto, accanto al corpo dell’uomo in disfacimento galleggia il corpicino di un neonato anch’esso gonfio come una vescica ma trasparente e rosato come una medusa e anch’esso ha quella scritta sanguinante incisa sul petto. Sembra la maligna formula di una strega cattiva: "Cu2O".

Chissà che vuol dire. Il quadro è possente, angoscioso, comunica orrore e disperazione come "L’Urlo" di Munch.

Berta ha l’occhio allenato alla pittura, commercia in quadri, per hobby, anche se ama soprattutto le giovani pittrici.

Si scuote e va all’armadio. Getta a terra il pacco di vecchi giornali: la borsa coi soldi è ancora là. Berta la prende con mani cupide.

Si inginocchia, apre la zip del borsone e fa passare le mani sulle mazzette dei dollari. Stavolta è lui il vincente! Stavolta se ne fregherà di tutti e scapperà con quei soldi… ci sono dei paradisi per i milionari…

Richiude la zip e solleva la borsa.

Si rialza ansimando. Si passa il fazzoletto sul volto e si accorge di avere un tremito alle mani. Si ferma la destra con la sinistra, poi alza lo sguardo al bagno illuminato. I frantumi del vetro smerigliato sono sparsi sul pavimento ma tutto è silenzio. Sale verso quella luce e si affaccia nel bagno convinto di vedere un corpo a pezzi. Invece la stanza è vuota. La vasca è ancora colma d’acqua, forbici e limetta per le unghie sono poggiate sul piano della toilette.

Tutto lindo e pulito senza alcuna macchia di sangue. Berta ha un attacco di panico.

-  Olga…. – balbetta, poi urla isterico – Olgaaaaaa! –

Nessuno risponde. Berta scappa via come se avesse visto all’opera il diavolo. Fugge col borsone pieno di soldi e non si ferma finché non è di nuovo seduto nel suo fuoristrada con le sicure ben chiuse.

 

CAPITOLO 4

 

A Biella la vita è quella di sempre. Lavoro, lavoro, lavoro e pettegolezzi. Olga è partita da quasi un mese e la città spettegola su una villetta di Cossila, sulla strada per Oropa, dove pare avvenissero degli scambi di coppie.

Per un’intera settimana Meme e Ramona non si sono viste, non si sono telefonate. E’ Ramona a rompere quel ghiaccio cattivo che si sta formando fra loro due, invitando Meme da Ferrua per una cioccolata con panna. Ramona è eccitata, ha ricevuto una rosa da uno sconosciuto che le ha dato appuntamento in quel bar e preferisce che ci sia anche l’amica del cuore.

L’ora dell’appuntamento trascorre senza che nessun uomo si faccia vivo e Meme sente il disagio del sospetto che la sua Ramona si sia inventata una bugia per incontrarla.

Il dialogo si fa rado e poi finiscono per parlare di Olga che non ha più telefonato.

- A me non risponde più neppure alle e-mail. A te? – chiede Ramona.

Meme scuote la testa: anche il cellulare è sempre staccato.

-  L’ultima volta che mi ha risposto mi ha dato un nuovo indirizzo. Le ho scritto una lettera ma è tornata indietro col timbro "destinatario sconosciuto". –Ah. Non me l’avevi detto – Meme è preoccupata - Allora dev’essere successo qualcosa. Probabilmente qualcosa di brutto. Forse dovremmo chiedere alla zia, magari ha notizie.–

Ramona si stringe nelle spalle:

-  Che vuoi che le sia capitato? Lontan dagli occhi, lontan dal cuore. A me è successo col Gegio, un mese a Parigi e…-

Meme non ricambia il sorriso: loro tre avevano giurato di dividere ogni cosa come i Tre Moschettieri. Quella disgrazia sul lago ha rovinato tutto.

- Hai rotto definitivamente ?- chiede Meme. Ramona fa di sì tre volte con la testa.

-  Sembravi innamorata. -

-  Mh.Mh. Ma mi ha chiesto di sposarlo. –

-  Ma dài!? E quando? –

-  Ieri. Così l’ho piantato. Io voglio sposare un miliardario. -

-  Giovane, bello, intelligente e ricchissimo! – precisa Meme.

-  Bella, giovane e intelligente son già io. Lui basta che sia ricchissimo.

-  Stai scherzando?-

-  Neanche un po’. L’amore passa e i soldi restano. -

- Allora, il povero Bernardo che ti legge Gozzano? – Ramona scrolla le spalle:

-  Quello è un pirla. -

Meme ride e per un momento tornano ad essere le due compagne di scuola di sempre.

- Quello della rosa ti ha dato buca. – dice Meme controllando l’ora sullo Swatch arcobaleno che ha al polso.

- Forse due donne gli sono sembrate troppe. – Ramona si alza. Meme termina di bere la sua cioccolata e propone:

-  Sai che facciamo? Andiamo adesso dalla zia di Olga. –

-  La bigotta? Okay, andiamo.-

La zia Maria misura con uno sguardo critico Meme e Ramona, aguzzando gli occhi, con disapprovazione evidente, sul brillantino che Meme porta incastonato in una narice. Non le invita neppure a sedere. Dà un’occhiata di complicità all’icona di Padre Pio e sospira: Olga a lei non ha mai scritto e non ha neppure l’indirizzo di quel cugino fiorentino presso il quale la nipote si sarebbe recata, poi giunge le mani davanti all’immagine del santo e conclude con "Caro Pio, sia fatta la volontà di Dio".

A Meme e a Ramona la volontà di dio non basta e decidono di muovere le loro volontà personali. Ramona è furibonda contro la vecchia.

-  Come si fa ad essere così stupidi? Quella davvero crede che quel frate morto possa ascoltarla…-

- Forse diventando vecchi si diventa fragili – commenta Meme più accomodante e aggiunge decisa - Senti, si va a Firenze e la si cerca. -

-  Tu dici? Non è che siamo un po’ paranoiche ? Magari Olga si sta solo divertendo…-

Meme ha una smorfia di ostinazione e scuote i capelli a coda di cavallo che gli danno un’aria sbarazzina.

-  Se è così andiamo a dirle stronza e torniamo a casa. –

- Ok! Andiamo a dirle stronza allora…- sbuffa Ramona che conosce l’ostinazione invincibile dell’amica quando si ficca in testa una cosa.

Meme ottiene dal direttore le due settimane di ferie che non ha fatto in agosto ed è pronta a partire. Suo padre non è affatto d’accordo, anche lui preferirebbe che Meme si dimenticasse di Olga dopo il fattaccio sul lago. Non insiste però, conosce la figlia è sa quanto sia ostinata quando prende una decisione.

Ramona non lavora, è figlia del commercialista Ermenegildo Perrier, soprannominato "Trecolli" per la sua bravura nel falsificare i bilanci delle aziende e far eludere le tasse. I "tre colli" del nomignolo sono quelli di bottiglia attraverso cui bisogna passare per una buona elusione: un paio di società off-shore per far lievitare i costi, la creazione di fondi neri per ungere qualche ruota e un buon commercialista di fiducia.

Ramona non ha un dialogo col padre, sempre preso dai suoi affari, e anche con la madre Margherita non c’è rispondenza. La donna è al traguardo dei cinquant’anni e lotta contro la frustrazione del tempo che passa e quella dello scalino sociale che il marito sembra da anni sul punto di superare per mettersi alla pari con i grandi industriali del tessile che serve da sempre e che invece non riesce a salire.

Ha tentato anche con la politica ed è stato eletto al Comune, ma a Biella i politici non sono stimati affatto e quelli che contano sostengono che si fa prima corrompere un politico che non a occuparsene in prima persona.

I soldi non mancano in casa di Ramona eppure è come se fossero poveri, esclusi dal gotha locale.

La ragazza si limita a comunicare che partirà per Firenze e nessuno le chiede perché, tranne Gegio, che si dispera senza capire come sia possibile che il loro amore, che credeva per la vita, possa essere finito nel momento in cui le ha chiesto di sposarlo.

Ramona frequenta ogni tanto la facoltà di Matematica e Fisica di Torino, ha dato sei esami con voti non esaltanti e procede verso la laurea senza alcuna fretta e

nessun particolare desiderio di arrivarci.

L’idea di andare a cercare Olga non la entusiasma, ma dopotutto un paio di settimane a Firenze sono una bella vacanza e a Meme non può dire di no .

E’ anche un modo per sfuggire agli appostamenti di Gegio che non si è ancora rassegnato alla rottura.

 

CAPITOLO 5

 

Il pendolino entra nella stazione di Firenze e si ferma con una lunga frenata morbida a pochi metri dai respingenti in fondo ai binari.

I passeggeri scendono impattando col caldo della giornata primaverile ancora freschi di aria condizionata.

Un bulletto si volta e modula un breve fischio alle spalle di Meme e Ramona: le gambe perfette della prima visibili nello spacco della gonna mentre cammina e le natiche tonde come mele di Ramona fasciate dai pantaloni elastici che ne sottolineano le piacevoli curve, sono proprio da fischio.

Le due giovani donne dondolano per il ritmico spostarsi del peso dei grappoli di borse che portano a tracolla.

Ramona tiene una grossa valigia nella mano destra che la obbliga a pencolare sulla sinistra costringendo la camicetta sbottonata a una smorfia che le scopre la rotondità di una mammella fino al capezzolo.

Un ragazzo sbarra loro la strada con un gran sorriso:

O che serve una mano belle bimbe? Pure due eh? –

Ramona posa a terra la valigia e prima che Meme protesti dice d’un fiato:

- Perché no? Questa pesa una quintalata. Che c’hai messo Meme, tutti preservativi? -

Il pappagallo si sente spiazzato. Guarda Ramona e poi ridacchia, incerto. Prende il manico della valigia e la solleva con un po’ di fatica. Cerca di tenersi all’altezza:

-  E non sono neanche del tipo light…. - .

-  No, sono al gusto di melone con tutto il frutto appeso… Da qua, va! –

Ramona riprende la valigia dalla mano del giovanotto che le trotterella al fianco:

-  No, dai. T’aiuto. Non siete di Firenze, vero? –

-  No. - Meme sussurra all’amica:

-  Non rispondere o non ce lo stacchiamo più…-

Il giovanotto insiste e spara una fila di domande che terminano con quella di rito:

- E’ la prima volta che venite a Firenze? Vi posso fare da guida…-

Ramona gli dà un’occhiata divertita: è già stata una volta a Firenze, da bambina con la mamma, ma non si sono fermate molto perché erano dirette a Roma per vedere il Papa. Meme sibila a Ramona:

Se dai troppa confidenza, qui il Papa te lo fan vedere tutti…-

-  A me il Papa piace un sacco…. – ride Ramona e Meme fa una faccia fintamente scandalizzata. Il giovanotto non molla e le scorta fino al taxi tentando invano di farsi dare l’indirizzo o il numero del cellulare.

Il tassista aiuta Ramona e Meme a sistemare le borse e la valigia in macchina e poi torna al volante:

Dove andiamo? – Ramona dà un’occhiata divertita al pappagallo che allunga il collo per sentire e dice a voce alta:

-  Via Felice Mastronzo -

Il tassista sogghigna e ingrana la marcia avviando l’auto e lasciando il giovanotto sul marciapiede in procinto di annotarsi l’indirizzo orecchiato. Realizza con un po’ di ritardo e grida dietro al taxi colorite imprecazioni toscane.

Il tassista sbircia ironico nello specchietto retrovisore: può ripetere l’indirizzo? Non ha afferrato bene. Risponde Meme con un sorriso:

- Via di Santa Maria. -

Pochi minuti dopo il taxi si ferma in una strada stretta, chiusa tra antichi palazzotti medievali, davanti al portoncino di una pensione.

Ramona dà un’occhiata all’edificio, mentre scaricano le borse e la valigia.

- A Firenze è tutto bello. Ma questo sembra un gran buco…- sogghigna Ramona. Meme la ammonisce:

-  Attenta a come parli! Pare che ci abbia dormito il Machiavelli… almeno così diceva Olga… - poi al tassista - Quant’è? –

Pagato il taxi, le due donne entrano nell’androne stretto e in penombra della casa. Ramona annusa l’aria:

-  Machiavelli eh? Speriamo che da allora abbiano cambiato le lenzuola…-

Meme ride e si avvia su per la stretta scala di pietra. In quella casa-pensione ha abitato Olga, appena arrivata a Firenze.

La rampa di scale sfocia in un ampio pianerottolo dove un tavolo fa da bancone del check-in. Salendo gli ultimi gradini la prima cosa che vedono Meme e Ramona è una grande boccia con dei pesci rossi che fa da lente deformante al volto pacioccone di Beatrice, una simpatica donna sulla quarantina che accoglie le clienti con grandi sorrisi. Si presenta:

- Io son Beatrice. Come dice il Poeta? io son Beatrice che vi faccio andare!… e venire! - ride della propria battuta e le invita a posare i bagagli e le accompagna nel loro appartamento.

Meme si attarda ad ammirare i pesci rossi che la guardano boccheggiando da dietro il vetro e Beatrice spiega:

‘Un è che non amo i cani e i gatti, pe’ carità. Ma vuoi mettere i pesci? Stanno al loro posto, non dicono mai una parola e non si ubriacano mai. –

-  Perché? I cani e i gatti invece… -

-  No, mica dicevo di loro, dicevo dei mariti…-

Meme si avvia lungo il corridoio.

La porta di uno degli appartamenti si apre e appare il volto brufoloso di uno spilungone adolescente che spia la camminata della donna. Le gambe di Meme aprono e chiudono lo spacco della gonna. L’inserviente socchiude gli occhi immaginando un piacere proibito. Beatrice si volta e lo fulmina con un’occhiataccia, poi gli indica i bagagli delle nuove arrivate e dice con voce piena di significato, chiaro solo a loro due:

Ovvìa Manettone, lascia la manetta e prendi i bagagli delle signore! –

Beatrice apre una delle vecchie porte del corridoio che prende luce da una finestrella sul fondo e fa strada, attraversando un piccola anticamera, buia fino ad un’ampia stanza da letto.

-  Come vedete qui siete disbrigate, come foste a casa vostra… con la vostra chiave e tutto.-

Spalanca le gelosie della porta che dà su un balcone che si affaccia in un cortile a pozzo. La stanza è dominata da un lettone matrimoniale in ferro battuto decorato con amorini in madreperla. Beatrice si guarda intorno compiaciuta e dice con il suo forte accento fiorentino:

-  ‘Un fo pe’ vantarmi ma qui c’ha dormito il Machiavelli, signorine mie… ‘Un so se mi spiego! Machiavelli! Il bagno è di qua e ditemi se ‘un vi garba: gli è la vasca, la doccia, il bidè… e voi, di dove siete?-

Anche il bagno è ampio, ammobiliato con arredi in ferro smaltato, vecchi di qualche decennio.

-  Di Biella, signora. Siamo amiche di Olga, gliel’avevo detto al telefono, non ricorda? – la sollecita Meme. Beatrice si stringe nelle spalle e continua - Biella eh? Si usa il bidè a Biella? –

-  Certo che sì. – risponde Meme.

-  No, perché ho avuto certi inglesi che non sapevano manco che fosse… e l’avete sentito il savoietto, dico il principino Filiberto? Manco lui lo usa il bidè… tale principe tale popolo come diceva il Machiavelli… oh, occhio alla tazza che l’ha l’asse imbottito, va bene che con le femminucce non serve l’avviso ma i maschietti ci pisciano sopra e ‘un l’è carino… oh, giacchè se né parlato, qui maschietti e droga nisba, intesi? - Meme ripete serissima:

-  Nisba! -

Ramona solleva le coperte e controlla le lenzuola:

-  Sono quelle del Machiavelli, signora Beatrice? –

-  Certo! ..‘un l’abbiamo più lavate da allora… - afferma orgogliosa la padrona della pensione.

Meme le dà un’occhiata divertita e si sfila la camicetta :

-  E qui nel frigo vi ci ho messo uno spumantino di benvenuto… ditemi se ‘un vi garba!? -

-  Ci garba, ci garba, grazie. Io faccio subito una doccia… c’è l’acqua calda? –

-  C’è ma ‘un serve mica, col caldo che fa è uno spreco… -

Entra Manettone con le borse e la valigia e resta a guardare Meme semispogliata, le sue spalle abbronzate e ben tornite, il seno perfetto offerto da un reggiseno di pizzo balconé che sottolinea il sex-appeal e nasconde nulla.

-  Poggia pure a terra, poi ci pensiamo noi. Grazie – dice Ramona e allunga una moneta da due euro al ragazzo che la prende ciondolando e spostando il peso da un piede all’altro, gli occhi fissi su Meme.

Beatrice dà un colpo di tosse, Manettone si scuote e mette la valigia su un panchetto a fianco del comò. Beatrice gli fa un imperioso cenno di uscire e l’inserviente obbedisce.

-  Come ha detto che si chiama il ragazzo? – si informa Ramona. Beatrice
sogghigna con aria complice e le fa l’occhietto:

-  Speriamo che sia solo l’età. Basta che veda una donna e se lo mena. A scuola lo chiamavano Pugnettone. Noi lo chiamiamo Manettone, e quando lo fa troppo spesso ci mettiamo pure la "s" del plurale. Come ha fatto una signora inglese che lo eccitava tanto… – Ramona sorride consolatoria:

-  Non si preoccupi. Anche Leopardi pare che non facesse altro. -

-  Ah sì? Però Manettone scrive solo bischerate . – commenta Beatrice mentre

sprimaccia i guanciali - Il letto gli è per una luna di miele, bello, ampio, comodo, collaudato… il mi’ Dante dice che il banco da lavoro ha da essere adeguato alla bisogna… però se volete lo si può dividere in due lettini…per due pulzelle gli è meglio forse… eh? -

-  No, non importa… vero Meme?- Ramona è divertita dalla parlata toscana di Beatrice che pare abbia sposato un Dante.

Meme si spoglia del tutto e apre l’acqua della doccia, ne testa la temperatura con la mano, poi apre la manopola dell’acqua calda.

-  Il letto va benissimo com’è.-

-  Allora si lascia tutto così. Oh… di cognome come fate…? ce l’avevo qui ma…

Beatrice si fruga nelle tasche della vestaglia che le fascia il corpo generoso.

Meme si infila nuda sotto la doccia. Il getto freddo la investe e le fa mancare il fiato:

-  Acc…. È gelata! – Si affaccia nel bagno la faccia rubizza di Beatrice:

-  Gliel’ho detto che è uno spreco. Se vuole l’acqua calda tocca che accende il boiler no? Ma col caldo che fa … - poi si volta verso Ramona e ripete:

-  O poi mi date un documento. Mica per me, per quei rompicoglioni del Turismo.-

-  Io mi chiamo Coppa e lei Perrier, come l’acqua minerale… una coppa di Perrier…- dice Ramona.

-  Lasciate stare l’acqua minerale che qui s’ha un Chianti da far lacrimare Bacco. Di poi, non per sapere gli affari vostri, ma quanto pensate di fermarvi? Sapete, c’è un monte di gente che la viene a Firenze per una settimana e ‘un se ne va via più…- Ramona apre la valigia per mettere la roba nei cassetti del comò.

- Un paio di settimane. Siamo amiche di Olga Olivieri. E’ stata qui un mese fa. Anche lei di Biella … Se la ricorda? Capelli rossi fino a mezza schiena con l’hobby della pittura… -

Beatrice corruga la fronte per lo sforzo mnemonico, poi si rischiara e dice storcendo la bocca:

-  A sì. Quella un po’ strana. Anche nel pagare il conto… - Meme si affaccia,
stillante d’acqua dalla porta del bagno

-  Cioè? - Beatrice fa un gesto vago e poi si stringe nelle spalle:

-  Cioè niente. Gli è che sono chiacchierona. Me lo dice sempre Dante mio che a me la lingua non vien mai "tremando muta".-

Meme si fa dare un accappatoio da Ramona da una delle borse, poi dice guardando Beatrice:

- Vorremmo tanto trovarla. Olga, dico. Sono giorni che non risponde più al telefonino.-

-  Ah! I telefonini…Sono trappole! Ve lo immaginate l’Alighieri col cellulare?

Beatrice mi ami? E quanto mi ami? Addio Divina Commedia…- Ramona interviene:

-  Olga ci aveva dato un altro indirizzo, ma la lettera che le abbiamo scritto è stata respinta: destinatario sconosciuto.- Beatrice alza le spalle:

-  A volte pure le poste… eh? Questo governo aveva promesso mare e monti e invece manco ‘olline… E ‘ome sarebbe quest’altro indirizzo?-

Ramona apre una borsetta e prende un’agendina elettronica. Schiaccia alcuni tasti e legge:

-  Via dei Serragli 12…-

-  E oltr’Arno ma non è lontano. Fateci un salto, no?- Esce scuotendo la testa, si ferma sulla soglia e fa l’occhietto a Ramona:

-  Olga è una bella ragazza. Avrà trovato qualcuno che l’ha portata a vedere le bellezze d’Italia. – Ramona alza la voce affinché Meme possa sentire:

-  Hai sentito, Meme? Che dici, Papa compreso?- Beatrice, che non sa dello scherzo fra le due donne, dice con entusiasmo:

-  E perché no? Anche il Papa fa parte dello spettacolo. - Meme esce dal bagno con indosso l’accappatoio, i lunghi capelli bagnati davanti viso e dice a Beatrice

-  Signora, ha detto che era strana. Olga non è strana, solo che le è successa una brutta disgrazia. Le è morto il fidanzato. -

Beatrice soffia come un gatto, torna dentro la stanza di un passo e fa una faccia addolorata:

-  Mi dispiace. L’ho detto che parlo troppo. Io credevo che fosse un po’ fumata. Ha affittato per una settimana, però è rimasta due ed è scappata via senza pagare ma poi è tornata e mi dato mille dollari anche se me ne doveva solo la metà… chissà perché dollari poi, se era di Biella, vi pare?

-  Mille dollari? – esclama Ramona sorpresa - Allora davvero deve avere trovato qualche americano ricco. Olga non aveva una lira…-

-  Beata lei. – commenta Beatrice tornando a metà della porta - Io l’ho dico sempre al Dante mio: se quando sei andato all’inferno ci restavi, chissà, magari io adesso ero in Paradiso…-

Beatrice se ne va e chiude l’uscio dietro di sé, però poi resta ad origliare dietro la porta chiusa. Sente le voci delle due donne che commentano quanto lei ha detto e poi la voce di Meme che conclude:

-  Firenze non è una metropoli. Se Olga è ancora qui, la troviamo.-

Beatrice si china a spiare dal buco della serratura e vede un pezzo del corpo di Ramona che si sta spogliando.

-  L’acqua era fredda fredda? – chiede all’amica.

La voce di Manettone che sale la scala fa volgere Beatrice che si drizza sulla persona:

- Bello il panorama? - Beatrice leva un dito minaccioso:

-  Tu ‘un lo fare. Capito, Manettone? Questo è l’occhio del padrone…- Beatrice si batte il polpastrello sotto l’occhio destro e il ragazzo ridacchia annuendo.

Ramona gode lo scroscio della doccia sul suo corpo statuario, rovescia la testa all’indietro per ricevere l’acqua sul volto godendone l’impatto. Meme si sta rivestendo e il cellulare di Ramona annuncia l’arrivo di un messaggio.

- Guarda un po’ chi è! – strilla Ramona da sotto la doccia. Meme controlla e sul display appare una fila di punti interrogativi. Nient’altro.

-  Chi ti manda tanti bei punti interrogativi? –

Ramona esce dal bagno avvolgendosi un asciugamano intorno al corpo.

-  Gegio. E io gli rispondo così…. – pigia un gran numero di volte sul punto esclamativo – ha cominciato con un punto interrogativo, poi con due, con tre, adesso credono che siamo quasi al massimo del telefonino.-

-  Carino, però. Vuol sapere perché l’hai piantato.-

-  Come se si potesse dire….- mugugna Ramona spedendo il suo SMS in risposta.

-  Speravo fosse di Olga. Se ha pagato in dollari, avrà venduto qualche quadro a degli americani, no? -

-  Detto in amicizia, non m’è mai piaciuto il suo modo di dipingere. A te? –

-  Alcune cose non erano male. Magari un po’ porno, ma non male.-

-  Sarà. Ha detto che aveva trovato una galleria per esporre, no? –

-  Sì, poi ci andiamo .-

 

CAPITOLO 6

La statua del David di Michelangelo, attorniata da un nugolo di turisti che lo fotografano, domina la piazza con la sua perfezione virile. Meme dà un colpetto di gomito a Ramona:

-  Ce l’ha piccolo però…- Ramona sorride:

-  Non è più quello vero… questa è una copia…-

-  Che c’entra. Se è una copia tutto sarà come nell’originale, anche il pisello…-

Ramona ride e Meme fruga nella sua borsa e tira fuori una cartolina:

-  Pare che Olga pure ne avesse trovato una copia, viva però… Te l’ho mostrata questa? Me l’ha mandata lei. Leggi. Dice che ha trovato un David tale e quale a questo ma con gli occhi blu. -

Ramona prende la cartolina dalle mani di Meme e la guarda: è la classica cartolina con il David di Michelangelo però qualcuno, con un pennarello, ha tinto di blu gli occhi della statua, e sul retro Olga ha scritto " … è come questo ma ha gli occhi blu!".

-  Non ci ha messo molto a dimenticare Walter… quando l’hai ricevuta? -

-  Una settimana fa...- risponde Meme riprendendo la cartolina. La guarda con attenzione: non c’è data e il timbro postale non è leggibile.

-  Cambiando ambiente si sarà rimessa dallo shock. Credo che ci preoccupiamo per nulla.- dice Ramona muovendo qualche passo per ammirare il Perseo del Cellini. Meme la segue e si volta per godere, con un colpo d’occhio d’insieme, della magnificenza della piazza.

- Si può restare sotto shock in un posto così? Ha ragione la fantesca: se ne sarà andata con qualcuno e di noi se ne fotte alla grande. - Ramona prende Meme per mano:

-  Non è la fantesca. Beatrice è la padrona. E allora godiamocela anche noi e lasciamo perdere Olga per un po’.-

-  Due tentativi soli e poi ci diamo ai bagordi fiorentini - Meme tira fuori una cartina di Firenze e punta un dito su piazza della Signoria .

-  Noi siamo qui…e questa è la strada in cui ci dovrebbe essere la galleria dove Olga esponeva i suoi quadri, come hai detto che era l’altro indirizzo di Olga?-

Un uomo con gli occhi blu passa in bicicletta attraverso la piazza. Pedala tirandosi dietro, al guinzaglio, un cane lupo nero.

Vede le due giovani donne, entrambe coi capelli a coda di cavallo, e sbanda. Per poco non investe un gruppetto di turisti che si interpone fra Ramona e lui.

Il cane lupo tira verso le due ragazze. Meme dà un’occhiata al ciclista, ma Ramona non ci bada. Le prende la cartina dalle mani, la rigira cercando di orizzontarsi, poi indica sulla mappa una strada al di là dell’Arno:

-  La strada è questa. Via dei Serragli. Meglio prendere un taxi. – Meme controlla l’indicazione di Ramona:

-  Non è tanto lontano, e poi camminare qui è bellissimo. Dividiamoci che facciamo prima. Tu cosa preferisci: la galleria o l’appartamento?-

Ramona alza le spalle, annoiata:

-  Meglio i quadri, Sherlock Holmes. Ci teniamo in contatto col cellulare. –

-  Elementare, Watson.- dichiara Meme e se ne va con un cenno di saluto all’amica.

Dal gruppo di turisti si stacca un uomo bruno, aitante, sui trentacinque anni, che guarda indeciso Meme e Ramona che vanno in direzioni opposte. Esita, poi lancia per aria una moneta e la riacchiappa al volo. Testa, la bionda. Croce, la bruna. Croce. Si incammina dietro a Ramona, soddisfatto.

La donna non si accorge di essere seguita e lascia la piazza con passo deciso. Aspira l’aria profumata e dolce della primavera, i muscoli agili e scattanti la inondano di endorfine facendole apprezzare l’armonia del proprio corpo. Gode di essere viva.

La galleria è composta da due grandi sale, divise da un arco sorretto da due colonne. Alle pareti sono appesi quadri di artisti contemporanei di varie scuole e anche di nessuna scuola.

Berta, col suo eterno borsalino calcato in testa, sta esaminando una tela da vicino, col naso quasi schiacciato contro il quadro su cui sono dipinti un uomo e una donna molto grassi.

Si avvicina a lui la direttrice della galleria, una donna sulla quarantina, magra, con un paio di attillatissimi pantaloni di pelle che finiscono dentro a lucidi stivaletti di coppale, e gli mormora da dietro:

-  Sembra un po’ Botero… -

Berta si volta e fissa i suoi occhi acquosi in quella della donna e sogghigna:

- Cara Carla, bisognerebbe chiedere a quello stronzo di onorevole critico, ricordi? Saranno solo dei grassoni o l’artista ha voluto dilatare i volumi? –

Carla ha una smorfia di disgusto: di questi tempi sono molti gli imbecilli osannati come geni. Berta dà un colpetto di gomito a Carla e le indica Ramona che è appena entrata nella galleria e si sta guardando intorno.

-  Bel pezzo di carne, dilatata perfettamente da madre natura…- Carla dà
un’occhiataccia a Berta accennandogli di stare zitto e si avvicina a Ramona, che gira lo sguardo sui quadri esposti senza mostrare interesse alcuno.

-  Buongiorno. Ha già qualche preferenza? –

-  No, non sono qui per i quadri…-

-  Ah. In che cosa posso esserle utile allora? –

-  Cerco una donna. – Ramona parla in tono molto asciutto, guardando dritto in faccia la direttrice della mostra che sembra subire un poco quell’approccio così diretto.

-  Interessante. Che tipo di donna? –

-  Non un tipo. Cerco Olga Olivieri. Ha esposto qui. Almeno così mi ha detto.

Berta si appoggia dietro a una delle due colonne, continuando ad ascoltare. Carla getta un’occhiata da quella parte e Ramona segue quello sguardo: la galleria sembra vuota.

Carla prende Ramona per la punta di un gomito e la porta verso il fondo della sala dove c’è un tavolo di cristallo con un computer.

-  Olga… come ha detto? –

-  Olivieri. -

-  Sì, è un nome che ho sentito. Venga che controllo…. Era una giovane coi capelli rossi? –

-  Lei. – Carla batte qualcosa sui tasti del computer e fa scorrere delle schermate.

-  Sì ecco. Olga Olivieri. Ha esposto qui tre quadri. Tutti venduti. Adesso me la ricordo benissimo. Aveva i capelli lunghi ma spesso li portava a coda di cavallo. Come lei. Un po’ fuori moda forse, no? Uh, guarda deve ancora ritirare il saldo dell’ultima vendita: 300 euro. –

-  Questo è un brutto segno. Non ha ritirato i soldi? –

-  No. Ma succede spesso. Sa, gli artisti… perché, le è successo qualcosa? –

Ramona sospira e scuote il capo

-  Spero di no ma il suo telefonino non risponde più da una settimana. E non so dov’è finita. E’ molto che non viene qui? -

Carla controlla sul computer.

-  No, non tanto. Doveva prendere i 300 euro già da venerdì l’altro. Saranno
quasi due settimane che non si fa viva. –

Berta ascolta tutto da dietro la colonna. Carla minimizza:

-  Non era di Firenze. Sarà tornata a casa. -

-  Vengo io da casa. Non è tornata. -

Carla equivoca e prende le mani di Ramona fra le sue con un gesto di condivisione della preoccupazione:

-  Oh mi dispiace. Sorella? –

-  No, solo amica. -

-  Oh, amica… molto amica se viene a Firenze solo perché non telefona da una settimana…-

Ramona si sente in bocca la battuta "cazzi miei" ma non la dice. Il contatto con Carla si fa ambiguo e imbarazzante. Ramona cerca di ritrarre le mani ma Carla le trattiene fra le sue e le volta, accarezzandole:

-  Belle mani, anche lei dipinge? –

-  No, negata completamente. –

-  Si possono fare tante cose piacevoli con mani così… - Una voce d’uomo interrompe il disagio di Ramona:

- Andiamo, cara? -

Ramona si stacca da Carla e si volta, sicura che l’uomo si stia rivolgendo alla direttrice della galleria. Ma quel bell’uomo bruno sta guardando lei con un sorriso complice e scanzonato. Ramona è ben certa di non averlo mia visto prima, eppure le risulta in qualche strano modo famigliare. Sente che con quello sconosciuto potrebbe nascere una storia.

Gli occhi neri e intelligenti ridono complici. L’uomo sta ancora giocherellando con la moneta che ha fatto carambolare in aria per decidere se seguire Meme o Ramona, poi con fare confidenziale prende la ragazza sottobraccio.

-  Facciamo tardi, tesoro… - Ramona sta al gioco.

-  Sì, certo. – poi alla direttrice della galleria - Signora… grazie. –

-  Mi chiamo Carla. Dovessi vedere Olga che le dico? Se mi lascia un suo  recapito… oppure devo telefonare a lei, signor Camilleri…- c’è una punta di sarcasmo nell’ultima domanda. Ramona lo avverte e dà un’occhiata a quei due: ci dev’essere complicità fra loro. Decide di far finta di nulla e risponde alla gallerista:

-  Io sono Ramona Coppa. Ho appena affittato un appartamento per due settimane, ma adesso non ricordo l’indirizzo. Ripasso io, oppure, ecco…- si volta verso lo sconosciuto che le tiene il braccio, usando lo stesso tono confidenziale di lui:

-  Caro, hai un pezzo di carta?-

Camilleri si fruga in tasca, tira fuori un modulo, ne strappa un pezzo che porge a Ramona. La donna scribacchia il numero del suo cellulare e lo porge a Carla.

-  Se dovesse avere notizie di Olga, per cortesia, mi chiami a questo numero.-

Ramona esce, stretta al braccio dello sconosciuto che Carla ha chiamato "signor Camilleri", il quale fa un cerimonioso ironico cenno di saluto alla gallerista.

Quando sono lontani, Berta fa capolino da dietro la colonna e Carla, irritata, gli sibila:

-  Guarda che prima o poi dovrò dirglielo al commissario. –

-  Meglio poi, e non so se ti conviene. – sogghigna Berta guardandola con quegli occhi che sembrano sempre pieni di lacrime. Va a spiare dal vetro della porta e vede Ramona e il suo nuovo cavaliere che ridono, poi svoltano in una traversa uscendo dalla sua visuale.

-  Camilleri…– osserva Ramona – Parente delle scrittore? –

- No relations. – risponde l’uomo e si inchina porgendole la mano – Lucio Camilleri, assistente sociale. – Ramona gli dà la mano mimando un settecentesco inchino muliebre :

-  Ramona, l’imbranata provinciale. –

-  Tutto puoi sembrare ma un’imbranata davvero no. –

-  Ma tu sei pagato per salvare le povere ragazze in pericolo di perversione?-

-  Esercito gratis e non a tempo pieno. E poi solo quando le ragazze in pericolo sono affascinanti. –

-  Ho capito. Latin lover diplomato? –

-  Dilettante. Qualche pregiudizio? –

-  Fuori moda, no? Come la mia coda di cavallo. –

-  Il bello non è mai fuori moda. Tutta Firenze lo testimonia da secoli. La moda è per gli imbecilli. –

-  Accidenti. Anche filosofo morale. –

-  Barbogio e pedante. Non sei la prima a dirmelo. –

-  La signora della galleria è un po’, come dire, lesbica? –

-  Carla? Chissà, attacca bottoni alle ragazze. Ma lo faccio anch’io come vedi…-

Ridono. I loro sguardi si incontrano e diventano seri. Hanno un momento di disagio. Ramona sente di essersi lasciata andare troppo e vuol tagliare corto ma Lucio la precede:

-  Ho sentito che cerchi una tizia, sei per caso una collega? –

-  Collega? Che vuoi dire? –

-  Io sono una specie di detective. –

-  Di quelli specializzati in corna e persone scomparse? –

-  Anche. –

-  No, per carità, che brutto mestiere! Sono a Firenze perché c’è venuta una mia ex compagna di scuola. Ma non riesco più a trovarla. Magari se ne sarà scappata alle Hawaii con qualche latin lover. Uno come te. –

Lucio ammette: lui è certamente un "latin" e, rare volte ahimè, anche un "lover". Ramona gli dà un’occhiata di traverso:

-  E tu cosa cerchi? –

-  Niente. Non sempre bisogna promettere le Hawai’i per agganciare una bella ragazza. -

Ramona avvicina il suo volto a quello di Lucio per guardargli bene gli occhi, oltrepassando la distanza minima che si usa mantenere tra le persone. Lucio equivoca e avvicina le sue labbra a quelle di lei. Ramona lo ferma interponendo due dita fra le loro bocche:

- No, scusa. Guardavo i tuoi occhi. Sono neri ma hanno riflessi blu.-

-  Diventano blu quando mi piace una ragazza… - Stavolta Ramona non impedisce che le labbra di Lucio sfiorino le sue. Gesto interrotto dall’esclamazione di un cascherino che pigia sui pedali di un triciclo:

-  Porcello cerca ghianda! –

Ramona guarda Lucio con aria interrogativa e lui le prende il volto fra le mani.

Filosofia plebea… - e la bacia sfiorandole la bocca.

CAPITOLO 7

 

La casa in cui Olga è stata aggredita è più triste perché nei vasi del terrazzo i fiori sono appassiti.

Meme controlla l’indirizzo, poi pigia il campanello dando il via a un accordo di campane. Ripassa a mente quel che deve dire. Non vuole sembrare una paranoica alla ricerca di un’amica che l’ha lasciata.

Nessuno apre.

Suona ancora, forse non c’è nessuno e magari è meglio così. Vista da Firenze la situazione le sembra meno seria. Sta già per andarsene quando la porta si apre con uno scatto per l’azione di un comando elettrico.

Esita, spinge l’uscio e sbircia dentro: nel grande loft c’è un tavolo pieno di colori e di pennelli, ci sono quadri e tele bianche. Il cavalletto da pittore, posto da un lato, è vuoto.

-  Posso entrare? – chiede Meme e le risponde una voce maschile proveniente dal soppalco.

- Metti sul tavolo! Scendo subito! -

Meme varca la soglia, incerta e avanza nel vasto ambiente, verso il tavolo dei colori. Una porta sbatte sul soppalco e Meme guarda in su: uscendo dal bagno, la cui porta vetri è stata riparata, appare un uomo a torso nudo che si sta abbottonando i pantaloni e che guarda imbarazzato la donna dalla balaustra.

-  Oh… scusi, credevo fosse il ragazzo della spesa….Lei non è del supermercato, vero?-

Meme scuote la testa e la sua pettinatura a coda di cavallo ondeggia seguendo il movimento.

-  No. Mi chiamo Meme Perrier e sono un’amica di Olga Olivieri. – L’uomo scende la scala andandole incontro:

-  E chi è questa Olga? Oh mi scusi, mi chiamo Giuseppe Carlino, Pepi per gli amici.–

-  Olga non abita più qui? –

-  Se dice quella che stava qui prima di me, no. Ma io non l’ho mai conosciuta.-

Carlino acchiappa un maglione e se lo infila, sentendosi così più a suo agio. Meme dà un’occhiata ai quadri.

Anche Olga dipingeva… - commenta.

Carlino si stringe nelle spalle. Guarda meglio la giovane donna che gli è entrata in casa e Meme è una figura che supera ogni esame maschile.

Carlino cambia tono e diventa più gentile. Le donne percepiscono subito questo cambiamento di voce.

-  Mi scusi, come ha detto che si chiama?-

-  Meme. Meme, che sta per Maria Luisa. –

-  Conoscevo uno che si chiamava Meme ma era un maschio.-

-  Interessante. Dicevo di Olga Olivieri, pittrice.

-  Questo posto va bene per dipingere. C’è una bella luce. La sua amica non le ha detto che se ne andava da qui? –

Meme esamina a sua volta Carlino. Come uomo non è male ma non ha fascino. Risponde in tono neutro:

-  Questo è l’ultimo indirizzo che ha dato. –

-  Forse posso aiutarla. Si accomodi, la prego. Io sono qui da pochi giorni e il padrone di casa mi ha detto che l’inquilina prima di me se n’è andata senza pagare l’affitto. Così ha preteso da me sei mesi anticipati.-

Pepi si avvicina di più, avvolgendo la donna con un sguardo di aperta ammirazione:

-  Ha mai fatto la modella? –

-  No, e lei? - Pepi ride e si tira un poco indietro. Meme lo fissa negli occhi - Non ha trovato niente di Olga? Non ha lasciato niente?-

-  C’erano dei vestiti mi pare, ma li ha portati via il padrone di casa… ah, il quadro! Un quadro quasi finito…. Vediamo un po’… l’ho messo, l’ho messo…- Pepi Carlino scartabella in un mucchio di tele appoggiate al muro e ne prende una che va a mettere sul cavalletto.

-  Eccolo qui. Mica male eh? Un po’ forte…-

Il quadro è quello angoscioso che vide Berta e che raffigura, oltre una quinta di lunghi capelli insanguinati, i cadaveri di un uomo e di un feto orrendamente gonfi d’acqua. Su entrambi i corpi è dipinta, come incisa nella carne putrida, la formula chimica "Cu2O".

Meme fa un passo indietro, colpita da quelle figure tremende: la faccia del cadavere non ha lineamenti ma i suoi occhi sono due buchi di un intenso blu. Una boccata acida le sale in gola e Meme si porta una mano davanti alla bocca. Pepi gliela ferma: all’anulare della mano destra Meme ha un anello, una fascetta d’oro su cui, in smalto blu, si legge "Cu2O".

-  Cu2O! Come sul quadro… Che diavolo vuol dire? – chiede incuriosito l’uomo.

Meme ha una improvvisa fretta di andarsene. Si libera dal contatto.

-  Niente. Un gioco antico tra compagne di scuola. Se Olga non si fa viva però vorrei quel quadro. –

-  Se ne può parlare. Però, lei capisce, non è mio. Discutiamone a cena, vuoi?-

Quel passaggio al tu è un invito chiarissimo, ma c’è qualcosa che non va in quell’uomo anche se i suoi occhi sono di un limpido azzurro.

"Come il David, ma con gli occhi blu", aveva scritto Olga.

No, con tutta la buona volontà quell’azzurro acqua non è blu e Olga non si confondeva sui colori. Poi quel Pepi Carlino del David di Michelangelo non ha niente. Forse il pisello…

Meme sorride al pensiero che le è affiorato in testa e Pepi lo scambia per una chance.

-  C’è un ristorantino qui dietro, famoso per le bistecche. Servono certe fiorentine da resuscitare i morti. -

-  Sono vegetariana. – mente Meme – Però guardi, se Olga si fa viva mi può trovare a questo numero. Altrimenti prima di lasciare Firenze ripasso io per il quadro. –

Pepi si affloscia, l’aggancio non è riuscito e adesso quella donna gli pare anche più bella. Nasconde la delusione, prende il biglietto della pensione che Meme gli porge e si inchina un po’ goffo:

A sua disposizione. Conosco anche un ristorante vegetariano oltrarno…-

-  Grazie. Considererò. – mente Meme che getta un'altra occhiata a quel quadro di Olga, così angoscioso, e se ne va scortata da Carlino, impettito e riverente come un direttore d’albergo che ha perso una buona cliente.

 

CAPITOLO 8

 

La Venere del Botticelli fissa nel vuoto il suo sguardo un po’ triste, come se l’essere nuda le desse disagio.

Ramona è assorta davanti al quadro poi sussurra a Lucio:

-  Quant’è bella. Assomiglia un poco a Olga, quella mia amica che dovrebbe essere qui a Firenze ma che non riusciamo a trovare… i capelli soprattutto. Tanti e rossi. –

-  Accidenti Ramona, non male come amica… quella è Venere.-

-  Lo so! Olga le assomiglia, non tanto nel viso quanto nell’atteggiamento. –

-  Questa è la nascita di Venere, vergine e pudica…-

-  Già, ma guarda, Botticelli l’ha dipinta con l’ombelico. Ti pare che Venere che nasce dal mare dovrebbe avere l’ombelico? –

Lucio la guarda sorpreso. Vero, non ci aveva mai pensato. Ramona ha ragione: quella Venere ha l’ombelico.

Berta, col solito borsalino in testa e le mani sprofondate nel suo loden, incongruo data la temperatura tiepida, scivola lungo il corridoio e sbircia appena Lucio e Ramona fermi davanti al quadro, tuttavia Lucio ne coglie il passaggio furtivo.

-  Scusa un momento… torno subito..- dice a Ramona ed esce nel corridoio.

Berta è scomparso. Lucio si affaccia nella sala attigua, la sala Leonardo, piena di visitatori, ma Berta non c’è.

Lucio prosegue fino alla Tribuna, anche qui molti i visitatori ma Berta non c’è. Ramona raggiunge Lucio, inquieta:

- Che succede? –

-  Niente. Sai come siamo noi cani da caccia… un odore… una pista…Ma mi devo essere sbagliato… -

Ramona entra nella Tribuna e si ferma davanti al ritratto di Lorenzo il Magnifico dipinto dal Vasari. Lucio, alle sue spalle, le sussurra fra i capelli:

-  Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia, chi vuol esser lieto sia, del
diman non v’ha certezza…- Ramona è affascinata dal quadro.

-  Il Vasari lo dipinse quarant’anni dopo che il Magnifico era morto. I versi di Lorenzo hanno un suono disperato se recitati davanti a questo ritratto postumo.- dice Lucio, serio.

-  Dipende da come intendi la morte. Se i viaggi nel tempo fossero possibili significherebbe che gli avvenimenti continuano ad avvenire. –

-  Relatività generale o fantascienza? – chiede ironico Lucio e Ramona scuote la testa:

-  Letture. Davvero, pare che si possa tornare indietro nel tempo. Del resto se pensi alla realtà come una realtà a quattro dimensioni non c’è niente di strano. Per trovare questo istante al palazzo degli Uffizi bisogna dare le tre coordinate spaziali e una temporale. –

-  Il famoso cronotopo…- ribatte Lucio sollevando la meraviglia di Ramona:

-  Fisica o arte? - Lucio la guarda sornione e risponde, minimizzando:

-  Letture…-

Ramona si volta di scatto sentendosi osservata: in fondo alla fuga di stanze alla sua destra, un uomo la sta fotografando.

L’uomo, vistosi scoperto, le dà le spalle e si allontana in fretta sottraendosi allo sguardo di Ramona. Lucio ha visto tutto :

-  Conosci qualcuno a Firenze? – le chiede - Oltre alla tua amica, dico… -

-  No. Però hai visto quel tizio? Mi fotografava... – Lucio alza le spalle:

-  E allora? A Firenze le cose belle si fotografano. La gente non fa altro. Che male c’è? –

-  Niente. Ma ora andiamoci a prendere un gelato. –

S’incammina rapida lungo il "cannocchiale" creato dalle sale, affacciandosi in ognuna di esse.

La prima è la sala del Perugino e del Signorelli: ci sono solo due donne.

La seconda è la sala del Duerer e c’è una coppietta che ridacchia davanti all’Adamo nudo, appeso accanto al vano porta.

La terza, detta del Giambellino e del Giorgione è vuota.

La quarta è la sala dei maestri fiamminghi e c’è una scolaresca straniera in visita che ascolta distratta la voce di un insegnante che parla inglese con un accento molto ricercato.

-  This man is unknown, probably a Florentine living in Bruges. Notice the light in the background, so tipical of Memling… This picture was for centuries assigned to Antonello da Messina…

Ramona cerca l’uomo che l’ha fotografata ma non lo trova. Lucio le cammina a fianco chiacchierando, illustrandole i vantaggi del suo appartamentino non lontano dal museo, da cui si vedono i tetti di Firenze, incuriosito però dalla sottile ansia che si è impadronita della donna.

Visti dall’alto di una collina i tetti di Firenze sono pittoreschi.

Ramona lecca un grosso cono gelato e Lucio, dal terrazzo del belvedere, guarda il panorama con uno dei cannocchiali a moneta messi a disposizione dei turisti. Ramona gli picchietta su una spalla:

-  Non ero io che dovevo vedere i tetti di Firenze? –

-  Sì, ma vuoi mettere… da casa mia li hai proprio davanti, quasi li tocchi…- scherza Lucio e lascia a Ramona il cannocchiale.

- Guarda l’Arno e la fuga dei ponti piuttosto! E’ stupendo, ma anche l’Arno dal terrazzo di casa mia è molto meglio… -

Ramona mette l’occhio al cannocchiale e lo fa scorrere in lenta panoramica sui Lungarno e sulla gente che li affolla.

Nel cerchio della lente non perfettamente a fuoco resta per un attimo centrata una figura di giovane donna con i capelli a coda di cavallo. Ramona cerca di metterla a fuoco:

- Uh che buffo… sembra Meme… la mia amica…. – Ramona si stacca dal cannocchiale e dice a Lucio - Guarda, guarda… è quella con la camicetta fucsia e con la coda di cavallo .- Lucio si piega e accosta l’occhio al cannocchiale e chiede:

- E’ quella che sta con quella rossa….?-

-  Una rossa? Quale rossa? … -

Lucio non stacca l’occhio dal cannocchiale e segue il camminare della gente sul Lungarno, facendo la cronaca:

-  Quella con la camicetta rossa che sta con quella bella ragazza dai capelli color rame, lunghi come la Venere del Botticelli… -

Ramona scosta Lucio e si china a guardare di nuovo nel cannocchiale. Cerca quella che le era sembrata Meme tra la folla del Lungarno, un po’ avanti, un po’ indietro, ma non riesce più a trovarla. Si drizza e chiede:

-  Sicuro che stesse con una ragazza dai capelli rossi?-

-  M’è parso… c’era una con una camicetta rossa che camminava insieme a un’altra che aveva dei capelli lunghi e ramati… E’ importante? -

-  La camicetta era fucsia, non rossa. Se era Meme vuol dire che ha trovato Olga!-

Prende dalla propria borsa il suo cellulare e pigia un tasto. Ascolta il messaggio "l’utente non è al momento rintracciabile" e lo ributta dentro. Alza le spalle e dice a Lucio che era come aveva sempre pensato lei. Olga se la sta godendo da qualche parte e si è dimenticata delle amiche e della piovosa Biella!

-  E fa benissimo. Perché adesso non andiamo a godercela un po’ anche noi? Ti va una cenetta con un latin lover?- Ramona ha un sorriso malizioso

- Solo se poi c’è un seguito adeguato… -

Ramona non si è mai interrogata a fondo sul perché decida di fare sesso con un certo uomo e non con un altro. La sua prima esperienza non era stata esaltante, più dolore che piacere e poi quel suo compagno di scuola era goffo e senza esperienza. Da allora le è rimasta un’ombra psicologica e solo con il Gegio si è trovata bene a letto. Peccato che sia povero e pretenda di sposarla.

Con Lucio si è stabilito subito un feeling. La diffidenza per quel suo ficcanasare e quel suo imporsi arrogante è mitigata dalla sua ironia, dalla sua intelligenza… o dall’azione chimica di qualche feromone.

Ramona non vuole dare importanza al sesso e si è divertita spesso a scandalizzare Meme e Olga sostenendo che è solo lo sfregamento di due epidermidi.

Lucio è un amante sapiente e Ramona gli si abbandona con piena voluttà, accompagnandolo con gioia nei movimenti: è quella che, nei dialoghi tra amiche, si definisce "una bella scopata".

Ramona si sente attratta da Lucio in un modo nuovo, più completo. Ha fatto l’amore con pieno sentimento: potrebbe essere questo l’inizio di quell’amore stravolgente in cui non ha mai creduto, ma si costringe alla logica: è a Firenze, è una turista, ed è andata a letto col primo uomo fiorentino attraente che ha incontrato. Sono cose che non hanno seguito.

Dopo due ore di intenso amplesso, i due amanti si prendono una pausa bevendo un bicchiere di spumante ghiacciato. Si affacciano, abbracciati e nudi, sul terrazzino della mansarda in cui vive Lucio Camilleri.

I tetti di Firenze di prima sera, con il riflesso delle luci che evidenziano scorci monumentali e il cielo rosso cupo per il morire del giorno, sono una visione emozionante. Secoli di storia e di arte hanno lasciato le loro tracce profonde in questo punto d’Italia.

La brezza della sera porta suoni di modernità ma Ramona, guardando le ombre dei passanti negli antichi vicoli, può immaginare che siano vestiti con le lunghe tuniche e i cappucci trecenteschi e che uno di loro stia meditando sul fatto di essere giunto nel mezzo del cammin di propria vita.

-  Tu sei di Firenze? – chiede Ramona.

-  Sono nato qui ma i miei sono di Agrigento, anzi il nonno era di Favara, il paese della vecchia mafia contadina. E tu?-

-  Biellese da generazioni. I nonni erano di Graglia, un paesino in mezzo alle Alpi.-

I due tacciono. Ramona sa di vivere un momento bello della vita. Non sono mai molti i minuti magici in cui ci si sente completi, come se l’immensità dell’universo entrasse a gonfiare l’anima. Sono attimi che svaniscono nel flusso del tempo, in quella misteriosa quarta dimensione, legata allo spazio e alla velocità con cui nello spazio ci si muove. Ramona lo sa ma non lo ha mai compreso. Per questo aveva scelto di studiare matematica ma si è resa conto che le risposte a questi perché non le sa nessuno. Muoversi in fretta significa invecchiare piano. Muovendosi più in fretta della velocità della luce potrebbe vedere la realtà svolgersi al rovescio e incontrare davvero Dante?

Ramona ha un brivido e Lucio la avvolge in un lenzuolo preso dal letto. Le sfiora le spalle con le labbra .

-  A che pensi? –

-  A niente. – mente Ramona , non usa condividere quel tipo di pensieri che sa estranei alla maggioranza della gente.

-  Il seguito della cena è stato adeguato?  - le chiede Lucio.

- Direi proprio di sì… - risponde Ramona e si volta offrendogli la bocca. Lucio la bacia con passione. Il lenzuolo scivola a terra. Le mani di Lucio accarezzano la schiena di Ramona e si fermano sulle sue natiche sode e rotonde. La donna si abbandona.

Nella borsa di Ramona, lasciata su una poltrona, trilla il cellulare. La donna si stacca dall’amante.

-  Scusa, devo rispondere… -

Lucio si rassegna e Ramona va a rispondere al petulante trillare del portatile. E’ Meme che vuol sapere che fine abbia fatto, dal momento che si sono lasciate nel pomeriggio e adesso sono quasi le nove. E’ anche passata dalla galleria dei quadri…

- Guarda che ti ho chiamato due volte! Sei tu che non rispondevi!-

Meme è al telefono, in camera da letto, nell’appartamentino appena affittato.

-  Il mio cellulare è a terra, però è un po’ che ti chiamo dalla pensione. Non hai mai risposto! Che stavi facendo? –

Ramona guarda Lucio che minimizza nascondendosi il sesso con una mano.

-  Cose piacevoli. Poi ti spiego. Hai trovato Olga? -

-  No. Senti, non per disturbare le cose piacevoli ma mi sembra importante. Ha chiamato uno che dice di essere il fidanzato di Olga. -

Ramona si siede sul letto, mentre Lucio si avvicina con la bottiglia di spumante chiedendole, con un cenno, se ne vuole ancora. Ramona porge il bicchiere e dice all’amica:

-  Scusa, ma tu non passeggiavi con Olga sul Lungarno qualche ora fa? –

-  Ma che dici? Ti senti bene, Ramona? -

Ramona beve un sorso dello spumante che le ha versato Lucio e allontana il cellulare per sussurrargli:

-  E’ Meme, la mia amica. Hai avuto le traveggole al cannocchiale…- poi di nuovo al telefono a Meme - Mai stata così bene. No, è che un mio amico mi aveva detto di averti visto con una coi capelli rossi e ho pensato a Olga… -

-  Un amico? Ti sei già fatta un amico? – Nella voce di Meme c’è un’incrinatura di fastidio.

- Diciamo amico. - dice Ramona facendo l’occhietto a Lucio. Beve un altro sorso di spumante.

Meme, animata da tutt’altro spirito, non apprezza i sottintesi di Ramona e diventa brusca:

-  Va bene, senti. Quello che ha chiamato ha detto di essere un certo…. ecco, Angelo Pisca. Mi ha dato appuntamento fra -  mezz’ora in un bar a Piazza della Signoria. Pare che sappia qualcosa di grave su Olga. Voglio che ci sia anche tu.-

-  E’ proprio necessario? Domani è un altro giorno… Perché non sposti l’appuntamento?-

-  Perché non mi ha lasciato il suo telefono. Per favore Ramona, tra mezz’ora davanti al pisello del David.

-  Uffa. Come vuoi. Arrivo. - Ramona chiude la conversazione e butta il cellulare nella borsa. Lucio si siede avvilito sul bordo del letto:

-  Ma devi proprio andare? –

-  Non fare quella faccia. Se avessero chiamato Giulietta nel bel mezzo di una scopata forse Romeo non sarebbe morto. –

Ramona si veste alla svelta. Lucio resta nudo a guardarla e beve lo spumante dalla bottiglia..

- Lo sai che sei uno schianto, vero? –

- Più o meno… - risponde Ramona lusingata- Ciao. - Acchiappa la borsa e corre via. Lucio protesta:

-  Guarda che hai tutto il tempo… Piazza della Signoria è a due passi… non devi mica correre… - ma già Ramona ha sbattuto la porta dell’appartamento.

Lucio sbuffa, dà un’occhiata all’orologio e poi va in terrazzo continuando a bere dalla bottiglia: come sono diventate le donne. Una scopata e via. Non c’è più religione. Meno male che c’è ancora lo spumante…

Meme è nervosa, fa su e giù davanti la statua del David, mentre i turisti di ogni etnia lo stanno lampeggiando di flash come in un temporale.

Guarda l’ora, sospira. Attraversa la piazza e va a sedersi ai tavoli di un bar senza perdere di vista il luogo dell’appuntamento.

Ramona arriva, un po’ affannata, da una strada laterale. Dà un’occhiata al pisello del David e poi cerca l’amica con lo sguardo. La vede seduta al bar, corre verso di lei e si lascia cadere sulla sedia accanto:

-  Accidenti mi sono persa. Non riuscivo più a venire fuori da quelle stradine. Una stronza mi ha detto di girare a destra e invece dovevo girare a sinistra… Non è ancora arrivato, vero?-

-  Non ancora. E’ in ritardo di dieci minuti. Eppure sembrava ansioso di incontrarmi. Voleva che andassi da lui. Mi ha anche dato il suo indirizzo. –

-  Ma il telefono no… –

- No. Ha insistito che andassi da lui. Figurati se io ci andavo, da sola… - Meme si fruga nella borsetta e tira fuori un bigliettino scribacchiato da lei.

-  Eccolo. Via della Fornace. Chissà dov’è. Così gli ho dato appuntamento qui.-

-  Hai fatto bene. Mi bevo una limonata e poi, se non viene, andiamo noi da lui. Cameriere? -

-  Sai chi è passato poco fa? Ma non mi ha visto…-

-  Chi? –

-  Marco, il fratello piccolo di Walter. Lo sai che aveva una simpatia per me… -

-  Ma dai, Marco Bassani? Quel pischello…Il mondo è piccolo…- commenta Ramona senza dare importanza e ordina la sua limonata.

Meme ordina un caffè, poi fissa l’amica con sguardo interrogativo. Ramona si distende beata sulla sedia e guarda la piazza.

-  Certo che è proprio bello qui… -

-  Specie se si trova un amico… - ammicca Meme – allora vuoi raccontare le "cose piacevoli"? – Ramona scrolla le spalle, minimizzando.

-  Niente… -

-  Lo sai che odio quelli che cominciano a parlare dicendo "niente" quando magari è capitato tutto. –

Arriva il cameriere con le ordinazioni e Ramona succhia un po’ di limonata con la cannuccia e poi ammette:

-  E sì, è proprio capitato tutto. –

-  E chi è questo fortunato ? –

-  Uno. Si chiama Lucio. –

-  Uno. E su, non fare la stronza! Come l’hai incontrato? Che fa? Chi è? Com’è? Biondo, bruno, castano, alto, basso, oppure calvo, panciuto e con una verruca sul naso? –

-  No, la verruca non ce l’ha! – ride Ramona e poi si stringe nelle spalle - E’ successo così. L’ho guardato e mi è piaciuto. –

- E l’hai preso per il bavero e ci hai fatto l’amore? – Ramona beve la limonata. Meme finisce il suo caffè.

-  Quasi. Stavo parlando con quella della galleria… ah, tra l’altro, Olga non è mai tornata a ritirare il saldo per la vendita di un quadro. –

-  Non mi pare una cosa buona. Se non è tornata nemmeno per i soldi, allora…-

-  O è morta o è diventata ricchissima! – scherza Ramona ma Meme non ride alla battuta e incita Ramona a continuare:

-  Mi stavi dicendo di quel tizio…-

-  Sì. La direttrice della galleria mi faceva il filo e questo Lucio è apparso dal nulla e mi ha tirato fuori fingendosi un mio vecchio amico. Mi ha preso sottobraccio e siamo usciti insieme. -

-  E ti ha portata a letto? –

-  Ma no! Mi ha portato agli Uffizi. Avevi mai notato che la Venere di Botticelli somiglia un poco a Olga? - Meme scuote la testa:

-  E dopo gli Uffizi ti ha portato a letto! –

-  No. Mi ha portato su un belvedere da cui si ammirava tutta Firenze. E da lì con un cannocchiale mi è sembrato di vederti camminare sul Lungarno. –

-  E’ possibile. Ci sono passata mentre tornavo da quella casa dove ha abitato Olga fino a pochi giorni fa. Adesso ci vive un altro pittore che non l’ha mai vista. Olga ha lasciato là dei vestiti e anche un quadro non finito. Orrendo tra l’altro. Non ti trovavo più e ho girato un poco. Sono capitata davanti alla Questura e sono entrata per chiedere di Olga ma non ce l’hanno sul computer. Non ne sanno niente.-

-  Già che c’eri potevi farti anche una passeggiata all’obitorio! Possibile che tu debba sempre pensare al peggio? –

-  Va bene, va bene. E poi? Che hai fatto col ganzo? –

-  L’ho portato a letto. – dice Ramona e si alza – Dov’è la strada di questo… come hai detto? Pisca? –

-  Dobbiamo prendere un taxi. Ce ne sono due o tre fermi là in fondo. – Meme guarda il biglietto del conto – Accidenti 13 e 27. Mica poco per una limonata e un caffè. – mette sul tavolo una banconota da 10 e una di 5 e si avvia con l’amica.

Seduto tre tavolini dietro a loro, un uomo brutto, corpulento, dagli occhi porcini, abbassa il giornale, che non poteva leggere alla luce giallastra dei lampioni, e le segue con lo sguardo. Quando sono abbastanza lontane, si alza e le segue.

Meme e Ramona attraversano la piazza e salgono su uno dei taxi che subito parte, mentre l’uomo dagli occhi porcini si siede al volante dell’ultimo taxi della fila. Avvia e si mette sulla scia del primo.

 

CAPITOLO 9

 

Il taxi di Ramona e Meme si ferma avanti a un casamento ottocentesco e le due ragazze scendono. Ramona dice al tassista di aspettarle.

Il taxi inseguitore accosta un po’ più in là mentre Meme controlla il numero civico del palazzo piuttosto malandato.

Il tassista dagli occhi porcini svolta a destra e, appena dietro l’angolo, si ferma , spegne le luci e resta anche lui in attesa.

Meme pigia sul campanello con la scritta "ANGELO PISCA". Risponde il "click" del portoncino che si apre.

Le due giovani donne si scambiano un’occhiata. Meme entra per prima.

Le scale sono buie. Ramona le passa davanti e si incammina su per la prima rampa e Meme dietro, guardinga.

Sono arrivate al primo piano quando sentono il rumore del portoncino d’ingresso che si richiude. Meme guarda Ramona con apprensione..

Ramona fa una smorfia di fastidio, controlla la targhetta che sta sulla porta del pianerottolo del primo piano, poi indica a Meme che devono ancora salire.

Si avvia verso il secondo piano e Meme dietro, sbirciando su per le scale: ma c’è solo ombra e silenzio e puzza di chiuso.

Al secondo piano ci sono due porte. Ramona si avvicina a una di esse per leggere la targa e Meme all’altra.

-  E’ qui… - dice Meme a bassa voce indicando la targhetta sull’uscio.

-  E allora suona… perché parli piano? -

-  Non lo so… - sussurra Meme, poi ripete a voce più alta ma non più ferma – Non lo so. -

Pigia il campanello. Si sente il gracchiare di una vecchia suoneria a cui segue il latrato di un cane. Meme suona di nuovo.

Dal basso arriva il suono di un respiro rauco, asmatico, angoscioso. Ramona si affaccia a guardare nella tromba buia delle scale: qualcuno sta salendo, respirando a fatica. Una mano guantata si aggrappa al mancorrente ed appare, nel giro della rampa, un uomo anziano con un’ascia in spalla e la coppola sugli occhi. Ramona si irrigidisce . Meme, da dietro, occhieggia spaventata.

L’uomo sale, uno scalino alla volta, poi alza la faccia per guardare le due ragazze e strizza gli occhi per metterle meglio a fuoco. Si passa l’ascia sull’altra spalla, movimento che fa sobbalzare Ramona.

Il vecchio non dice nulla. Arriva sul pianerottolo e le due ragazze si ritraggono per lasciarlo passare.

-  Cercavamo il signor Pisca… - mormora Ramona e sembra che il vecchio

asmatico non abbia sentito perché infila una chiave nella porta di fronte. La apre e solo dopo si volta e sbuffa rauco:

- Riceve solo puttane… - ed entra in casa sbattendo l’uscio.

Meme e Ramona si guardano stupite, poi Meme soffoca una risatina e si appoggia alla porta di Pisca che cede e si apre. Meme barcolla all’indietro, non riesce a mantenere l’equilibrio: c’è qualcosa di scivoloso sul pavimento e cade. Le mani si impastano in un liquido appiccicoso e Meme, disgustata, cerca di capire che roba sia. L’unica luce viene dalla porta aperta di una stanza oltre cui si intravede l’angolo di un letto sfatto.

Meme ruota le mani per far piovere su di esse un po’ di luce: sono sporche di sangue! Paralizzata da quel fatto assurdo, non riesce a dire parola.

Rimane con le mani tese a guardare il pavimento: è seduta in un lago di sangue che si sta rapprendendo.

Ramona cerca un interruttore sulla parete del corridoio, ma non lo trova. Guarda con occhi sgranati le mani sporche di sangue che Meme tiene ora spalancate davanti al proprio volto.

Un brontolio minaccioso proviene dalla stanza da letto. Meme striscia indietro in quel sangue appiccicoso, cerca di rimettersi in piedi vincendo il ribrezzo, ma non trova la forza giusta nelle gambe, i muscoli sono legnosi e può soltanto continuare a trascinarsi per terra. Si sposta di quel tanto per vedere, oltre lo stipite della porta della stanza da letto, il corpo di un uomo con la testa quasi staccata dal busto. La pelle del collo la tiene unita al tronco e dalle arterie rotte fluisce ancora del sangue denso.

Meme finalmente riesce a urlare: quell’orrenda testa semimozzata la sta fissando con gli occhi gelati nella morte, occhi di un profondo blu.

Meme scalcia sul pavimento scivoloso, si abbranca al muro e si tira in piedi lasciando sulle pareti le impronte delle sue mani insanguinate.

Ramona si aggrappa a lei, scossa da un tremito: strette l’una all’altra, si sorreggono a vicenda.

Il cadavere dell’uomo si muove piano all’indietro, trascinato da qualcuno.

Meme pianta le unghie nella carta da parati, col gelo del terrore che le sale lungo il midollo spinale fino al cervello. Ramona ha un conato di vomito e si piega in due con lo stomaco in gola.

Il vecchietto asmatico si affaccia nel corridoio e guarda le due donne abbracciate, imbrattate di sangue. Poi vede il corpo di Pisca che si muove, strattonato da qualcuno.

-  Oh madonna santa…. - esclama.

Ignora Meme e Ramona, le supera, camminando nel sangue che si allarga nel corridoio buio e si affaccia nella camera, accanto a quel orribile torso semidecapitato.

- Furto…. Qui, Furto! – chiama rauco.

Un grosso cane lupo nero si stacca dal corpo del padrone morto e sbuca mugolando sulla soglia della stanza andando a mettere il muso insanguinato fra le mani del vecchio che lo accarezza e gli parla:

-  Vieni, Furto, vieni… Non guardare più, vieni..-

Il cane mugola ancora un poco poi si lascia condurre fuori dal vecchio asmatico che continua a dargli pacchette e grattatine, passando davanti alle due donne senza degnarle di un’occhiata.

Meme si passa una mano sulla faccia rigata di lacrime e si sporca il viso di sangue. Balbetta all’amica:

- Voleva che venissi qui…! Se fossi venuta…avrei trovato l’assassino… o forse non sarebbe successo niente..- i brividi la scuotono come se avesse la febbre alta.

Giunge chiarissima la voce del vecchietto che dal suo appartamento di cui non ha chiuso l’uscio sta chiamando la polizia.

- Via della Fornace, sì, al 31. Hanno ammazzato uno e ci sono anche due puttane…

Meme si costringe a guardare il volto di quell’uomo ucciso. Difficile dare l’età a una testa staccata dal corpo. Forse quarant’anni. La invade una sensazione di vertigine, di deja vu: quello sguardo blu, quel cane lupo nero… piazza della Signoria, in bicicletta. Forse.

Ramona arretra verso la porta e Meme, aggrappata a lei, la segue come una bambina.

 

 

CAPITOLO 10

 

Sul pavimento, accanto al cadavere quasi decapitato, scritte col sangue, si leggono due lettere: una "c" e l'altra, semicancellata, forse una "a".

L’appartamento è pieno di poliziotti, alcuni indossano una tuta bianca e spargono dappertutto una polverina che poi osservano con occhiali scuri per rilevare impronte.

Un medico legale esamina il cadavere, ancora nella posizione in cui lo ha lasciato l’orrendo trascinamento del cane, coccolato sul pianerottolo dal vecchio asmatico.

Un uomo obeso e dall’aria poco intelligente coordina i movimenti di tutti, stando in piedi in mezzo alla stanza e tamponandosi il naso con un fazzoletto: è il sostituto procuratore Attilio Giordano. Con lui c’è anche Lucio che attira l’attenzione del magistrato su quelle lettere scritte col sangue.

Giordano dà un’occhiata e ha una smorfia di fastidio:

-  Commissario Camilleri, non ci sarà di grande aiuto una "c"… che cazzo vuol dire?-

A Lucio sfugge un sorriso per quell’umorismo involontario e fa un cenno all’agente che fotografa la scena del delitto. Gli indica le lettere tracciate nel sangue. L’agente ruota lo zoom della macchina fotografica in avanti e poi scatta due volte, una col flash e una senza.

-  Le sarei grato se non prendesse iniziative senza consultarmi, commissario! -
dice con acidità Attilio Giordano. Lucio gli dà un’occhiata di sopportazione:

-  Non mi permetterei mai, signor sostituto procuratore. Ho solo preceduto il suo ovvio comando. -

-  Mh - mugugna. Il medico si rialza e dice a Lucio:

-  E’ morto da non più di quaranta, cinquanta minuti. E' stato colpito con qualcosa di pesante, forse una scure.-

-  Dica a me. – sottolinea piccato Attilio Giordano – Coordino io le indagini, non il commissario. -

-  Ho detto a lei, ho detto a lei … - sogghigna il medico legale scambiando con

Lucio un cenno di intesa.

-  Una scure, addirittura? Sarebbe morto sul colpo e non potrebbe aver scritto un bel niente… .- dice il sostituto procuratore.

-  Acuta osservazione – risponde il medico, sardonico – Ma non è detto. Il colpo è stato uno solo, improvviso e micidiale. Ma per scrivere quelle due lettere ci sono voluti pochi secondi. Il sangue è uscito a fiotti. Può esserci riuscito prima di venire meno. –

La squadra scientifica continua il suo meticoloso lavoro. Riprendono la scena del delitto con una telecamera palmare, orgogliosa dotazione tecnologica del corpo speciale.

-  Chissà che voleva scrivere.....una "c" e una "a"… sicuri che è una "a"?-

-  Sembra. – risponde Lucio chinandosi per guardare meglio.

- Ca… come Calogero… o come Camilleri o come cazzo che c’entra…– arzigogola il sostituto procuratore.

-  O come Carla…- mormora fra sé Lucio e Giordano sogghigna, con quell’aria furba che assumono a volte gli imbecilli che hanno salito un pezzo della scala gerarchica, non importa quanto basso sia stato lo scalino di partenza.

-  Cherchez la femme, eh commissario? Voi giovani pensate sempre a una cosa….-

Lucio scopre i denti per convenienza, di quel tanto che basta per simulare un sorriso. Poi va verso un appuntato intento a misurare la stanza con un nastro centimetrato e gli ordina a bassa voce di cercargli la gallerista Carla Giardino.

La cosa non sfugge agli occhi poco espressivi di Giordano, che lo apostrofa con petulanza:

-  Vuol dire anche a me, commissario Camilleri? –

-  Certo, signor sostituto procuratore, certo. Carla Giardino ha un galleria di quadri non lontano da piazza della Signoria. –

-  E allora? Non vedo il nesso. Quest’uomo dipingeva? –

-  No, non lo so… ma forse frequentava la galleria…-

-  E forse giocava a boccette! E forse andava a pescare! E forse faceva il bird watching. – e pronuncia proprio "bird" con la "i" italiana - E lasci stare quel "sostituto", io odio queste cose burocratiche.-

-  Sì, signor procuratore. -

- La vittima deve aver aperto la porta al suo assassino, poi s’è voltato per fargli strada e quello l'ha colpito sul collo. Con un’ascia credo. Per me potete far rimuovere il cadavere. – interviene il medico legale in aiuto di Lucio per porre fine a quel dialogo fastidioso. Attilio Giordano si rivolge al medico con sarcasmo nei confronti di Lucio:

-  Gli hanno quasi staccato la testa e il nostro commissario va cercando una donna. Difficile che sia stata una donna, le pare dottor Masignani? –

Il medico legale non risponde. Alle spalle del sostituto procuratore, Lucio sbuffa al limite della sopportazione. Giordano si volta e gli chiede:

-  Chi ha trovato il corpo?-

-  Due turiste, mi han detto gli agenti. Pare che avessero un appuntamento col… malcapitato decapitato.-

-  E dove sono queste signore?-

-  Sono ragazze. Gli agenti le hanno accompagnate al Pronto Soccorso. Erano parecchio scosse…-

-  Hanno chiamato loro la polizia?-

-  No, procuratore. E’ stato lui. E’ un vicino di casa.

Indica il vecchietto asmatico che se ne sta nell’ingresso ad accarezzare il cane.

Attilio Giordano lo scruta con sospetto e poi si schiarisce la voce e gli si avvicina, impettito:

-  Buon uomo, lei era amico della vittima? –

Il vecchietto, accucciato ad accarezzare il cagnone, dà un’occhiata obliqua al sostituto procuratore e poi sputa fuori dalla porta. Giordano ha una smorfia di disgusto. Il vecchio risponde alla sua domanda senza guardarlo in volto:

-  Mi dispiace per il cane. Era tanto affezionato… quello invece riceveva solo puttane… prima o poi gli doveva capitare.. –

Giordano si picchietta con le dita tozze il ventre prominente e poi si rivolge agli agenti:

-  Quando avete finito voglio il rapporto completo, e dico com-ple-to, sul mio tavolo. – poi a Lucio – E lei senta quelle due puttane che hanno trovato il cadavere. -

Il sostituto procuratore Attilio Giordano se ne va accompagnato da un sommesso coro di "signorsì, vaffanculo".

 

CAPITOLO 11

 

Meme e Ramona sono state accompagnare al Pronto Soccorso dal sovrintendente di polizia, il napoletano Ciro Chianetti, soprannominato dai suoi colleghi "Nico" per la voluttà contagiosa con cui aspira il fumo dalla sigaretta che tiene sempre accesa tra le labbra. Nico si lamenta coi medici perché non c’è più luogo in città dove si possa fumare in santa pace. Indica un cartello con la scritta "vietato fumare" appesa al muro dell’astanteria come prova della propria disperazione.

-  Vedete? Il Pronto Soccorso per fumatori non c’è…-

Meme esce da una saletta insieme a un giovane medico. Nico le fa cenno di sedersi accanto a lui e il medico la accompagna premuroso verso il sovrintendente:

-  Però, Nico – dice il medico - non cominciare la spremitura che non si è ancora ripresa. -

-  E quando mai spremo io? Io interrogo amabilmente. Perché non mi porti anche l’altra, Gino?-

- Perché sta peggio…- Gino, il medico, torna dentro e Nico aiuta Meme ad accomodarsi:

-  Va meglio, signorina? –

Meme annuisce. Nico aspira la sigaretta con voluttà e, convinto di alleggerire, commenta che lui di cadaveri ne vede uno al giorno e a volte pure di più.

- Si diventa filosofi, signorina. E’ la vita. Oggi ci siete e domani non ci siete più. - e manda nei polmoni una grassa boccata di fumo con un leggero schiocco delle labbra, da buongustaio.

E’ tale il piacere fisico che emana Nico nel fumare che Meme non resiste e gli chiede una sigaretta. Il sovrintendente esita: lì sarebbe vietato fumare…

-  Ma lei…-

- Ragioni di servizio. Senza tabacco ‘a capa non funziona. Se devo pensare, devo fumare…  e quando c’è un morto ammazzato io devo pensare. – Accende una seconda sigaretta con la propria e la passa a Meme che tira una lunga boccata e chiude gli occhi, rilassandosi.

-  Io fumavo già nella pancia di mammà e fumando fumando ne ho preso di mariuoli... sa come mi chiamavano da piccolo? "o puliziotte scugnizzo"... - dà un'occhiata a Meme che fuma e vede che le mani le tremano un poco - Tutto okay, signorina? –

-  Sì. Sì… ma perché Ramona non esce? – Nico si alza e va a vedere.

Ramona, molto pallida, è stesa su una barella. Dorme. Gino risponde allo sguardo interrogativo di Nico:

-  Le ho dovuto fare un’iniezione di Valium. Continuava a tremare…. –

Meme afferra le mani del sovrintendente e lo supplica:

-  Di una cosa la prego. Non faccia i nostri nomi, per i giornali dico. A casa sarebbero sconvolti…-

Nico sbuffa fumo e propone: niente giornalisti, ma devono collaborare. Meme s’illumina: ma con tutto il cuore!

Quando Ramona si riprende ha un gran mal di testa. Non realizza subito di essere in ospedale e si mette a sedere, confusa. Si guarda intorno e incontra il sorriso di Gino.

-  Tutto a posto, signorina. Come si sente? – Ramona ricorda tutto in un orrendo flash e di nuovo è colta da un moto d’angoscia – Mio dio…che cosa orribile! –

Gino le prende una mano fra le sue per consolarla. Ramona si perde per un attimo in quello sguardo umido e scuro, poi ritrae la mano.

-  Dov’è Meme? –

-  Fuori. Sta parlando con un poliziotto. Dovete testimoniare. –

Mezz’ora più tardi Meme e Ramona siedono davanti alla scrivania del sovrintendente Chianetti, avvolto in una nube di fumo azzurrino.

L’ufficio è angusto e, in un angolo, un’agente donna scrive su un computer quanto viene detto. Nico dà all’interrogatorio un tono informale e amichevole.

-  Ragazze, scusate, mica ho capito perché andavate dal morto…Lo conoscevate?-

-  Mai visto prima . – risponde Ramona con sicurezza.

-  E lei? - Meme esita un poco, incerta:

-  Io ho l’impressione di averlo già visto...ma non riesco a ricordare dove...

-  Però è lui che vi ha contattate, vero? –

-  Sì. Una nostra amica, Olga, dovrebbe essere qui a Firenze ma non riusciamo a trovarla… lui, quell’uomo… ha telefonato e mi ha detto che era il ragazzo di Olga e che mi doveva parlare… Voleva che andassi da lui ma io non lo conoscevo e così gli ho dato appuntamento in piazza della Signoria…poi però non è venuto e così…-

Mentre Meme parla, Ramona gira lo sguardo nella stanza e nota due minuscole telecamere , in alto, agli angoli puntate su di loro. Guarda dritto nell’obiettivo.

Ramona, in primo piano, guarda dal monitor, negli occhi Lucio che sta seguendo l’interrogatorio dall’ufficio accanto. Lucio ne è imbarazzato come se la ragazza potesse vederlo. Si sente chiara la voce di Nico che continua l’interrogatorio:

-  Siete andate a casa sua e l’avete trovato morto. -

Un agente posa accanto a Lucio un vassoio con un caffè e sbircia nel monitor vedendo Meme che risponde a Nico:

-  E’ stata una cosa orribile… - sussurra Meme.

L’agente commenta con quella tipica cadenza che rende simpatici i fiorentini:

- Gli è poco ganzo questo sistema per fare il guardone… la devo comprare una di codeste telecamerine che così la piazzo nella -  amera da letto della mi’ bella… -

-  E’ contro la legge, bischero. L’hai messo lo zucchero, sì? – gli chiede Lucio.

-  Messo e girato, Gesù! Commissario, la sa la storiella che racconta Nico? Quella del "Gesù, se non giri"?-

-  No, ma adesso stai zitto. –

Nella sala dell’interrogatorio, Nico è colpito da un attacco di tosse. Per calmarlo aspira una lunga boccata di fumo dalla sua sigaretta.

- Dice che dovrei smettere di fumare. Dice che fa venire pure l’elicoptèr- e mima con le dita il movimento delle pale di un elicottero.

Lucio beve il caffè mentre l’agente che glielo ha portato chiede incredulo al commissario perché il fumo farebbe venire l’elicottero.

Lucio lo zittisce con un cenno e sussurra:

-  Piantala Lorenzo, per favore. Grazie per il caffè ma levati di culo, eh? –

Lorenzo ritira la tazzina vuota e se ne va mugugnando.

Meme chiede a Nico:

- Vuol dire quel batterio che fa venire l’ulcera? - Nico annuisce aspira forte dalla sigaretta e la tosse scompare. Guarda con sorpresa Meme e Ramona interviene a spiegare:

-  Lei studia biologia.-

-  Allora non fa la… voglio dire…non siete …insomma! – Nico si confonde e allora assume il tono ufficiale per disimpegnarsi - Insomma voi non sapete nu… niente, voi non sapete niente.- Dà un’occhiata a Meme: - E lei proprio non ricorda dove aveva già notato la vittima? –

- No. M’è sembrata una faccia già vista...ma forse mi sbaglio. Non conosciamo nessuno a Firenze. Però Olga mi aveva detto di aver trovato un ragazzo che aveva gli occhi blu… come… come quel poveretto…-

-  Perché siete venute a Firenze? –

-  Per vedere la città… - risponde Ramona anticipando Meme – e anche perché stiamo cercando la nostra amica. –

-  Avete detto Olga. Olga come?-

-  Olga Olivieri. Una pittrice. – sospira Ramona che continua a guardare nelle telecamere. Nico se ne accorge:

-  Sì, siete in mondovisione. –

-  Se non fosse per quel corpo straziato direi che siamo su "Scherzi a parte".-

-  Magari… - commenta Nico che si alza e chiede alla poliziotta se abbia scritto tutto. La donna gli fa un cenno affermativo senza smettere di battere sui tasti.

-  Lasciate un recapito. Nel caso avessimo ancora bisogno di voi. – Nico si alza e Meme tira fuori dalla borsa un bigliettino della casa-pensione e lo dà al sovrintendente.

-  Fino a quando starete in città? – Ramona scambia un’occhiata con Meme che sospira:

-  Ho solo due settimane di ferie.

-  Ci staremo anche meno visto come ammazzano la gente qui. - dice Ramona.

Nico sbuffa fumo e scuote la testa.

-  Su, su, ragazze! Non dite questo che l’ente del turismo non vuole. Buona permanenza. -

Nella stanza accanto Lucio guarda nel monitor Meme e Ramona che salutano il sovrintendente. Poi alza un telefono per sapere se sia stata rintracciata la gallerista Carla Giardino. Gli rispondono che non è a Firenze.

Ramona e Meme escono dal commissariato esauste. Dopo quell’emozione così violenta avvertono un senso di vuoto: i segnali provenienti dal mondo esterno, raccolti dai sensi, non riescono più a superare la soglia di elaborazione del cervello.

E’ quasi l’alba. La stazione dei taxi è deserta e le due donne devono farsela a piedi.

E’ un’ora magica, in cui gli antichi palazzi sembrano sospesi nel tempo. Meme cammina a testa bassa e non si accorge che Ramona si è fermata. Quando si volta l’amica è lontana una ventina di passi.

- Che fai? Sei stanca? –

- No, cioè sì, ma pensavo… forse quel poveraccio aveva davvero qualcosa di importante da dirci se l’hanno ucciso per impedirglielo…- Meme concorda:

-  Sì. Se l’hanno ammazzato per quello, sì. Ma non credo. Dev’essere stata solo una tragica combinazione. Altrimenti la Polizia ci avrebbe torchiato molto di più, non ti pare? –

Ramona riprende a camminare:

- Forse. - Vorrebbe aggiungere altro ma preferisce non aumentare l’apprensione che avverte nel tono dell’amica e decide di alleggerire:

- Non è detto: Paese di cacca, polizia di cacca.- Le due donne tacciono e Meme,
dopo qualche passo, ritorna al primo detto:

-  Magari quello non ha insistito per sapere da noi il motivo della telefonata di Pisca perché lo sapeva già. –

-  Sapeva cosa? – Ramona prende Meme sottobraccio - Non facciamoci incartare. Ti ricordi quando facevamo l’alba discutendo se la libertà genera schiavitù e viceversa? –

A Meme torna in mente il loro gioco di discussioni furibonde in cui, a un certo punto, si scambiavano le parti per il puro piacere dialettico di difendere una posizione. Un po’ come fanno gli avvocati.

- Bei tempi. – commenta con un sospiro - Lo sai che mi ha detto un giorno Walter? Che erano atteggiamenti poco femminili. Che la logica non è femminile. Per lui le donne dovevano solo allargare le gambe. – Ramona scrolla le spalle. Dà un bacetto a Meme e conclude:

- Walter era uno stronzo. – e poi le due in coro – Nominandolo da vivo! -

Allungano il passo, camminando in sincrono, a braccetto. Da un androne pieno d’ombre si stacca quella di un uomo. Cammina dietro a loro cercando di non far risuonare i suoi passi nel silenzio della strada.

Il suoi occhi porcini sono fissi sulle silhouette di Meme e di Ramona.

E’ il tassista corpulento che sta seguendo le due donne fin da quando erano in piazza della Signoria. Prende dal taschino della giacca un cellulare e schiaccia un pulsante. Sussurra al microfono:

- Alb, stanno rientrando. – e chiude la comunicazione.

 

CAPITOLO 12

 

Ramona infila la chiave nel portoncino della casa-pensione, apre cercando di non svegliare nessuno e richiude l’uscio facendo scattare la serratura. Le due ragazze si prendono per mano e attraversano la hall buia, salendo poi la prima rampa di scale.

Ramona si ferma e blocca anche Meme. Bisbiglia che ha sentito un rumore.

E’ ancora scossa e ha paura. Ascoltano insieme il silenzio, trattenendo il fiato come due bambine in una stanza buia. Ramona sussurra a Meme:

-  Hai sentito? – Meme scuote la testa.

-  Uno scalpiccio…-

Meme risponde che non ha sentito niente, poi si fa coraggio e le passa davanti. Sale gli ultimi scalini cercando di non far rumore.

Da una finestrella in fondo al corridoio filtra la prima luce dell’alba e davanti al riquadro della finestra passa, imprevista, veloce e senza suoni, una forma umana. Una forma gigantesca, avvolta in un mantello.

Meme grida e fa un salto all’indietro, urta la boccia dei pesci che cade e si frantuma con lo scoppio di una bomba. Ramona urla.

Si accendono le luci e Beatrice salta fuori dalla sua camera in camicia da notte, mentre alle sue spalle occhieggia Manettone in mutande.

- Icche c’è? Che succede? Maremma maiala….. – Beatrice grida l’ultima esclamazione perché ha visto la boccia dei pesci rossi schiantata a terra e i pesciolini che saltellano agonizzanti con l’acqua che scorre giù per le scale.

Saltella anche lei per acchiapparli mentre strilla a Manettone in mutande di prendere un catino.

Quando i pesci sono al sicuro in un vaso pieno d’acqua, Beatrice si concede una sedia. Guarda Meme e Ramona con aria severa:

-  La mi volete dire adesso icche diavolo vi ha preso a voi due per urlare in quel modo e tentare questo pescicidio al-  ’alba? –

-  C’era qualcuno… laggiù… come, come… qualcosa di nero, col mantello… oddio adesso a dirlo sembra idiota…-

Beatrice si rasserena. Si accende una sigaretta e soffia una boccata di fumo con l’aria di chi sa cose in esclusiva:

- Ah, quello. Era il Savonarola. Avete sentito anche puzza di bruciato per caso?-

Meme guarda meglio Beatrice per capire se la stia prendendo in giro, ma la donna dice sul serio.

-  Pare che codesta fosse la dimora della sua ganza intorno al 1496. –

Ramona commenta :

-  Se il Savonarola aveva una ganza non c’è più religione. –

-  E perché, la c’è mai stata? – chiede stupita Beatrice che guarda l’ora e poi di nuovo le due ragazze – ma voi stavate uscendo o rincasando? –

- Tornando. Hanno ammazzato un uomo stanotte e noi casualmente abbiamo trovato il cadavere. Ci ha trattenuto la polizia. – spiega Meme senza più allegria – Beh, buonanotte, signora. Sono distrutta. -

- Buongiorno. – risponde ironica Beatrice. Si fa da parte per far passare Meme e Ramona. Manettone, con quella sua cupidigia adolescenziale, le guarda andare verso la porta del loro appartamento. Beatrice lo spinge di lato e rientra nella sua stanza:

- Ma tu sei proprio bischero…in mutande dovevi uscire? Ora chissà che pensano quelle…- e gli chiude l’uscio in faccia. Manettone si bilancia sulle gambe, sbuffa, si dà una manata sui testicoli e poi dice all’uscio chiuso:

- E icche devono pensare? Che ‘un si fanno mica solo pugnette in codesta casa…-

L’eco del dialogo raggiunge Meme che si è fermata ad ascoltare dietro la porta socchiusa.

Ramona entra nella camera da letto, accende la luce e si ferma guardandosi intorno con apprensione. Meme le arriva dietro e si ferma, subito contagiata dall’ansia dell’amica.

-  Che c’è…? – chiede. Ramona indica la portafinestra socchiusa.

-  Non avevi chiuso prima di uscire?-

- Sssì… forse… Oh non lo so! - chiude assicurandosi che il catenaccio verticale faccia presa.

Ramona si sdraia sul letto esausta. Il suo sguardo cade sulla valigia posata sulla panca e scatta a sedere: qualcuno deve averci messo le mani perché la bretellina di un reggiseno e la gamba di un collant ciondolano all’esterno.

- Hai frugato tu nella valigia? – chiede Ramona con voce sorda.

- No… oh mamma, no! – esclama Meme e corre ad aprirla. E’ tutto in disordine. Qualcuno ha cercato là dentro senza riguardo. Ramona va ad aprire i cassetti del comò: la biancheria è tutta aggrovigliata, sottosopra.

- Hanno frugato anche qui… - dice irritata – Adesso basta…- afferra la valigia e la spalanca sul letto vuotandoci dentro i cassetti, alla rinfusa.

Che fai? – chiede Meme.

-  Me ne vado. Machiavelli, il pisello del Davide, il fantasma del Savonarola, gente decapitata e qualcuno che mi fruga nella roba mia. Direi che basta. Biella è piena di smog ma in confronto è un paradiso. –

Meme la ferma. Ha paura e anche lei ha una gran voglia di tornare a casa, però si sente vile ad abbandonare Olga. E’ ovvio che l’amica deve essersi cacciata in qualche gigantesco pasticcio.

-  Non me lo perdonerei per tutta la vita. – sospira passandosi le mani sul volto.

-  Che cosa? Che cosa, merda, che cosa? –

-  Se poi verrò a sapere che avrei potuto aiutare Olga e sono scappata. -

-  Sarò vigliacca allora, ma io me ne vado… qui sgozzano la gente e non voglio restare un minuto di più. – ribatte Ramona e scansa l’amica per chiudere la valigia.

-  Io non scappo. – si ostina Meme e pesca nella valigia la propria biancheria buttandola sul letto.

Ramona si ferma. Conosce quelle fossette di ostinazione ai lati della bocca di Meme e anche quella luce determinata che brilla nei suoi occhi grigi.

-  Ostinata. - commenta e Meme annuisce.

-  Testarda. – Meme annuisce ancora, soddisfatta.

- Come un mulo! – Meme fa ondeggiare i capelli a coda di cavallo in un lungo cenno di assenso. Ramona la guarda, sospira:

-  E io come mi sentirei se ti mollo qui, sola, col fantasma del Savonarola? – chiede Ramona in tono retorico.

-  Una merda. – conclude Meme prendendo la valigia dal letto e rimettendola sulla panca.

Più tardi, chiuse le imposte, col sole che disegna righe di luce contro il muro, le due ragazze, sdraiate una accanto all’altra sul grande letto di ferro battuto, meditano ad alta voce sul sonno che non viene perché è passata l’ora. Meme dice

-  Quel Carlino sapeva qualcosa sulla scomparsa di Olga e qualcuno non glielo ha lasciato dire. Hai notato anche tu che… aveva gli occhi blu? Forse era un bell’uomo.-

-  Non l’ho notato. Quando vedo una testa staccata dal corpo non faccio mai caso al colore dei suoi occhi… - cerca di scherzare Ramona con poco successo.

-  Erano sbarrati. Sembrava che guardassero me…Domani cercherò di saperne di più su quel Pisca…- Ramona afferra Meme per un braccio.

-  Testa dura, c’é la polizia per queste cose, no? –

-  Forse anche Olga è stata ammazzata.-

-  Non dire sciocchezze! Torniamo a casa e lasciamo che la rintracci la polizia.

Meme non risponde, resta a fissare il soffitto. Ramona si accorge che ha gli occhi pieno di lacrime.

-  Che fai adesso, piangi? –

-  E’ anche per Walter… Se Olga… non ci fosse più… io non saprò mai..-

-  Che c’entra Walter? –

- Walter e io… oh, Ramona, io e Walter… capisci? Avevo preso una scuffia ma non volevo, per via di Olga… loro stavano insieme da sei mesi… Poi Walter mi aveva detto che avrebbe lasciato Olga ma che lei cercava di incastrarlo con la balla che era incinta…-

Ramona si siede sul letto e fissa Meme incuriosita:

- Invece non era una balla. Quel bastardo era proprio un gran…- Ramona si trattiene ma Meme termina la frase:

-  …figlio di puttana, lo so, ma io mi ero innamorata come una stupida…Credo che Olga avesse paura della reazione di Walter. Ti ricordi quel che diceva lei dell’aborto? Lascialo lì e vedrai che viene un signore coi baffi…-

Meme prende un fazzoletto da sotto il cuscino, si soffia il naso, poi si scioglie i capelli e aggiunge:

-  Olga stava dipingendo un quadro orribile.... –

-  Che quadro? –

-  Un annegato, con un feto gonfio d’acqua e sangue… annegato ma con la faccia stravolta ….- si interrompe.

-  Dove l’hai visto? Dove abitava Olga? –

-  Sì. Dove adesso ci sta quell’altro pittore, Carlino. Pepi Carlino si chiama. Te l’avevo detto…Olga ha lasciato lì quel quadro, non finito… spaventoso… e gli occhi del morto sembrano fissi sul suo assassino… come se… -

Ramona si inginocchia sul letto e guarda il volto rigato di lacrime di Meme che se lo asciuga con un po’ di vergogna. Ramona le blocca la mano e la costringe a guardarla in faccia, da vicino:

-  Che cerchi di dirmi? –

-  Io?-

-  Sì, tu. Ci conosciamo da una vita, no?…che cerchi di dirmi? Che Olga ha ucciso Walter?-

Meme è scossa da un tremito. Le sue pupille sono dilatate come sotto l’effetto di stupefacenti. Guarda l’amica dentro gli occhi, cercando un contatto interiore assoluto, ma quella luce che brilla nello sguardo di Ramona non è amichevole, mentre a sua volta cerca di penetrare la mente dell’amica.

Ramona, in ginocchio, sovrasta Meme supina. Le due donne restano così per alcuni secondi, avvinte in quell’amplesso di sguardi, mentre la domanda di Ramona rimane senza risposta.

E’ Ramona a svincolarsi da quello strano legame mentale, per la prima volta senza amicizia, quasi un vicendevole stupro.

Si siede sul bordo del letto accarezzandosi i capelli per aiutarsi a pensare. Torna a voltarsi verso Meme che è rimasta a fissare il soffitto, con le lacrime che si seccano negli occhi.

-  Hai visto un quadro… Olga ha dipinto Walter affogato… dopo tutto è affogato, no? Che cosa ti fa pensare che l’abbia affogato apposta? –

Meme guarda Ramona. Ora la distanza fra le due rende il colloquio normale.

-  Perché su quei cadaveri dipinti Olga ci ha scritto Cu2Ocome se volesse accusarmi! Il sospetto che abbia fatto morire Walter deliberatamente, per causa mia, mi tormenta fin dal primo giorno. Anche per questo sono voluta venire a Firenze. Devo parlare con Olga. –

Ramona guarda Meme come se fosse fuori di testa, poi si lascia andare sul letto, di schiena, i piedi sul pavimento. Le prende una mano e questo contatto ripristina il loro rapporto di fiducia.

-  Che non sia stata una disgrazia a Biella l’han sospettato tutti.- dice Ramona con voce quieta - Walter non sapeva nuotare e Olga sì. Magari han litigato e la barca si è rovesciata e poi… chissà. Ma che sia colpa tua, su Meme, scusa, questa è paranoia!– Meme soffoca un singhiozzo e non risponde.

Comunque ormai che importa? Walter era un collezionista di donne. Lo sapeva anche Olga – conclude Ramona.

-  Lo sapevamo tutte… - Meme tira su col naso - però… ero attratta da lui e non potevo farci nulla. Sapevo che era un cialtrone con le donne e non volevo far soffrire Olga, ma quando Walter mi toccava mi faceva perdere il controllo… io devo trovare Olga, lo capisci? – Ramona guarda l’amica:

- Sai qual è il tuo problema? Hai scopato poco - prende la sua roba e la rimette nei cassetti - Facciamo così. Restiamo per quest’altra settimana. Fino alla fine delle tue ferie. Poi, trovata o non trovata, ce ne andiamo. Abbiamo detto alla polizia che è scomparsa. Di più non possiamo fare. Okay ? – Meme la abbraccia.

- Per un momento ti ho sentita nemica! Dobbiamo brindare alla nostra amicizia…. eterna amicizia! – prende la bottiglia di spumante, omaggio di Beatrice, dal frigo bar. La stappa, la schiuma fuoriesce, la beve per impedire che cada a terra e poi offre la bottiglia a Ramona:

- Alla nostra amicizia! – Ramona prende la bottiglia che ancora schiuma e ne beve un sorso :

- Alla nostra! –

 

CAPITOLO 13

 

Il quadro di Olga è di nuovo sul cavalletto al centro del loft, in piena luce. Berta lo sta esaminando con una lente di ingrandimento mentre si picchietta una coscia col borsalino.

- Orrido ma affascinante… - mormora, osservandolo nei dettagli. Oltre la quinta dei lunghi capelli rossi gocciolanti sangue, in un mare scuro, denso di pennellate brutali, c’è il corpo gonfio dell’annegato, accanto a cui galleggia il feto che vomita un liquido bruno dalla bocca spalancata come da un cratere biologico. I corpi galleggiano a mezz’acqua enfi, viscidi, mostruosi. L’uomo ha la bocca spalancata, enorme, distorta in un urlo muto e i suoi occhi blu accusano della sua agonia chi guarda il quadro. E poi quella formula chimica "Cu2O" incisa a sangue sia sul torace dell’annegato che sul corpicino gonfio del feto aggiunge una dimensione satanica.

- Cu2O…. mormora Berta pensoso – ossido di rame… chissà che cavolo vuol dire…- poi ad alta voce a Pepi Carlino che è apparso sulla balconata:

- Mille euro, due milioni di vecchie lire, è il massimo che posso darti.-

-  Non è neanche mio. E se torna chi l’ha dipinto che gli dico?-

-  Conoscevo chi l’ha lasciato qui. Non credo che tornerà. –Carlino scende la scala e si avvicina a Berta fissandolo con sospetto.

-  Lo sa … per certo? –

Berta si volta e getta un’occhiata ansiosa su Carlino coi suoi occhi acquosi:

- No, però… Milleduecento euro e non ne parliamo più. –

-  Perché ha detto "conoscevo"? –

Berta si dimena un poco, sbuffa e si rimette in testa il borsalino. Gonfia le guance come un rospo alla ricerca di una risposta sensata ma non la trova.

-  La conoscevo… quando stava qui, la conoscevo. Si chiamava… si chiama Olga mi pare…-

-  Già. Olga. E c’è una che la sta cercando. Lei sa qualcosa di più? –

Berta si stringe nel suo loden e torna a gonfiare le gote:

-  Io non so proprio niente. Millecinquento euro. Tre milioni e me lo porto via subito.-

-  Mi farebbero comodo, però… Lei sembra un esperto. Se me ne offre tre, allora…- si interrompe per il trillo del campanello d’ingresso.

-  Aspetti qualcuno?-

- No, non mi pare. Perché?- butta un telo sul quadro di Olga e va verso la porta. Berta lo ferma, apprensivo:

-  Aspetta. Non voglio farmi vedere da estranei. Noi esperti di quadri ci facciamo la posta per fregarci i nuovi talenti… -

-  E già, e se offrite tre, vale dieci. Magari venti. Perché non dà un’occhiata anche a qualche quadro mio? -

Suonano di nuovo. Dev’essere qualcuno impaziente perché picchiano anche due pugni sull’uscio. Berta adesso è quasi in affanno. Afferra Carlino per un braccio:

- C’è un’altra uscita, vero?-

- C’è una porticina in cucina. Dà nel cortile dietro, ma…-

- Ovvio. - mormora Berta a sé stesso, ecco la via di fuga dell’assassino! E lui come un imbecille aveva vigilato solo il davanti della casa. Si affretta verso la cucina ingombra di piatti da lavare, la attraversa ed esce da una porticina dai vetri smerigliati che immette in un antico cortile, inseguito dal trillo del campanello che suona a distesa.

- Un momento, arrivo! Che diamine! - esclama Carlino spalancando la porta d’ingresso

Il pittore si trova davanti a due uomini con facce che mettono ansia. Il primo è un albino allampanato dal colorito cadaverico e occhi iniettati di sangue, l’altro, dalla corporatura massiccia e inelegante, è il tassista con gli occhi porcini che pedinava Ramona e Meme.

Carlino nota che sul naso del corpulento c’è un bitorzolo bruno. Quel particolare, chissà perché, tramuta la sua sorpresa in angoscia. Fa un passo indietro e balbetta:

- Ma chi… siete? –

L’albino, che ricorda un vampiro da film horror, lo aggredisce con due schiaffoni di inaspettata violenza in quel lungo corpo scheletrico che sembra uno scherzo da specchio convesso, mandandolo a rotolare davanti al quadro di Olga.

-  Mi consenta di presentarmi: mi chiamano Alb che sta per "albino Alberto albacio", faccia lei.-

- E io sono "G", pronunciato duro e sordo come ghigliottina. Piacere. – precisa l’omone peloso dagli occhi porcini, scoprendo una dentatura giallastra e irregolare. Carlino si muove per alzarsi ma viene colpito da "G" con un calcio al basso ventre che gli spezza il fiato dal dolore.

L’aggressore scuote la testa e minaccia un’altra pedata:

- Sia educato. Si risponde "piacere mio".-

-  Non farmi perdere tempo "G" – sbuffa l’albino - e lei, imbrattatele, mi consenta una domanda semplice semplice: dove cazzo ha messo i nostri soldi?-

Pepi Carlino, crollato sulle ginocchia, le mani sui testicoli, storto come un ulivo per il dolore, guarda con inebetita angoscia quella coppia da incubo. Con voce resa rauca dalla sofferenza, chiede:

- Quali soldi? -

"G" sogghigna, lo afferra per la camicia, piantandogli due pollici nel colletto grossi come alluci di uno yeti. Lo rimette in piedi, scuotendolo come una marionetta. Se lo tira addosso e gli soffia in faccia:

-  Sono anche "G", pronunciato dolce, come "giramento di palle". Prima te le stacco e poi le faccio girare. –

La puzza di aglio marcio che staziona nelle bocca di "G" soffoca Pepi che boccheggia sul punto di vomitare. "G" se ne accorge e lo lascia, buttandolo sul pavimento con disgusto. Si ficca una mano in tasca e pesca un paio di spicchi di aglio. Ne offre uno ad Alb che declina l’offerta con un cenno di diniego. "G" se li ficca in bocca e li mastica con gusto.

Alb si china sul pittore che striscia indietro sul pavimento, guardando i due con occhi allucinati.

- Non si formalizzi se siamo un po’ bruschi, pittatutto – precisa Alb con un sorriso agrodolce - Ognuno ha il suo carattere. Al camerata "G" piace l’aglio. Io preferisco il midollo delle ossa, di pittore possibilmente. - e ghigna per la sua battuta che, detta da lui, non sembra macabro umorismo ma vera minaccia.

Carlino cerca in sé un’ombra di coraggio ma le sue pompe adrenaliniche sono state bloccate dalla sopraffazione improvvisa. E’ un cencio senza forza. Si è sempre ritenuto un uomo coraggioso ma è in balia di quei due demoni che paiono usciti da un quadro di Bosch.

Alb continua a sorridere e la sua faccia livida dà al sorriso un riflesso da antropofago.

"G" si sta guardando intorno. Si è cacciato tutto il dito indice nella narice destra e scava con fervore. Questo esercizio gli facilita la concentrazione. Estrae una grossa crosta di muco che appallottola con perizia in una palla verdastra e la scaglia addosso a Carlino con uno scatto del medio.

-  C’era una borsa con dei soldi in questo studio. Pare che quella maiala che stava qui prima di te non sia riuscita a fotterseli. -

Pepi Carlino non osa rialzarsi. Si regge ancora i testicoli per il dolore e supplica:

-  E io che c’entro? L’avrà presi il padrone di casa no? Io sono qui da pochi giorni e non c’era nessuna borsa. Nessuna borsa! Solo qualche vestito appeso nell’armadio e quel quadro… -

Alb e "G" danno solo un’occhiata distratta al quadro, poi il pallido Alb scopre i suoi trentadue denti in quel suo caratteristico sorriso cannibalico:

-  A noi non interessano i quadri. –

-  L’ho capito… - balbetta Carlino rannicchiandosi il più possibile in un angolo.

"G" scava l’altra narice in cerca di idee. Ne trova una e va verso l’armadio dove Olga conservava la grande borsa piena di mazzette in biglietti da cento dollari e la spalanca. L’armadio è vuoto e "G" ci getta dentro un’altra pallina dello scarto nasale del suo pensiero.

-  E’ qui che c’era la borsa piena di dollari nostri. -

- Forse per questo quella se l’è filata! Che c’entro io se quella vi ha fregato dei soldi?- strilla Pepi e commette l’errore di alzarsi. "G" lo colpisce di nuovo all’inguine con una ginocchiata. Carlino ulula e torna ad accucciarsi sul pavimento. Alb esplode in una risata breve e stridula che ricorda lo squittire di un pipistrello. Carlino si sente una falena senza scampo.

-  Mi consenta – prosegue passandosi la punta della lingua sulle labbra esangui - forse è vero che lei non c’entra niente, però in questo caso è proprio sfigato.-

"G" cerca a fondo nelle sue narici ma non trova più nulla di consistente e allora si sente esausto e senza idee. Taglia corto:

-  Va bene, Alb. Basta per oggi. Senti tu, pittore comunista, non cercare di fare il furbo. Sono arrivate altre due stronzette e una è stata qui. Che voleva?-

Pepi prova a respirare a fondo per lenire il dolore e parla senza muoversi dal pavimento.

-  Cercava l’amica .. sembra che sia scomparsa senza lasciare indirizzo…-

-  E mi consenta, questo nuovo e delizioso pezzo di carne fresca, non le ha chiesto se madonna Olga aveva lasciato dei bagagli? - interloquisce l’albino.

-  Sì.. mi ha chiesto se quella pittrice aveva lasciato qualcosa e io le ho mostrato il quadro. Solo quello ha lasciato.-

Alb si china verso Carlino scoprendo tutti denti e il pittore si ritrae, temendo di essere morso. Ma l’albino si limita a tastargli le ossa di un braccio quasi volesse giudicarne la consistenza:

-  A noi i quadri non interessano. Ci piace il malloppo di carne intorno all’osso. A tanti piace l’osso. Siamo tutti dietro lo stesso osso. Adesso le dico quello che deve fare. Chiami l’amica fresca e veda di farla parlare. Noi torniamo domani. Collabori senza trucchi, picazzone, oppure, mi consenta, lei è un uomo disossato.-

-  E senza palle. - conclude "G" scorreggiando. Alb si volta infastidito e "G" minimizza con aria di scusa:

-  E’ l’aglio. Purifica. –

Alb sospira e si avvia verso l’uscita seguito da "G", come se Pepi Carlino non esistesse più. Rimprovera il compare col quel suo tono distinto:

- Andiamo, camerata. Però consentimi un appunto: se resti così volgare non farai carriera nella buona società. – "G" fa la faccia delusa del bambinone colto in fallo e dice, contrito:

-  Hai ragione, Alb. Devo imparare a mollarle senza rumore. –

Pepi Carlino resta sul pavimento per lunghi minuti dopo che i due picchiatori, così improbabili nel loro aspetto e nei loro nomignoli, se ne sono andati. Se non fosse per quel sordo dolore ai testicoli penserebbe di avere avuto un’allucinazione.

Si rialza e cammina a gambe larghe andando a sbarrare la porta di ingresso, poi, sempre cercando di non urtare i testicoli gonfi per i colpi, prende il bigliettino che gli ha lasciato Meme e compone il numero di telefono della pensione.

Il telefono squilla libero ma nessuno risponde.

 

CAPITOLO 14

 

Meme è con Ramona nella pinacoteca diretta da Carla Giardino che, stavolta, le guarda senza simpatia. Si rivolge a Meme :

- Io non so niente di più di quello che avevo già detto a lei. Inoltre mi hanno tenuto tutta la mattina al commissariato e io non voglio essere coinvolta in una storia di omicidio, chiaro? Io non conoscevo affatto quel Pisca. Quindi, se non vi interessano i quadri, è meglio che ve ne andiate.-

-  Neanche noi conoscevamo quell’uomo. Però vorremmo sapere qualche altra cosa su Olga Olivieri che sembra scomparsa nel nulla. -

Ramona ha la sensazione che qualcuno la spii da una delle vetrate e volge la testa per guardare. Non vede nessuno ma la realtà continua a ruotare anche dopo che ha fermato il capo. Vetrate, quadri, vetrate, quadri…

-  Che hai? – le sussurra Meme.

-  Un giramento di testa. – risponde Ramona – Ma è passato. –

Lentamente la galleria si ferma ma se Ramona muove la testa, tutto riprende a girare e sente il formarsi di un crampo allo stomaco. Meme torna alla carica con Carla:

-  Olga frequentava qualcuno in particolare? Si serviva di modelle per i quadri? –

-  Non mi pare.. Mi ero offerta di posare io ma… ah no, aspetta, una modella l’ha usata. Una bella ragazza con qualche problema però… sì, posò per l’ultimo quadro che mi ha portato…-

Ramona si porta una mano sulla bocca dello stomaco. Sta sudando freddo. Meme fissa Carla negli occhi e non se ne avvede:

-  Posso vedere il quadro? –

-  Venduto. E’ per quello che devo ancora dei soldi alla vostra amica. –

-  Venduto a chi? –

-  Segreto professionale. Molti compratori non vogliono che si sappia dei loro acquisti. –

-  E la modella? Dove posso trovare la modella?-

-  Provi in questo studio. -

Carla passa a Meme un biglietto. Ramona è madida di sudore e vacilla. Meme si allarma:

- Ramona! Ma tu stai male… -

-  Sì. Mal di stomaco e mi gira la testa…-

-  Ho una stanza nel retro. Se vuole sdraiarsi un momento…-

- Grazie, no. Preferirei tornare a casa. Meme, per favore, chiama un taxi…-

Carla solleva la cornetta e compone un numero di poche cifre.

-  Faccio io. C’è un parcheggio in piazza. -

Pochi secondi dopo un taxi si ferma davanti alla galleria e Meme aiuta Ramona a salire sull’auto.

- Sarà ancora per ieri notte… - dice Meme all’amica che si lascia andare contro lo schienale del sedile posteriore della vettura. Meme le asciuga la fronte con un fazzoletto.

Il taxi corre per le strade di Firenze e Meme accarezza Ramona preoccupata. La ragazza è pallidissima e ha chiuso gli occhi.

- Come ti senti?-

-  Ho un blocco qui… come se mi avessero dato un pugno… forse lo spumante era troppo freddo.. -

Il tassista si volta e sorride alle due ragazze, masticando quello che sembra una gomma ma che invece è aglio. E’ il camerata "G" e torna a fissare le due ragazze con i suoi occhi porcini attraverso lo specchietto retrovisore.

-  Allora una bella camomilla bollente! E’ una mano santa… E’ da poco che siete a Firenze? –

Meme dà appena un’occhiata a quella faccia volgare e bitorzoluta, troppo presa dall’ansia per l’amica. Risponde macchinalmente lasciando fare alla routine senza badare troppo a quello che dice. Un po’ come nelle conversazioni da ascensore.

-  Sì, da poco. -

-  Le piace Firenze?-

-  A chi non piace? –

-  Affari o turismo? – insiste "G", masticando e cercando di mantenere un sorriso amichevole sui suoi denti giallastri, non aiutato certo da quello che ha fatto sulla sua faccia una natura matrigna.

-  Tutt’e due. –

-  Cercate qualcosa? – azzarda "G".

Meme avverte che la conversazione è uscita dai binari della consuetudine e attiva la sua attenzione fissando il tassista che subito si finge immerso nella guida.

-  Che cosa dovrei cercare? – chiede Meme sospettosa e "G", facendo appello a tutte le sue facoltà di intelligenza, riesce a cavarsela:

-  Non so, la felicità… l’amore… Tutta roba fiorentina…-

Meme si rilassa. Ramona ha riaperto gli occhi ma ha un conato di vomito. Il taxi si ferma davanti alla pensione. "G" annuncia, servile:

-  Siamo arrivati...- e scende per aprire la portiera posteriore. Meme tira fuori una
banconota e la dà a "G" che si fruga per il resto, ma la donna taglia corto:

-  Tenga il resto…- e aiuta l’amica a uscire dal taxi.

Meme sorregge Ramona su per le scale. La pensione è silenziosa. Beatrice non si vede. Meme apre la porta del loro appartamentino e accompagna Ramona fin sul letto.

Ramona si distende con evidente sollievo e Meme si scioglie la coda di cavallo, accende il gas e mette su un bollitore pieno d’acqua.

- Meno male che sono previdente e ho portato anche la camomilla. Prendi pure una pillola delle mie. Ti farai un bel sonno e quando ti svegli è tutto passato. -

Ramona apre gli occhi e chiede:

- Sono svenuta in taxi? –

-  Non lo so, non credo, perché?

- Perché non ti ho sentito dare l’indirizzo al tassista. –

Meme sta scartando una bustina di camomilla e si ferma. Si volta verso Ramona, pensosa.

-  Mi sa che hai ragione. Mica glielo dato l’indirizzo a quello. – Un brivido
serpeggia lungo la schiena della ragazza che guarda Ramona con apprensione

- Mio dio, quello sapeva dove abitavamo… -

-  L’ha chiamato quella tizia della galleria. Magari glielo ha detto lei.-

Meme controlla il manico del bollitore che scotta e prende una manopola, scuote la testa, preoccupata:

- Ma io non ho dato il nostro indirizzo neppure a quella lì. Gliel’hai dato tu?-

Ramona scuote la testa e richiude gli occhi con una smorfia di nausea. Meme versa la camomilla bollente in una tazza e si avvicina al letto.

- Allora sarà un tassista telepatico… - sussurra ironica Ramona.

- Piantala che mi fai paura e bevi mentre è calda….- Ramona beve e dà un’occhiata di traverso a Meme:

- Torniamocene a casa che è meglio. - Meme prende una scatola di sonnifero e scarta una pillola per l’amica:

- Pensi che quello non fosse un vero tassista? Certo, la faccia da delinquente ce l’aveva tutta… -

Ramona prende la pillola e la inghiotte con un sorso di liquido bollente. Ha una smorfia di disgusto. La camomilla le fa sempre quell’effetto. Da bambina vomitava mentre la madre la stava ancora bollendo.

Meme è agitata, più ci pensa e più si convince di non aver dato l’indirizzo al tassista che pure l’ha portata alla pensione. Però non vuole allarmare oltre Ramona che sta male e che finisce di bere la camomilla. Meme le prende la tazza dalle mani e Ramona si distende a pancia sotto sul letto e brontola a se stessa:

- Questo viaggio era cominciato bene, ma sta finendo male. -

 

CAPITOLO 15

 

Carla Giardino è preoccupata. Lei di tutta quella storia di sangue non sa nulla ma il commissario Camilleri insiste. Sullo sfondo c’è il ricordo di quella vecchia storia di orge, come se uno, adulto e vaccinato, non fosse padrone di fare quello che vuole. E se c’era una minorenne, lei come poteva saperlo? Ma va a spiegarlo a un poliziotto!

E adesso questo bel piedipiatti pensa che lei sia un’assassina. Decide di recitare la parte dell’innocente perseguitata. Spalanca le braccia davanti a Lucio:

-  Commissario! Ma è una persecuzione! Io non so nulla! Capito bene? Niente. Rien. Nothing. Come te lo devo dire, in arabo? Quella dipingeva ed era carina. Io le vendevo i quadri e non me la sono nemmeno scopata! Va bene? -

-  Non ti incavolare, Carla. Lo sai che non ti conviene, no? –

-  Che fai, ricatti per quella vecchia stupidata della Buoncostume? Guarda che i tempi sono cambiati. E poi davvero non c’entro. Pure quelle due fichette! Che diavolo vogliono? Cercano l’amica, e quella sarà andata a farsi fottere in un’altra parte del pianeta…-

-  Che ti hanno chiesto le due fichette? –

-  Come, non lo sai? Te ne sei scopata una o no? –

-  Faccio io le domande. Allora che hanno voluto sapere?-

-  Se Olga usava delle modelle. -

-  Le usava? –

-  Abitualmente no. –

-  Dammi la lista delle modelle non abituali e di tutti quelli che hanno comprato i quadri di quella Olga Olivieri.-

-  La lista? Presto fatto, li ha comprati tutto un solo cliente. Io alzavo i prezzi e lui comprava tutto lo stesso. Si era innamorato della pittura o della pittrice.-

-  Chi è? –

-  Diciamo un critico d’arte. Di quelli che dicono sempre che scopano e si fanno solo seghe. Ogni tanto lo vedi anche in Tv. Si chiama Vittorio Berta. Questo è il suo biglietto. E adesso lasciami in pace.-

Lucio prende il cartoncino e si inchina a Carla, in modo ironico:

-  Ti eleverò al grado di confidente speciale. –

-  Sì: spiona. - Lucio esce. Carla lo insegue

-  Commissario? –

-  Sì? –

Carla gli leva davanti alla faccia il medio della mano destra ben teso verso l’alto.

- Up yours… – risponde Lucio, divertito.

Carla lo segue con lo sguardo. Lo vede salire su un’auto della polizia con autista che subito si allontana. Rientra nella galleria e telefona. Dice soltanto poche parole:

- Pronto? Aspettati visite, animale…- e riattacca.

Berta resta col telefono in mano. Si passa un fazzoletto sugli occhi acquosi, eternamente piangenti. Mette giù la cornetta e si siede al rallentatore. Doveva succedere. L’ha sempre saputo che sarebbero arrivati a lui. Ora però bisogna avere nervi saldi e faccia di tolla. Non può negare di avere comprato i quadri di Olga ma questo certo non basterà per incriminarlo di omicidio. E’ incensurato e ed è innocente. Ci vorranno buoni avvocati però. Troveranno cavilli e attenuanti… E poi se tutto va male resta la legittima suspicione. Non va più in galera nessuno se ha soldi sufficienti per una dozzina di ricorsi in cassazione.

Berta si scuote: si conosce bene e sa di non riuscire a dominare la ruota dei suoi pensieri. Attenuanti di che? Lui non ha fatto niente. Beh, quasi. Certo non ha mai ammazzato nessuno. Beh, quasi. Una volta quel bambino ci rimase, gli avevano dato troppa cantaride… ma non volevano mica ammazzarlo. Un incidente. E poi è passato tanto di quel tempo, chi se lo ricorda più?

Il problema sono quei soldi. Tutti quei soldi. Avesse avuto un po’ più di coraggio adesso sarebbe a Molokai, quella deliziosa isoletta hawaiiana quasi deserta, di cui ha letto la pubblicità in un’agenzia di viaggi.

Berta sbuffa seccato e si alza: di nuovo la ruota dei pensieri, che ha nel chiuso della testa, gira per conto suo.

E’ che non si può impedire al cervello di pensare, non più di quanto si possa impedire al fegato di secernere la bile. Tanto vale risedersi.

Che dirà alla polizia? Niente, dirà, niente. Ha comprato i quadri di Olga Olivieri, e allora? Mai andato da lei, mai "coverta"… due estranei. Ecco, bene, due totalmente estranei. Eh, già…. E se poi qualcuno t’ha visto?

Adesso quel fottuto cervello ha creato addirittura un interlocutore! Nessuno mi ha visto! Chi può avermi visto? Io non devo diventare imputato di niente. Al massimo testimone e i testimoni non devono mentire. Dirò che la conoscevo di vista. Anzi devo usare i verbi al presente: la conosco di vista. E poi chissà se lei era la vittima o l’assassina. Una messa in scena? E se fosse stata tutta una messa in scena a mio uso e consumo? No, che pensiero idiota, non avrebbero lasciato i soldi…. Oppure sì? Frega assai adesso… devo dire di non essere mai stato in quella casa. Questo devo sostenerlo per forza.

E quelle due bellone amiche di Olga che cosa sapranno? Magari quella gli aveva detto dei soldi e le due li stanno cercando. Bisognerebbe saperne qualcosa di più, ma senza scoprirsi.

Facile da dire ma non da fare. Berta guarda l’ora, è ancora presto. Chissà se quelle due sono in pensione o in giro a ficcanasare… questo lo si può sapere con una telefonata.

Berta pesca un appunto dal suo portafoglio e compone un numero sulla tastiera del suo cellulare.

- A chi telefoni? – una donna di mezza età, profilo nobile ma arcigno, una bellezza altera che il tempo sta cancellando, si affaccia nel salone alle spalle di Berta.

- Cara… telefono alla galleria d’arte. - L’uomo sorride alla moglie, succube, parlando con voce un poco strascicata in cerca di approvazione.

-  Non buttare altri soldi in croste! – ordina la donna ritirandosi e Berta le
risponde docile:

-  No, Livia. – e intanto irrigidisce il dito medio della mano destra tenuta bassa lungo i pantaloni.

 

CAPITOLO 16

 

Il telefono squilla sul comodino di Ramona, accanto al letto. La donna spalanca gli occhi e lo squillo cessa. Ramona alza la cornetta ma c’è già il segnale di libero.

La stanza è in penombra. Il vento della sera gonfia le tende. Ramona si mette a sedere sul letto. Si ravvia i capelli e si passa una mano sullo stomaco.

Un rumore attira la sua attenzione. Forse in corridoio.

- Meme, sei tu?-

Nessuno risponde. Ramona cerca la peretta della luce, la trova e pigia ripetutamente l’interruttore ma invano. Non c’è corrente. Ramona entra in uno stato di ansia, cerca di dominarsi: la corrente può mancare no?

Una porta cigola e sente il rumore di un passo nel corridoio che avanza verso la stanza. Ramona scende dal letto spaventata, cercando di non far rumore e si rannicchia dietro il comò. Il suono del passo cessa. Ma è oltre le tende svolazzanti della portafinestra che Ramona intravede un’ombra, defilata, schiacciata contro il muro del balcone.

Ramona arretra, gli occhi fissi su quell’ombra scura e finisce per sbattere contro il petto di un uomo. Urla. L’uomo la abbraccia:

- Ramona! Sono io! Lucio! Che diavolo fai al buio… -

E’ Lucio Camilleri che, senza lasciare la ragazza accende la luce premendo l’interruttore sul muro. Ramona si dibatte con rabbia:

- Che diavolo fai tu in casa mia, al buio, in mezzo alla mia camera da letto! - Sei scomparsa! Non mi hai più chiamato, niente! E chi sei? Una scopata e via?-

Ramona allunga uno schiaffo a Lucio che in parte riesce a evitarlo:

- Dai, scherzavo! Ho telefonato, prima era occupato e poi non rispondeva più nessuno. Ero qui sotto e volevo invitarti a mangiare una pizza. La porta era aperta e sono entrato. Scusa, non volevo spaventarti. –

Ramona non è convinta. Si libera dall’abbraccio e punta un dito verso la portafinestra:

- C’è qualcuno sul balcone…-

Lucio va a sbirciare guardingo, poi spalanca i vetri socchiusi, lotta un attimo con le tende e torna dentro con uno scopettone e un secchiello sopra.

-  Damigella, ecco il marrano… -

Ramona scoppia a ridere perché l’immagine guerriera di Lucio con lo scopettone e il secchio è proprio buffa.

-  La tua amica non c’è? –

-  Pare di no. Mi ero addormentata. Ti dispiace che sono sola? – Lucio finge di ponderare e quando Ramona sta di nuovo per esplodere, la riabbraccia:

-  Affatto. Però è meglio che vada a chiudere la porta. –

 Lucio va a chiudere la porta in fondo all’anticamera e Ramona si stiracchia davanti alla portafinestra. Qualcosa attira la sua attenzione e si blocca. Le è parso di vedere un uomo, da una finestra di fronte, oltre il cortile a pozzo, con un binocolo puntato nella sua direzione, ma quando Lucio rientra non ha il coraggio di dirglielo per non sembrare paranoica.

                                                                                                                                                                                                        continua 

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