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COME ENTRARE NEL CINEMA….…. e restarci fino alla fine

PARTE TERZA

CAPITOLO XV

Dopo il dolce viene l'amaro, dopo il sogno la realtà.

Anche il Presidente del Centro Sperimentale deve aver sognato. Il bravo La Calamita dice di non ricordare di averci promesso di pagare le spese di stampa e di edizione dei nostri due documentari spagnoli. Siamo in un guaio: chi pagherà l'Istituto Luce che sta sviluppando i negativi della nostra fatica? Decidiamo di far finta di niente e lasciamo che la lavorazione proceda: non pagare l'Istituto Luce andrà di gran moda negli anni futuri.

Per le musiche di commento, il padre di Romano, direttore dell'allestimento scenico della Scala di Milano, ci consiglia di cercare un certo Mario, compositore amico suo.

Romano ci racconta di questo Mario: ha un grande talento e da anni sta lavorando ad un'opera per la Scala di Milano. Si è trasferito a Roma da un paio d'anni, chissà come se la passerà nella capitale! Lui lo ricorda con le toppe al culo.

L'indirizzo che ci ha dato il gran padre di Romano è sulla Cassia. Ci arriviamo con un autobus che corre per dieci minuti in mezzo alla campagna dopo le ultime case civili di Corso Francia.

Cassia n. 875. L'indirizzo è quello e sta sul cancello di una villa grandiosa con parco. Romano sospira: povero Mario! Chissà che lavoro farà in quella grande casa! Suoniamo le campane del Big Ben premendo un pulsantino incastonato sul muro.

E' Mario stesso ad aprirci, trasandato nel vestito, con le ciabatte ai piedi. Romano lo bacia tre volte e fa le presentazioni, poi lo prende sottobraccio e gli sussurra:

- Che fai qui? Il giardiniere? Il portiere?-

Mario lo guarda divertito:

- Questa è casa mia.- e ci indica la villa, il parco, la grande piscina. Romano scoppia a ridere stentoreo e gli dà una manata micidiale:

- Dai, culone! I padroni sono fuori eh?-

Per convincerci Mario ci fa fare il giro della casa e mostra a Romano le fotografie incorniciate della moglie, i suoi vestiti negli armadi e poi, giù, nel seminterrato dove ha allestito una sala di registrazione.

Romano spalanca le braccia: sembra proprio la casa di Mario.

- Come hai fatto?-

- Ho messo da parte la lirica per un po' è ho fatto la colonna di qualche film che ha incassato bene.-Ne traiamo subito papale deduzione che può farci il commento musicale senza pretendere una lira. Accetta ridendo e così possiamo aggiungere nei titoli di testa il nome prestigioso di Mario Nascimbene.

Al Centro ricominciano le lezioni e il nuovo Presidente ci avverte che lui non permetterà più quelle pastette con le borse di studio : chi ne ha diritto la prende e basta, non si divide più.

Faccio presente che io l'anno scorso l'ho divisa. Mi guarda irridente e pretesco stropicciandosi le mani come don Abbondio: le borse non s'hanno da dividere, né ora né mai. Bravo!

Vado alla mensa con una borsa più grande perché dentro ci metto anche roba per Alberto che ammuffisce nei sotterranei di via Dora.

Siamo senza insegnante di regìa perché Alesetti Blasandro sta girando "Amori e chiacchiere" e io mi faccio mettere a letto dall'asiatica unica cosa vivente che in questi favolosi anni Cinquanta ci arriva dal terzo mondo.

Quando torno pallido e smunto nell'aula di regìa c'è aria di congiura. Giuliano, Tonino e gli altri colleghi hanno reclamato presso il presidente viscidone che li ha consigliati di scrivere una bella lettera contro l'assenteismo di Blasetti. Me la danno per la firma.

Gli dico che sono matti. Vogliono inimicarsi Blasetti che è uno dei fondatori della scuola, l'unico che ci abbia insegnato qualcosa di utile, per stare dalla parte di quella scivolosa democristiana La Calamita? Con questa orazion picciola li faccio sì acuti che strappano la lettera e subiscono la rabbiosa accusa del presidente che voleva usare la nostra protesta per far fuori il Maestro.

- Porco! Porco! Porco!- la voce di Mara esplode nei mussoliniani squadratissimi corridoi del Centro- Bell'esempio! E questo perché fa il direttore!-

Mara scuote i capelli rossi e sbatte la palpebre da bambola sui grandi occhi neri. La accerchiamo gonfi di curiosità morbosa: che è successo? Ha detto porco al direttore?

Mara annuisce: poiché è la migliore del corso di recitazione le han dato un premio di quindicimila lire. Bel premio! Chi ha il premio perde il diritto alla borsa di studio che è notoriamente di cinquantamila lire! Poichè con quindicimila baiocchi la bella Mara non riesce a sopravvivere è andata dal direttore a chiedere aiuto e giustizia.

Il direttore la fa sedere accanto a lui e la ascolta comprensivo come un buon papà, battendole un colpetto con la mano su un ginocchio. Si dichiara assolutamente d'accordo che una splendida creatura come Mara non può vivere con quella miseria di premio e le dà un altro colpetto un po' più su. A Mara non basta che sia d'accordo, vuole rinunciare al premio e riavere la sua borsa, altrimenti dovrà lasciare la scuola e tornarsene a Napoli. Il direttore si scalda, spinge la sua mano sempre meno paterna sotto l'orlo della gonna, sfiorandole le cosce. perché non fa anche lei come tante altre sue colleghe?

Abbiamo tutti il fiatone: e poi?

- Gli ho chiesto come fanno le altre. Ho chiesto...- qualcuno comincia ad ululare, Rik Battaglia si piega in due sghignazzando. Una vera speranza del nostro cinema sbuffa -Cretini!- e si allontana sculettando.

- Ma non sentivi la mano?- le chiedo cercando di mantenere normale la voce.

- Sì, ma pensavo... è il direttore, non può esserci malizia...-

Adesso i piegati in due sono parecchi e il gruppo aumenta di raggio mentre la storia viene ripetuta e amplificata lungo la circonferenza per i nuovi arrivati.

- E quando hai cominciato a pensare che c'era malizia, quando s'è tolto le brache?- chiede Rik tra i singhiozzi di una risata incontenibile.

- No - continua Mara imbarazzata- quando è arrivato alle mutandine con la punta delle dita... allora, ho pensato che ci marciava e sono scappata via gridandogli che è un porco!-

Guardiamo verso le porte degli uffici della direzione e della presidenza. Restano chiuse e silenziose. Dopo qualche minuto esce serafico Felice, fischiettando. Lo abbordo:

- Che è successo di preciso? -

Si stringe nelle spalle:

- Niente! E' quella rossa lì che fa teatro per una stupidaggine.- I suoi occhi ridacchiano e diventa confidente:

- E allora quella volta che sono entrato senza bussare e ho trovato la... beh, diciamo un'allieva che gli stava facendo... lasciamo perdere, va! E poi è una tradizione, lo sai com'è morto il direttore che c'era prima? -

Io non lo so.

- Infòrmati!- mi sghignazza in faccia dandomi una bella pacca sulla schiena.

Corro ad informarmi. Lo sanno tutti: rimase secco al suo posto di lavoro mentre un'allieva, diventata poi una famosa attrice, si produceva, come dire, in un esame orale.

Meno male che non ci fanno fare anche gli scritti.

Interessante, ma io non posso sperare nelle dita nelle mutande ed è quindi inutile che vada dal direttore a chiedere quel che devo fare per sopravvivere.

A mezzo novembre è arrivata in via Dora un'altra gentilissima lettera della padrona di casa che ci fa presente che ormai i mesi di fitto da pagare sono tanti. Ci prega di provvedere. E come? Ora che Roberto è chiuso in un carcere militare anche la provvidenziale pasta Masignani ha preso altre strade.

Mi ricordo della promessa di Blasetti, devo parlargli, il che significa andare a Cinecittà.

Adesso quei cancelli mi fanno meno paura. E poi non c'è più un viavai di cadillac. Ora dai cancelli laterali escono greggi di pecore portate a brucare l'erba che cresce rigogliosa là dove sono cadute le ceneri di Mosca.

Con tono sicuro dico al portiere che vado da Blasetti.

- Teatro cinque. - mi risponde. Annuisco e mi avvio per i viali a lunghi passi. Il cinque è quello grande. Attraverso l'ampio corridoio di servizio e mi fermo davanti alla porta insonorizzata. L'insegna "si gira" è spenta, quindi posso entrare. Giro il maniglione e spingo con forza: la porta si apre con un lungo lamento draculiano e le luci del set mi abbagliano.

- Chi è quello stronzo... Stooop!- è la voce di Blasetti. E lo stronzo devo essere io. Con tre salti gli sono addosso e lo afferro per il collo: stronzo a chi?!

Tutti restano immobili, in attesa della spaventosa reazione del sanguigno maestro e invece Blasetti mi abbraccia e mi bacia sulle guance.

Mi guardano come un miracolato, nessuno sa della lettera che i miei compagni volevano firmare contro di lui.

Allento la presa confuso, balbetto che il "si gira" era spento ma Blasetti non ascolta e mi giura tonante eterna gratitudine che è nobilissimo sentimento ma non paga dodici metri di budella vuote. Devo bassamente ricordargli la sua promessa a proposito della borsa di studio. Alesetti Blasandro mi stacca un assegno da tredicesima! Ora anch'io posso esternare eterna gratitudine.

Torno felice in via Dora e inciampo in un baule. Romano ne ha riempiti tre, quelli grossi, delle grandi partenze. Si sventola col suo passaporto argentino, nazionalità di comodo acquisita insieme alla moglie, e parla con l'ambasciata: riserveranno per Romano e Marta gli ultimi due posti sull'ultimo aereo che lascerà Roma.

Mordicchio l'assegnone di Blasetti e di colpo mi si illumina il cervello. Gli punto un dito addosso:

- L'Ungheria!-

Annuisce sfuggendo al mio sguardo. Ma io non posso sfuggire alla voglia di fare l'ironico:

- Ma come, il russo bianco e rosso scappa per paura che i suoi compattrioti arrivino fino a lui?-

L'Ungheria è in rivolta da giorni e i carri armati russi sono in movimento ma non credo che passeranno le Alpi.

Romano assume la sua aria da Rasputin che lo rende sosia di Peter Ustinov mentre nei panni di Nerone scruta l'amico Petronio nel "Quo vadis?"

- Gli americani daranno un ultimatum ai russi e sarà la terza guerra mondiale. -

- Quo vadis, Romanus? E' bello pro patria mori finché i capi possono mandarci gli altri. Vuoi che a Washington si facciano fondere dai protoni termonucleari per quattro poveri ragazzi ungheresi?-

Passiamo la notte con gli amici a sentire gli appelli radio da Budapest. Ci supplicano di aiutarli. Fanno una gran pena ma alle quattro del mattino stiamo piangendo per gli sbadigli. Guardo le facce di tutti e sono sicurissimo che la guerra non si farà.

Il giorno dopo vado regolarmente a scuola. Tutti vanno regolarmente a scuola. Niente cortei per le strade, niente movimento studentesco. Il partito comunista ha detto che i russi fanno benissimo a massacrare i giovani ungheresi, e Ingrao e Pajetta, reduci dall'ennesimo viaggio a Mosca, decantano le gioie, le meraviglie e il benessere del paradiso rosso. Scopriremo che han la faccia come il culo quando ormai le loro chiappe saranno vizze.

Studenti che ripassano la lezione sul tram, che prendono il cappuccino col cornetto, che ridono alle goliardate di sempre e poliziotti poveri cristi malpagati senza elmo e senza scudo. Le birre sono ancora coi vuoti a rendere e nessuno può usarle per farne molotoff. A Budapest muoiono tutti mitragliati dai liberatori rossi. Amen. Krusciov evidentemente ha aperto la seconda lettera.

Dopo cinque giorni Romano disfa i bauli e l'ambasciata argentina avvisa i residenti che il rimpatrio non è più necessario.

Le lezioni al Centro si susseguono monotone e inutili, ma mi permettono di restare a Roma e tentare di entrare nel cinema.

Dovrei darmi da fare ma ho il primo rapporto difficile e alle nove devo essere a scuola altrimenti Catania non mi dà più il buono per la mensa. Fortuna che Catania è un usciere buono e il buono me lo dà anche se arrivo alle nove e un quarto a patto che ascolti una delle sue poesie. E' un usciere romantico che da vent'anni compone sonetti sulle belle ragazze che gli passano davanti.

Quando arrivo alle nove e un quarto, sul tram dei sogni incontro sempre Mara. Lei sale alla prima fermata e io le tengo il posto dal capolinea. Ha gli occhi pieni di sonno e vacilla per gli scossoni del tram. Uno spettacolo che spalanca il cuore al desiderio di vivere: indossa un vestito grigio cucito con stoffa da cappotto e tutto bottoni dalla gola alle ginocchia, aderente come una calzamaglia. Gli ultimi tre bottoni assassini Mara non li allaccia per poter camminare e come cammina lei non cammina donna sul pianeta.

- Mira Mara come marea!- mi sussurra un mio compagno colombiano leccandosi le labbra. Socchiude gli occhi sui fianchi torniti e ondeggianti e sospira:

- Parece un reloje de rena...- una clessidra che oscilla come un pendolo. Ovvio che al direttore sia scappata una manina, è siciliano e per lui le ragazze che vogliono far le attrici sono pronte a tutto e se, dopo vent'anni di direttorato, la pensa ancora così deve essere stato divertente. In più Mara dimena l'anca e come dicono dalle parti sue " femmena che dimena l'anca o puttana j'è o poco ci manca".

Dal suo punto di vista culturale andava sul sicuro ma visto che si è clamorosamente sbagliato bisognerà andarci con le mani di piombo.

Prendo il discorso alla larga parlando di filosofia e finalmente tornano utili le fumose lezioni di estetica del professore dai calzini viola.

Scopro in rapida successione:

a) Mara è fidanzata con un tizio che ha dieci anni più di lei.

b) Vive a Roma da sola col fidanzato.

c) Quando fa l'amore le viene il mal di testa.

A me paiono notizie di interesse estremo.

In via Dora 2 abbiamo trovato un sistema per mangiare e bere copiosamente almeno una volta alla settimana: organizziamo delle feste. Gli invitati sono bene accetti se portano proteine, liquide o solide non importa.

Il seminterrato diventa un night e le finestre spalancate sul marciapiede sono l'attrattiva turistica del quartiere ante Piper. Rimediamo spesso guardie notturne, vicini protestanti, americani e americane in cerca di dolce vita e ubriachi e mignotte in cerca di comprensione.

Frank Sinatra canta per me "I've got you under my skin" mentre ballo con Mara nell'unico modo in cui sono capace: adesivo. Per non pestarle i piedi e per averla più ad altezza d'uomo, la faccio salire sulle mie scarpe: così sì che andiamo in sinc!

Il fidanzato di Mara è un tipo strano. Le compagne di Mara lo chiamano Quasimodo e fanno ipotesi:

a) Quasimodo è bruttissimo ma è un superdotato sessuale.

b) Mara è bellissima ma ha un difetto fisico che le impedisce di scopare.

c) Mara è una gran dritta e si tiene Quasimodo che è impotente come copertura di chissà quale giro.

Io che stringo Mara fra le braccia e la guardo nei grandi occhi da gazzella sento che sono tutte teorie sbagliate. Però non me ne viene una mia: dovrò impegnarmi di più per trovarla.

Io e Romano abbiamo affittato per un mese una macchina per scrivere e stiamo scrivendo un soggetto cinematografico a quattro mani, così mi posso offrire come dattilografo a Mara per battere il testo di un libro giallo che ha scritto per un neo-editore da edicola.

E Mara arriva. Non ho cambiato il nastro alla vecchia Underwood, con gli ultimi soldi ho comprato una coperta nuova per il letto. Ho passato ore a guardare oltre l'inferriata della finestra, lo stomaco contratto e un rombo di cascata nelle orecchie. Non ho solo un desiderio pauroso, ho anche una paura fregata.

Nei favolosi anni Cinquanta c'è il problema di essere all'altezza. E se Mara capisce subito che per me è la prima volta con una ragazza vera e mi ride in faccia?

C'è da morire d'angoscia. Controllo ogni cosa: la penombra naturale del seminterrato che rende romantiche le macchie d'umido, la macchina per scrivere pronta sul tavolo come la torta della nonna di Cappuccetto Rosso, la coperta nuova ben stesa sul letto, la chiave nella serratura dalla parte interna. Ho messo il lumino stradale in fondo al corridoio e Alberto starà alla larga, ma succederanno cose da lumino?

Un passo veloce. Due gambe dritte, fasciate di nylon color fumo, passano davanti alla finestra. Mi aggrappo all'orlo del marciapiede ma non sono quelle di Mara. Le sue hanno una tornitura particolare, i muscoli delicatamente scolpiti da anni di ginnastica artistica, la pelle color estati capresi, caviglie sottili, piedi piccolissimi infilati in scarpe con tacchi tipo Eiffel da dodici centimetri, piccoli polpacci nervosi da puledrina araba che terminano in ginocchia perfettamente rotonde: che rotule, ragazzi! Più su, eh più su c'è arrivato soltanto il direttore del Centro, con una mano sola e senza rete, beccandosi un'ovazione di porco rimbombante che lo ha costretto a interrompere la spedizione.

Un altro passo di donna risuona sotto l'arco del Coppedè, ma è troppo pesante. Due sandaniele mi attraversano il campo visivo quadrettato dall'inferriata. Ma subito dopo ecco un ticchettare veloce, quasi un tip-tap romantico. Fermo il fiatone: è un passo nitido e solo!

Le incantevoli gambe di Mara attraversano la follia liberty della mia finestra rasoterra. Una mano mi prende lo stomaco e lo strizza con violenza. Corro su per la scala di legno, incespico, mi aggrappo, mi impongo un lungo respiro. Il campanello suona. Faccio in un salto gli ultimi quattro scalini, le mani tese verso il catenaccio dell'uscio. Mi fermo: se mi vede così, si spaventa e scappa. Tre bei respiri fondi. Il campanello suona per la seconda volta.

Si affaccia Marta dalla porta della sua stanza: le faccio bruscamente cenno che non è il postino. Capisce, sogghigna e richiude. Mi ravvio i capelli sui lati della testa, sopra sono rimasti in pochi e stanno a posto da soli, posso aprire.

- Mara!- esclamo vedendomela davanti con l'abito grigio dai cento bottoni che la segna tutta. Piega un po' la testa e le ciocche tiziano giocano sulla sua guancia. Mi guarda con occhioni ridenti e c'è un trillo di malizia nella sua voce.

- Non mi aspettavi?-

- Sì,sì! Ma... sì. No, è che... mi ero addormentato. -

Mara ha una cartellina in mano. La faccio entrare e la faccio scendere nella mia stanza. Va dritto alla macchina per scrivere e posa la cartellina sul tavolo. Tira fuori dei fogli e dice qualcosa ma io ho Niagara nelle orecchie.

Mi guarda interrogativa e io ciancico i fogli coperti dalla sua grafia rotondina e svolazzante.

- Quante cartelle devono venire?- "Che faccio? La abbranco e la bacio? E se non ci sta? Rovino subito tutto."

- Sessanta cartelle a spazio uno. Forse il mio romanzo e un po' corto. -

- Nel copiare aggiungerò qualcosa io. -

 "Però se non la bacio subito e comincio a scrivere, dopo come faccio? Se lei è venuta qui da sola non sarà solo per scrivere a macchina!"

- Magari! Tu scrivi così bene!-

- Grazie. - "Mi ha pure detto che son bravo. Ha letto solo un paio di lettere che le ho scritto quest'estate a Capri. Questo è un incitamento mascherato."

- Davvero. Anche Blasetti ha detto che sei il più bravo. -

- Blasetti mi vuol bene.- "Adesso mi butto... la mano destra sulla sua spalla sinistra...no, così poi mi viene male a baciarla... meglio piegarla con la sinistra sulla mia sinistra così la bacio di destro..."

- E il tuo fidanzato?- "Ma tu guarda che imbecille! Mi morderei la lingua, porco giuda! Il fidanzato vado a dire!"

Mara alza le spalle.

- Oh quello. Abbiamo di nuovo litigato. Non so... da quando siamo a Roma...- scuote la nuvola tiziano.

"Ovvio, non la capisce. Lo dicono tutte. Adesso la agguanto con virilità e ...accidenti, ha gli occhi umidi come se stesse per piangere! Che attrice! Ci mette anche l'umidore! Allora, la mano destra... no, la sinistra sulla spalla e...-

- Quante copie devo fare?-

- Due se hai la carta. -

"Certo che ho la carta, ma che mi frega della carta! Guarda che labbra... hanno i contorni segnati con la matita e sono campite di succulento rossetto tulipano. Il letto è qui dietro... due passi e me la metto sotto..."

- Mi detti?-

- Prendo una sedia. -

"Meglio da seduto. Le metto un braccio intorno alle spalle, vien più naturale, meno Valentino. Però se adesso mi detta son fregato, devo scrivere. Devo baciarla subito, adesso, adesso, adesso..."

- La ragazza, coperta più dai suoi lunghi capelli che dal microscopico puntino di pelliccia, si muoveva felina e sensuale accennano appena ad un passo di danza. I seni alti e appuntiti come quelli delle cerbiatte...-

-...delle cerbiat..te...-

"Delle cerbiatte? Sono fregato! Sto scrivendo con tutte e due le mani, come faccio ad abbrancarla con irruenza?"

-...sobbalzavano ad ogni movimento sottolineando il ritmo della scombinata orchestrina...-

-...orche...stri...na...-

"Pure roba sexy! Forse vuole sfottermi. E io scrivo olimpico, distaccato...-

Sono a pagina venti e Mara dice che è tardi e che deve andare.

- E no!- è quasi un urlo. Mi guarda sbattendo le palpebre come un'antica bambola di bisquit.

- Perché?-

- Perché... perché...- non mi vengono scuse mentre il rombo delle cascate si fa assordante. Sento che cominciano a tremarmi le mani.

La abbranco. Destra, sinistra, chissà. Premo la mia bocca sulla sua. "Adesso svaga che non ho esperienza...." è l'ultimo pensiero prima che qualcosa di rosso come una muleta mi cali davanti agli occhi. Le labbra di Mara sono morbide e profumate. Annaspo nella nuvola tiziano. Lei cerca di respingermi, ma con grazia.

Sono nel profondo rosso. Sangue. Vino. Fuoco. So perché il toro incorna. So perché l'inferno brucia.

Crollo con lei sul letto. Non si oppone, resta come svenuta nelle mie braccia. Mi snebbio in rosa e la guardo: possibile? Questo faccio alle donne con un solo bacio? Cretino, questa fa finta. C'è sempre la vocina stronza che chiamiamo buon senso. Sotto coi cento bottoni allora!

Comincio dalla gola: un bacio e un bottone. Roba da Casanova.

Ha il pagliaccetto. Fantastico, le circondo quasi interamente la vita con una mano sola! Sfioro con le labbra le rotondità del seno, alte e appuntite... le cerbiatte devono averlo sul ventre come tutti i bovidi...ma che faccio? Salgàri? "Attento Sandokan, un rinoceronte, animale ruminante che vive nelle alte erbe delle savane nutrendosi di germogli e radici e che può raggiungere i quattro metri di lunghezza e le tre tonellate di peso, ti sta venendo addossooooo!"

Il pagliaccetto è a quadrettini blu come i grembiulini dell'asilo. Di un sexy folle. Sbuccio Mara come una banana facendola uscire dalla biancheria. Le spalle perfette, le anche rotonde... accidenti, non ho sbottonato i polsini!

- No... no...- geme Mara flebilmente ma ruota i polsi. Dice di no per salvare le apparenze. Ecco i bottoni!

Via le maniche. Via la buccia. Via tutto! Dio, il reggicalze di pizzo nero. I gancetti. Come si slacciano questi maledetti gancetti?!

Mara mi pianta le unghie nelle braccia. Ha gli occhi chiusi e continua a sussurrare:

- No... no...-

Non ci casco davvero. Mi graffia per salvare le apparenze!

Maledetti ganci della malora, io vi spacco! Mara cerca di sottrarsi, si è accorta che non so spogliare civilmente una donna.

- No...- sussurra ancora. La bacio. Femmina mia, sono maschio! Mi pianta le unghie nella schiena e scava. Qualcosa mi cola sulla pelle, forse è sangue mio ma sono soltanto una vigorosa forza maschilista della natura.

Mi pianta i denti in una guancia e stringe. Stringe come una dannata! Sento i suoi incisivi che si toccano dentro la mia bocca.

La vigorosa forza maschilista della natura si affloscia. Salvare le apparenze va bene, ma questa non sta esagerando? Dev'essere una sadica!

E morde, accidenti a lei, morde come una cannibale! Non molla più la presa, come una murena. Le stringo la gola con forza e finalmente apre la bocca. Mi alzo tremante di dolore, di rabbia e di vergogna. Corro in bagno a guardarmi: mi ha sfregiato!

Dallo specchio mi fissa un bruto scarmigliato con la guancia rotta e piena di sangue. Metto la testa sotto il getto del lavabo e torno a guardarmi. Adesso è un imbecille scolante acqua e sangue che mi fissa dallo specchio. L'imbecille è colmo di una muta domanda: dove hai sbagliato?

Mara si è rannicchiata sulla poltrona. Non si è rivestita. Se ne sta piegata in due e piange.,

- Ma tu sei matta!- inveisco- Guarda che mi hai fatto!-

Non alza lo sguardo e non si muove.

Allungo una mano per scuoterla ma mi fermo. Una goccia rosso rubino contrasta con la pelle dorata delle sue gambe. La stanza fa un giro su sè stessa e poi mi colpisce alla bocca dello stomaco. Mara è... Mara è... era vergine!

Le gambe mi si piegano sotto. Mi trovo inginocchiato davanti a lei a dirle parole che non riesco a sentire.

- Ma se mi hai detto che quando fai l'amore ti viene il mal di testa...-

Si asciuga le lacrime e sussurra:

- Non è questo far l'amore... io non l'ho mai fatto così... questo si fa solo dopo sposati...-

Mi cascano le braccia e sento il pavimento sotto le palme. Me le raccoglie e se le mette in grembo. Mi sfiora la guancia tumefatta con la punta delle dita.

E' un tocco magico perché la vigorosa forza maschilista rimonta in me in tutta la sua violenza. Mi domino e cerco di staccarmi da lei.

Mara mi guarda coi suoi grandi occhi scuri che ora sembrano più profondi e vellutati, come se la luce dell'innocenza si stesse intorbidendo.

Forse così la mantide guarda il suo maschio prima di mangiarlo.

Pazienza. Il destino si compia! Con supremo sprezzo del pericolo torno a prenderla fra le braccia.

Io sono stato il tuo primo uomo, tu sei stata la mia prima donna. Non mordermi, amore, cercherò di non farti male. Non morde e il mio cuore pompa a fatica uno strano dolcissimo miele dentro le mie arterie.

Non me ne importa più niente di entrare nel mondo del cinema.

 

CAPITOLO XVI

In Italia nel 1956 si son girati pochissimi documentari e dovrebbero dare a noi i premi di qualità previsti dalla legge. Due premi da sei milioni di lire anteinflazione, lire da premio mondiale per la stabilità della moneta.

Ci han detto che i loro amici di partito prenderanno il premio e noi lo prendiamo nel culo. Lo hanno detto con altre parole ma che importa quel che dicono gli stupratori?

Hanno deciso di non assegnare i premi quest'anno e il bigliettino del ministro, rimediato da Romano, con ben due punti esclamativi non ha fatto effetto alcuno. L'ineffabile ministro ha spiegato a Romano, spinto dalla forza del padre, che non può rifiutare una raccomandazione a nessuno per ragioni elettorali e di cortesia, ma che ha stabilito un codice grafico segreto coi colleghi parlamentari e di governo: tutto sta nel punto che viene dopo la dicitura dei saluti. Un banale punto fermo vuol dire di non tenere in alcun conto la raccomandazione. Un punto esclamativo significa che si deve fare il possibile per esaudire la richiesta. Due punti esclamativi hanno il senso di un ordine categorico. Non si discute! La raccomandazione deve essere esaudita.

Da come vanno le cose credo che i due punti esclamativi significhino invece "il latore della presente è un gran rompiballe."

L'Istituto Luce vuole quattrocentomila lire e il presidente viscidone nega l'impegno tutto impegnato a scrivere trattati sulla Cassa del Mezzogiorno. Proviamo coi punti esclamativi ma il Luce non deve avere il codice giusto.

Al CSC il direttore manolesta viene trasferito a migliore incarico e Felice vede drasticamente ridotto il suo potere. Riflessi pesanti su alcune allieve: Jole e Luisa rotolano a terra strappandosi reciprocamente i capelli. Jole accusa Luisa di essere l'amante dell'ex-direttore e Luisa accusa Jole di essersi fatta l'ex-segretario per farsi mandare a Venezia al posto di Mara che aveva vinto il premio quale migliore attrice.

Quella per andare a Venezia è una gran battaglia. In questi favolosi anni Cinquanta Venezia ha una mostra turpe dove una vergognosa giurìa stila una classifica dei film in concorso dando leoni d'oro e d'argento ai migliori! La turpitudine del festival è sottolineata dalla partecipazione di tutti i grandi nomi del cinema e dell'intellettualismo mondiale che non si vergognano di mescolarsi, fasciati in lucidi smoking, ai produttori capitalisti e alle poppute divette in cerca di gloria.

Il sessantotto è ancora lontano e anche noi allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia siamo travolti dal malcostume, pronti a tutto pur di farci ospitare gratuita- mente dalla vergogna veneziana. Nel regolamento del CSC sta scritto che Venezia è viaggio premio per i migliori, ma non specifica in che cosa e Jole e Luisa saranno entrambe sulla laguna.

Felice cerca nuovi poteri all'esterno e il principe con la P maiuscola si offre di combinargli un incontro con degli americani che han dato vita ad un movimento dal sospettosissimo nome di Riarmo Morale.

Torniamo in gruppo al Residence Palace e il principe ci parla di Picasso. Romano risponde coi pinnacoli della cattedrale di Burgos.

- Chi vi ha ricevuti a Madrid?-

- Il conte di Luna.-

Il principe si illumina di gioiosa sorpresa:

- Toh, il mio caro cugino!-

Stringo i pugni con forza intorno al mandato di pignoramento che mi ha mandato l'Istituto Luce e i serafici nobilissimi occhi hanno una sottile passeggera nebbia di disagio. Mi chiede che impressione mi abbia fatto El Greco.

Felice riporta il discorso sugli americani e nelle sue pupille si vede chiaramente il segno volgare del dollaro. Il principe spiega che si tratta di una potente setta con diramazioni in tutto il mondo. I suoi adepti praticano la confessione pubblica e più peccati si han da dire meglio è. Se accettiamo di entrare nel Riarmo Morale ci offrono subito diecimila dollari per girare un documentario di un'ora ad Haiti sulla vita e le gesta di Papà Doc. Tiro la giacca a Felice: Papà Doc è un piccolo Hitler! Felice mi invita imperiosamente al silenzio. Obbedisco guardando il volto olimpico del principe: con la sua velocità nel concludere affari, c'è tutto il tempo per la rivoluzione ad Haiti.

Infatti due mesi dopo siamo sempre al Residence Palace a sorbire (con un principe non si beve) un whisky e ad ascoltare le suadenti parole del nostro anfitrione che forse parlerà di noi "una di queste sere" ai dollarosi americani. Felice ha rinunciato da un pezzo alla cravatta argentata e ha superato completamente l'handicap sociale: sta sbracato sulla poltrona e leva alto un pugno. Non è un segno di politica protesta ma di fisica minaccia. Il principe lo guarda quel pugno serrato a poche dita dal suo naso, con benevolenza.

- A Toro Seduto!- ruggisce Felice con la bava alla bocca- Se domani nun ce li presenti te sfragno er naso! Capito principe?-

Ha capito. Il giorno seguente Felice sale sul pulpito della confessione pubblica davanti alla platea della colonia americana di Roma. Spalanca le braccia e chiede silenzio.

Confessa subito il suo peccato capitale: è entrato nel Riarmo Morale spinto dalla speranza di far dollari e questo indegno movente gli tortura la coscienza e chiede pubblico perdono.

Applausi scroscianti. Un successone e Felice sorride con la faccia come il culo.

Il viscidone ha vinto un premio letterario con un opuscolo sull'agicoltura del sud e gli interventi della Cassa del Mezzogiorno. Secondo noi l'unica cosa che ha coltivato sono i finocchi ma lui è all'apice della parabola e noi siamo inseguiti dai disperati tentativi del Luce di rientrare delle spese di sviluppo e stampa dei documentari. Ma, come ci insegna tutti i giorni Giorgio Prosperi, dopo l'acme viene la catarsi che è uno scivolone verso la fine.

La fine del viscidone è drammatica e inaspettata, la trappola gli è stata tesa dal direttore manolesta e l'esca è stata proprio l'opuscolo premiato. Il presidente pretesco di agricoltura non capisce niente e l'opuscolo gliel'ha scritto un negro.

E' la prima volta che sento dire così e immagino un negro camuso coi labbroni tumidi rarissimo nei dintorni di Termini anni Cinquanta.

Invece lo scrittore è un biondino pallido coi foruncoletti, falso negro perché traditore, falso autore perchè ha a sua volta copiato da un libro già edito, senza cambiare una virgola. E' lo scandalo.

Il viscidone recita una grande uscita: non si rade per tre giorni e poi si presenta ai giornalisti pallido e scarmigliato e anche lui fa la sua confessione pubblica:

- Ho resistito al fascino delle belle donne ma non ho resistito al fascino di copiare. - le facce da culo al Centro si sprecano proprio. Però culo per culo, forse era meglio Peppeniello che metteva le dita nelle mutandine delle allieve.

Un mare di escrementi si chiude su di lui. Per sempre? Chissà. L'Italia è terra di corta memoria e di strani riciclaggi e poi ha un merito indissolubile: è il marito della figlia dell'onorevole Piccioni.

Il Centro resta in balìa di un nuovo direttore che si aggira sperduto chiedendo la strada e lo portano davanti ai cessi dicendogli che sono gli uffici della direzione. Lui entra.

Felice è infelice perché lo hanno cacciato e il Riarmo Morale non lo ha riarmato di dollari come sperava. Io vedo con orrore avvicinarsi il tragico momento in cui non avrò più diritto alla mensa. Alberto è diventato quasi trasparente. E' arrivata una primaverile lettera della padrona di casa che vuol sapere il motivo per cui non abbiamo pagato il fitto degli ultimi cinque mesi. Adesso il debito è di centotrentamila lire di premiata stabilità. Ci riuniamo e io sostengo che bisogna rispondere in riconoscimento della cortesia immutabile che la signora usa nel chiedere.

Alberto si mette alla macchina per scrivere di cui scade oggi il mese di fitto:

"Gentilissima signora, di ritorno da quel paradiso che è la Costa Azzurra troviamo alcune Sue lettere con le richieste dei fitti. Le inviamo lire cinquemila in acconto nella convinzione di farLe piacere."

Facciamo una colletta e arriviamo a quattromila- cinquecento. La signora ne trarrà uguale piacere.

E' tempo di shorts. Non che faccia caldo e che ci mettiamo tutti in braghette. Per shorts al Centro Sperimentale si intendono i corti filmetti che ogni allievo regista gira alla fine del secondo anno. Una tesi di laurea, dieci minuti sani di regìa. Duecentosettanta metri di pellicola in cui concentrare la propria poetica. Qualcuno si lamenta che con pochi ma io non so che metterci. La cosa più importante che ho imparato qui è che difficilmente gli allievi del Centro entrano nel cinema. Così mi viene un pezzetto neanche brutto sulle nostre false speranze e sulla stupida sensazione dei miei compagni attori che in qualunque momento un regista importante potrebbe notarli e mangio la mia ultima pasta e fagioli gratuita al ristorante del Centro.

Ascolto per l'ultima volta le lamentele del gestore della mensa che sostiene che tutti noi mangiamo troppo per quello che gli passa la scuola e mi ficco in borsa per l'ultima volta i panini per la cena. Sono molto triste. Essere studente è una situazione bellissima che legittima speranze e non addossa responsabilità. Uno che studia è uno che si prepara per il domani. Un minuto dopo il diploma, è un povero disoccupato.

Stavolta l'esame orale va meglio. Il genio di estetica è stato cacciato e il Giorgio Prosperi, pur non avendo ancora cominciato a leggere fantascienza, forse ha già qualche dubbio.

La crisi del cinema si è fatta più nera ma lo Stato ha varato una nuova legge e ci ha messo un articolo per cui ogni film italiano per essere considerato italiano dovrà avere nel cast un elemento tecnico e uno artistico diplomati al CSC negli ultimi cinque anni.

Sembra una piccola cosa ed è invece una leva che se trovasse un punto d'appoggio solleverebbe a noi il mondo del cinema.

Organizziamo in via Dora colossali riunioni di ex-allievi. Se riuscissimo a far blocco potremmo ricattare l'intera produzione nazionale. Tra i diplomati freschi di cinquina gli unici noti sono Rik Battaglia e Antonio Cifariello che si dichiarano solidali. Per i diplomati in recitazione è un'occasione colossale: potremmo costringere i registi a farli recitare nei ruoli principali! Ma ci sono i sogghignanti e le sogghignanti. Uno propone una mozione, si alza dal pavimento e dice:

- Io lavoro perché ho dato il culo a Visconti. Perché dovrei rinunciare ora per aiutare voi che non avete fatto neanche un piccolo sacrificio?-

Parlare dei moti sindacali di Torino di inizio secolo non è apprezzato.

Imparo che il cinema è attività squisitamente personale e individuale. E culturale naturalmente. Son certo che il legislatore lo sapeva già.

Tuttavia la legge è legge e mi suona il duplex. La Corona Cinematografica ha bisogno di un elemento tecnico. Mi precipito, hanno gli uffici nel palazzo accanto al mio.

Mi dicono subito, irritati, che la nuova legge è una stronzata ma che devono ficcare nei titoli di testa il nome di un coglione diplomato al CSC per avere la nazionalità e quindi il ritorno delle tasse sui biglietti che la gente pagherà per andare a vedere un lungometraggio documentario di loro produzione intitolato "Un giorno in Europa".

Mi gratificheranno dell'epiteto di aiutoregista. Il regista è Marsili che però ha già il suo vero aiuto e non vuole rompiballe. Se voglio posso fare l'aiuto dell'assistente dell'aiuto al montaggio. Il montatore sarà il grande Serandrei. Ventimila alla settimana per tre settimane. Pagamento a quando si monta, come in tutti gli altri bordelli. Mentre fingo di valutare, il becero dietro la scrivania fa scorrere il ditone orlato di scuro sulla lunga lista dei diplomati del CSC.

Gli fermo il dito: accetto. Batte il ditone in fondo ad un modulo e io firmo, emozionato, il mio primo contratto cinematografico.

Torno nel mio sotterraneo senza una lira ma pieno di speranza: in novembre, se tutto andrà bene, guadagnerò ventimila lire a settimana per tre settimane. Mi sembra giusto scriverlo alla padrona di casa di Varese. Lo devo scrivere io perché Alberto lascia. Butta la spugna, torna a Siena. Adesso le mie giornate saranno più vuote e dovrò cercarmi un altro con cui dividere il debito del fitto.

Con Mara le cose son rimaste ferme al primo rapporto: lei dice che l'ho violentata. Io dico che è stato un equivoco. Lei è rimasta fidanzata con Quasimodo. Io sono rimasto a meditare sui problemi di un seduttore.

Tuttavia quel pomeriggio di fuoco ha portato frutti in un'altra direzione: sto scrivendo "Sangue in tasca" per i Gialli da Bruciare. Io spero che li brucino solo dopo avermi pagato le sessantamila lire promessemi in tono suadente dal signor Paguni a patto che mi firmi John Foster perché gli italiani non leggono gialli italiani. Mi sorride questo improvvisato editore che di giorno lavora alla R.A.I. di via del Babuino e di sera incita giovani di belle speranze a fingersi americani e a scrivere robaccia erotica e violenta. Robaccia o no, sto per diventare un romanziere.

Ho messo un annuncio sul Messaggero: studente dividerebbe appartamento mobiliato.

Arriva un pilota che spande concime in Iran. Gli chiedo ventiseimila lire al mese così io non pago più niente, più quattrocento lire l'ora se vuole la donna delle pulizie.

Accetta per un solo mese e vuole ingresso libero per la sua ragazza che, come precisa con la signorilità di uno spargimerda sui campi dell'Islam, prima scopa per terra e poi sul letto per cui non gli serve la donna delle pulizie.

Sono davvero deciso a spedire il denaro a Varese, ma la gentile signora è appunto a Varese mentre la mia pancia è qui. Sono ormai due settimane che salto un pasto al giorno e quello sì lo consumo all'Onarmo. Qualche volta vado a mangiare alla mensa degli impiegati del ministero delle Finanze che è ancora in via XX Settembre. Prendo una borsa nera e mi mescolo al flusso degli impiegati ma la compagnia è sullo squallido. All'Onarmo invece incontro spesso gente assai distinta. Raramente straccioni, tutti poveri dignitosi, quella tragica miseria dal colletto liso ma pulito. Un vecchio con cannino e monocolo mi chiede con un lieve inchino se il posto accanto a me sul lurido pancone sia libero. Gli sorrido: l'aveva prenotato il principe Castelbarco ma ormai è tardi e non verrà più. Annuisce accettando la mia ironia senza rilevarla. Diventiamo amici e mi confida di essere stato compagno di scuola dell'onorevole Taviani e mi offre una raccomandazione. Con due punti esclamativi? Non capisce e mi fissa attraverso il monocolo, poi consiglia da esperto:

- La pasta è molliccia, nella verdura non è raro trovare i capelli della cuoca, la carne è nettamente sconsigliabile poiché adatta per tomaie. Se posso, insisterei per pane e uova sode. Difficile che manomettano il pulcino e con un po' di fortuna si mangia carne di pollo. -

Ogni sera Romano mi costringe a bere un litro di latte per disintossicarmi, offre lui e tutto fa cibo.

Lo spargitore aereo di merda mi lascia dopo sole due settimane ma non chiede indietro il mezzo mese, in due settimane ha capito che sarebbe una domanda inutile.

Ripeto l'annuncio sul Messaggero mentre ricevo un'ennesima cortesissima letterina da Varese.

Mi affanno a far compiere a Jack Migol la sua tremenda vendetta scoglionando i violentatori della moglie prima che il sangue in tasca sia il mio. Consegno il dattiloscritto (ho rinnovato il fitto della Underwood) all'azzimato Paguni e poi comincio a rincorrerlo per farmi pagare. Piombando negli uffici R.A.I. riesco a farmi dare un sontuoso anticipo: cinquemila lire. Questo ha imparato da Alberto.

Non c'è niente di peggio che dovere dei soldi ad un morto di fame. Mi incollo all'editore, lo torturo a casa dove una moglie gelosissima lo tortura per le copertine che mostrano fotografie di belle ragazze che lui sostiene di non conoscere. Ce n'è anche una di Mara con le calze nere. Lo tampino per giorni. Una volta mi paga un cappuccino. Riesco ad infilarmi negli uffici R.A.I. e ne è terrorizzato. Per tenermi buono e zitto mi presenta ad un suo collega che sta in televisione.

In questi ultimi anni Cinquanta fare la televisione è considerata attività di poco superiore al meretricio a Tor di Quinto. Ma i morti di fame son pronti a tutto e porto all'amico televisivo di Paguni alcuni miei atti unici. Ce n'è uno che si intitola "Indietro di un anno", una cosetta alla Thornton Wilder coi morti che dicono la loro. Dopo un mesetto la televisione di Stato, ben certa del suo monopolio, mi informa ufficialmente che in TV i morti sembrano vivi e che quindi non si possono mostrare.

Piombo in casa dell'editore con Romano che mi fa da gorilla. La signora dice che non c'è ma io infilo il mio 45 prima che richiuda l'uscio. Si riga la tomaia ma entriamo. Ci sediamo rigidi in anticamera come due killer di un film americano di seconda serie. Passano quattro ore. Alla quinta l'editore cede. Si affaccia e paga. Tutto non può. Scuce la trentamila.

Stasera si festeggia col frascati da Paolo, poi Romano offre una pizza là dove la pizza è un biscotto.›

Il mattino dopo una deliziosa brunetta alta un metro e mezzo si affaccia alla nostra aristocratica soglia. E' venuta per l'annuncio sul Messaggero. Dividere l'appartamento con una così non sarebbe male, ma non è per lei, sorride, è per il suo ragazzo. Si fa di lato ed entra un montgomery alto come la brunetta, saltellante. Cala il cappuccio e appare la testa di Julian. Capelli cortissimi, occhiali con lenti spesse che danno una luce buffa al suo sguardo grigio. Saltapicchia per l'anticamera fregandosi le mani in preda ad un riso nervoso.

- La stanza è di sotto, accanto alla mia. -

Julian dà un'occhiata alla ragazza che lo prende per mano. Faccio strada e scendiamo sottoterra. E' sempre un po' buio nei miei possedimenti ma la cosa eccita la brunetta e non dispiace al suo piccolo montgomery.

- E' questa?- mi chiede la ragazza trovando a tentoni la porta della mia camera.

- No. Il loculo appresso. - Lei ride. Lui ride. Si leva gli occhialoni dalla montatura in tartaruga intera e si gratta un occhio:

- Io so' inglese, so'...- mi dice che se fosse chissà quale spiegazione.

La brunetta apre la porta della stanza che fu di Alberto e poi del concimatore, accende la luce e lancia un grido di entusiasmo alla vista del grande lettone matrimoniale, e subito dopo un gridolino di raccapriccio per la fuga spaventata di uno scarafaggio.

- E' un letto che porta buono- dico ruffiano- E Amilcare non ha mai dato fastidio a nessuno.- indico il buco in cui è scomparso lo scarafaggio. La brunetta sorride a Julian e gli strizza la mano. Ventiseimila, affare fatto.

- Consumate subito? Le lenzuola sono pulite.-

Julian arrossisce e risponde in romanesco che lui è inglese, è.

Consumano il giorno dopo come abbiamo modo di controllare tutti perchè Alberto torna a cercare calzini e, ignaro, spalanca la porta di quella che sente ancora come la sua camera: Julian non ha più il montgomery e gli occhiali non si mettono sulle guance posteriori.

l Padulo diceva che i montatori si dividono in due razze: i conigli dal movimento rapido e frenetico e i tori dall'ampio possente calare. Direi che è coniglio-toro.

Quando la brunetta fugge vergognosa senza salutarmi, spiego a Julian l'uso del lumino: noi italiani lo mettiamo sempre davanti alle porte dietro cui succedono certe cose. Mi guarda irridente grigio dietro le lenti spesse e ride che tanto lui è inglese è.

Dice di avere tre bauli a Termini, da ritirare. Stava insegnando inglese sul Vespucci, all'Accademia di Livorno, quando ha conosciuto la brunetta dalle tonde poppe che era là in vacanza. Amore folle e quando lei è tornata a Roma lui è entrato in un negozio di bauli e ne ha comprati tre, a credito.

- Hai tanti vestiti?-

Mi fissa ironico grigio amplificato: no, sono vuoti ma avendo trovato un bischero che vende bauli a credito ne ha comprati tre. Credo proprio che diventeremo amici nonostante la tragica differenza di statura.

- Che fai per vivere?- gli chiedo. Alza le spalle.

- Mangio. -

- Anch'io quando posso. -

- Io posso sempre perché so' inglese e lo insegno a du' sacchi l'ora. Tu?-

- Io posso ogni tanto perché sono italiano, subaffitto agli inglesi e cerco di entrare nel mondo del cinema.-

 

CAPITOLO XVII

Bela antiga e dols como un madrigal

sempre xe Venessia un sogno musical!

Per me non è solo laguna e ponte dei sospiri è il posto dove sono stato felice. Felicità vera è un attimo di Dio. Un secondo di immensità. La sensazione assoluta di essere l'universo, di averlo dentro e di riempirlo fuori.

1952, gita scolastica. Era la prima volta che la baciavo sui bei capelli biondi e lei, volendo, avrebbe ancora potuto baciare i miei.

Sono tornato a Venezia per la Mostra del Cinema. Sono un ospite della Mostra, nella mia qualita di bravo diplomato del Centro Sperimentale.

Mara non l'han mandata. Jole e Luisa sì. I direttori cambiano ma scelgono sempre le stesse, chissà perché.

Anche il segretario che ci scorta è nuovo. Felice si sta ancora riarmando da qualche parte. Questo forse non approfitta delle aspiranti attrici ma approfitta dell'occasione per mollarci di brutto e andare ad alloggiare in un albergo più lussuoso del nostro fregandoci i biglietti per le proiezioni.

Io e Tonino Valerii siamo gli unici diplomati del corso di regìa ospiti d'onore. Ma per entrare al palazzo del cinema ci vogliono tremila lire e lo smoking. Non abbiamo né le une né l'altro. Tonino ha degli amici fra i giornalisti e riesce a trovare qualche biglietto omaggio per i film più noiosi. Uno è "Aparajito", l'altro "Occhio per occhio". "Aparajito" vincerà il leone d'oro perché nessuno dei giurati oserà confessare di essersi addormentato.

Passiamo ore eccitanti nella hall dell'Excelsior a guardare il cumenda Rizzoli col bocchino alla menta, Fellini ancora senza cappello, Folco Lulli violentatore professionista e donne! Donne di ogni colore tutte con le poppe spinte verso il mento. L'esibizione delle poppe fa di Venezia un posto anticulturale. E per sincerarsene ci sono tutti. Il giovane Maselli violentemente comunista, Nanni Loy coi capelli corti ancora luridamente pagàno, Age e Scarpelli, Scola e Maccari, Benvenuti e Debernardi, Visconti col mantello, De Sica coi debiti di gioco, Ponti appena grigio con Sofia maggiorata, De Laurentiis con la Mangano e un pezzo di figliola con cosce lunghe venticinque metri ben stese davanti l'ingresso del palazzo della Mostra: nessuno la conosce ma dicono che si chiami Schiaffino e che il manifestone l'abbia pagato Cristaldi.

Tutti passano dalla hall dell'Excelsior. E' tutto un vedere e farsi vedere coi fans accalcati fuori dalle porte girevoli e i paparazzi che scatenano a tratti temporali di lampi.

Ci sono le tariffe: per fare un'entrata decente occorrono cinquantamila lire perché bisogna pagare una ventina di ragazzi che agitino fogli per l'autografo e almeno tre fotografi che scattino a vuoto i flash. Per un attimo si è qualcuno.

Con cinquemila lire ci si può far chiamare ad alta voce dal bureau per una finta telefonata, ma ne occorrono dieci per un cameriere che giri fra i tavoli gridando il tuo nome. Si hanno sconti per abbonamenti.

Un attore del CSC si autobattezza Tony Angeli e paga cinquantamila lire per farsi chiamare ogni quarto d'ora dalle due alle otto. La speranza e che il proprio nome cessi di avere un suono sconosciuto per le orecchie che contano.

Alle otto si cena e alle nove tutti in smoking meno due: io e Tonino vestiti blu doppiopetto. Gli uscieri gallonati esitano: abbiamo il cravattino a farfalla ma le giacche non hanno i risvolti di raso. Decido io con uno spintone all'usciere e siamo dentro.

La grande sala antecontestazione è un mazzo di vergognoso borghesume anticulturale: gioielli da scippo miliardario, scollature da assoluzione per istigazione a delinquere, lustrini vecchia Hollywood, un'eleganza che è uno schiaffo ai poveracci che vedranno lo stesso film nell'Arena, plebeamente seduti sulle tribune all'aperto da colosseo moderno. In questi favolosi anni Cinquanta i futuri contestatori son tutti qui, tiratissimi nei loro smoking di raso. Tonino ed io cerchiamo mimetismo accanto alla vasta mole di Folco Lulli ma Fabio Rinaudo, un tirapiedi della Vides, scriverà domani sul giornaletto della Mostra di aver notato due ribaldi senza smoking.

Chissà se siamo stati Tonino e io gli involontari iniziatori della grande contestazione della sinistra che porterà a strapparsi di dosso gli smoking, a contestare la Mostra fino a farla chiudere per per poi rimettersi gli smoking e correre in massa al festival di Cannes?

Abbasso il leone d'oro e viva il palmares! Che tiraccio mancino al cinema italiano! Abbiamo sempre avuto una sinistra mancina.

Da Biella mi incitano ad andare a Palazzo Chigi dove c'è un biellese che fa il presidente del Consiglio. Prendo il 56 e ci vado. Belle attese in grandi saloni con poltrone velluto rosso. Attendo a tempo pieno dalle nove alle quattordici ora in cui un usciere avverte me e gli altri postulanti che la casa chiude e il presidente ha avuto un improrogabile impegno. Non cambia mai la sua formula il piccolo usciere risvoltato di rosso cardinale e dopo una settimana mi sembra di essere tornato ai tempi della banca e mi aspetto che mi facciano timbrare il cartellino. La seconda settimana devo abbandonare il 56 perché su ogni bus c'è ancora un noioso bigliettaio che vuole i soldi da tutti. Ti guarda negli occhi e dice "biglietto!" con sguardo caronteo.

Non riesco ad imitare Alberto che mette in crisi questi onesti lavoratori dell'Atac intavolando cavillose conversazioni sul suo buon diritto a non pagare finché non salga un controllore e lasciandoli quando scende mandandogli un bacio con le dita.

Da via Dora a piazza Colonna a piedi sono trenta minuti di buona marcia. Il secondo venerdì mi riceve Mello, il segretario del presidente, che è biellese pure lui e che mi prospetta l'ipotesi di un bigliettino di presentazione per Lombardo. Un tuffo al cuore: in questi tempi lontani Lombardo vuol dire Titanus e Titanus vuol dire cinema italiano! Ma il segretario biellese mi smonta:

- Non ti servirebbe a niente. -

- Neanche con due punti esclamativi?-

Non capisce. Come può funzionare un governo con questa babele di cifrari?

- Vedi, ragazzo mio, Lombardo riceve dozzine di bigliettini simili e umanamente non può prenderli tutti in considerazione. In più - mi guarda acutamente, lui non sa se lo so ma lui lo sa- in più c'è la crisi del cinema. -

- E allora che devo fare?-

Semplice: basterà che io vada a Palazzo Chigi per "qualche mattina" finché il biellese che fa il presidente del Consiglio non abbia un quarto d'ora di tempo per accompagnarmi personalmente alla Titanus.

E già: se arrivo da Lombardo col bravo Pella in persona è fatta. E' l'uovo di Colombo. Purtroppo io non riesco più a comprarmene neppure uno di gallina e ho la sensazione che continuando a scaldare i velluti di palazzo Chigi morirò di fame. Decido di puntare sulla buona fede di Mello per tutto il resto del mese. Non ce la fa. Il duo Pella Mello viene trombato per non so quale ignobile rimpasto dc. Adesso mi ricordo dei volantini affissi da ignoti a Biella durante le ultime elezioni. Dicevano Pella Mello uguale Palle Molle.

Resto con la voglia di Lombardo. E anche con la voglia di mangiare. Riappare Felice su di giri. Il Riarmo Morale lo ha mandato negli Stati Uniti ma dopo tre mesi di pubbliche confessioni non ha più saputo di che pentirsi e si è trovato a confessare di mordicchiarsi le unghie. Felice sghignazza e mi parla di Lombardo. Pare che abbia salvato il cinema italiano producendo un film costato appena cinquanta milioni e che incasserà un miliardo.

Un miliardo in questi spensierati anni Cinquanta è cifra da favola. La usano solo i ministri e Paperon de' Paperoni.

Il film si intitola "Poveri ma belli" e una delle interpreti è quella Lorella De Luca che non siamo riusciti a far recitare al Centro. C'è anche Marisa Allasio con due fustachiotti nostrani, certi Arena e Salvatori. Salvatori entrambi del botteghino. Gli sceneggiatori Franciosa e Campanile sono già al lavoro per un'altra geniale novità che si chiamerà "Belle ma povere".

Felice mi paga il biglietto e vedo il film che a me, povero ma brutto, sembra divertente.

Mi guarda gongolante: quell'Arena è un grandissimo amico suo! E' stato proprio lui a fargli avere una parte in "Tempo di villeggiatura" accanto alla sculettante Abe Lane. Mi trascina a casa di questo Arena. Suona alla porta e qualcuno ci spia da uno spioncino. Felice dice il suo nome. La porta si socchiude, un cameriere diffidente guarda intorno a noi e ci fa segno di entrare . Obbediamo e subito richiude. Sbuffa:

- Le donne! E' incredibile quanto siano cretine le donne! Ma lo sapete che due le ho dovute prendere a schiaffi? Sono innamorate di Maurizio e pronte a tutto, che poi è sempre 'na cosa sola!-

Ci fa strada lungo un corridoio foderato di pacchi di lettere legate con lo spago, una trincea che ci porta verso le note di una chitarra.

Maurizio strimpella semisdraiato su una cuscineria orientale. Butta la chitarra e corre ad abbracciare Felice. Cordiali pacche sulla schiena mi coinvolgono. Felice, con occhi lucidi di commozione, gli propone subito di fare un film con lui, per lui o per chi ancora non sa, l'importante è che dica di sì e poi il produttore si trova. Maurizio graziosamente accetta: non è tipo da scordarsi gli amici nel momento del trionfo.

Si sdraia di nuovo sui cuscini. L'udienza è finita. Felice è alle stelle e mi punta un dito nel costato ferendosi il polpastrello contro la mia magrezza:

- Ci sarà da scrivere un copione!- Anche il mio morale comincia a salire.

Ogni giorno sopravvivere è un'impresa : un po’ di latte di Romano, un primo da Paolo a credito, una puntata da Peppino lo Zozzone che però accetta in pagamento solo quadri e sculture e i manoscritti li appende al cesso, poi l'Onarmo e qualche pizza offerta da Julian, l'inglese.

Per fortuna scatta il contratto con la Corona Cinematografica e alle ore otto e trenta faccio il mio ingresso in moviola. C'è un mare di pellicola e due donne. Qui si monta ma non c'è nulla di erotico. Il mio compito è indefinito: scopare, raccogliendo con cura i frammenti di fotogrammi caduti, cercare fra i mille rotolini in cui è diviso il film quello col numero giusto e porgerlo alla donna più giovane che lo porge alla donna più vecchia che lo appiccica fino a formare un rullo coi numeri in fila. Poi arriva Serandrei, non si sfila il cappotto cammello e si infila i guanti bianchi. Il rullo lo vuole dai piedi e vuol dire che preferisce vederlo dalla fine.

Nella stanzetta buia il maestro crea nel più assoluto silenzio. Non credo che mi abbia mai visto. Cala la matita rossa sulla pellicola in moto con gesti da direttore d'orchestra. La donna più vecchia gliela ferma per una frazione di secondo per permettergli di tracciare il segno con perfetta sincronia. Poi il maestro si sfila i guanti, li butta e se ne va.

Le due donne tagliano e incollano seguendo i segnetti di Serandrei. Io scopo, raccolgo, catalogo e mi becco epiteti se non son lesto a trovare la 346 B seconda.

Un giorno Serandrei chiede luce. Mi volta le spalle e ordina alle donne di prendere nota per conto del regista che deve girare sei primi piani di facce di operai, due dettagli di macchine tessili, quattro colate di ferro, un totale di Roma, un totale del porto di Genova, una sequenza scenografica dell'ANIC di Ravenna.

La troupe è già stata licenziata ma Marsili deve tornare dietro la macchina da presa e l'unico con la qualifica di aiuto regista sono io. Mi ritrovo a San Giovanni a fare un totale di un'edicola e Marsili, nervoso, se la prende con me che, emozionato, attacco i giornali alla rovescia.

Domani andremo a Genova in trasferta. Se mi vedessero gli amici di Biella! Non è una grossa troupe, oltre al regista e a me, ci sono un operatore, un elettricista e un macchinista, ma tutti professionisti, eh?

Mi telefonano nel cuore della notte: Marsili ha la febbre. Non si parte? Si parte però il regista dovrò farlo io. Devo solo andare a Genova, salire su una ciminiera e fare un totale del porto. Me la sento?

Per fare il regista salirei dovunque! Cerco di ripetermelo sul centotrentottesimo scalino della ciminiera. Sotto di me il porto di Genova, sopra l'operatore con la macchina legata sulla schiena. Marsili avrà avuto la febbre prima o dopo aver visto che doveva scalare il cielo?

Soffia un vento assassino che ci colpisce con forti spintoni laterali. L'operatore si ferma a venti metri dalla cima, qualcosa nella sua espressione mi ricorda Angelo davanti al toro.

- Io gggiro...- balbetta e sento il ronzare dell'Arriflex.-

- Fai anche una panoramica lunga e lenta!- urlo nascondendo il viso nel cavo del braccio per non vedere quel vuoto immenso sotto di me. Una gamba mi si è messa a tremare e non riesco a fermarla.

- Uno zoom sulla Lanterna!-

Faccio la regìa e un piede dell'operatore mi pesta la testa con insistenza. Questo dev'essere lo stop.

Marsili è sempre malato e vado a Ravenna a farmi l'Anic. Forse Antonioni ha visto il mio pezzo prima di girare "Deserto rosso" perché quella palla e quei tralicci l'ho girati prima io.

Torno a Roma e mi sento qualcuno. Per quattro giorni ho detto "motore" "azione" e mi hanno obbedito. Ho ripreso a scopare la moviola ma so che non tornerò più alla Banca Sella di Biella: sono entrato nel mondo del cinema.

 

CAPITOLO XVIII

Se ficcarsi in bocca pane olive e mortadella significa pranzare, allora sto pranzando in cucina ai bordi del pasto più consistente di Romano e Marta, quando canticchiando entra Julian e si riempie un bicchierone d'acqua.

- Olà gente!- ci apostrofa allegro e se torna in camera col bicchierone colmo.

Julian ha dei problemi con la sua brunetta perché la madre di lei non vuole e ogni sera la fa spogliare nuda e controlla che non abbia sulla pelle eventuali segni di amplesso. Mamma vuole che sposi un pilota di linea americano che piace a lei e la brunetta sta cedendo: sposerà il pilota e andrà a vivere in America lontana dalla madre.

Ho le olive che ballano nello stomaco cercando di farlo sentire pieno e dalla stanza di Julian proviene una nenia africana. Il lumino non è al suo posto d'avviso. Busso incuriosito ma la nenia continua e sembra un lamento. Apro: Julian è steso sul grande letto, gli occhiali posati sul cuscino, verde come una ranocchio e la bocca piena di schiuma.

E' il primo vero tentativo di suicidio a cui mi tocca assistere condotto in innegabile stile inglese. ›

Chiamo il nostro dottore, che è nostro perché non ci fa pagare le parcelle nonostante abbia lo studio in via Veneto. Con un buon risciacquo gastrico Julian resta nel tormentato mondo dei vivi. Annaspa e si rimette gli occhiali. Ci scruta e commenta:

- Ah.-

- Abbiamo fatto male?- mi informo educatamente.

- Ma no. Vi offro una cena. -

- Andiamo da Salvaggi. Lusso e abbondanza e io faccio provvista come i cammelli. Julian beve vino e ci racconta la sua vita: è nato a Londra da genitori emiliani, ci tiene ad essere inglese ma sghignazza che solo un pazzo dopo aver vissuto a Roma può tornare a vivere a Londra.

Per scacciare la brunetta dalla mente concede ospitalità a Sandy, una curiosa americanina bionda che mi bacia le mani e dichiara di essere vergine suo malgrado perché non riesce a superare l'educazione puritana avuta a Salem.

Julian mi carica di un'occhiata critica:

- Starà con noi un mese o due. Non saltarle subito addosso da bravo italiano.-

- Dorme con te?-

- Sì, ma per un inglese questo non signifa niente. Lei sa che non la toccherò nemmeno con un dito.-

Tre notti dopo Sandy irrompe urlando in camera mia, seminuda, i capelli sciolti sull'affannoso petto:

- Julian mi vuole violentare!-

La accarezzo per calmarla e penso al dito di Julian, anche il mio sta dando segni di impazienza. Se ne accorge e si irrigidisce diventando fredda come la neve. Poverina, ha il complesso del vorrei ma non posso, il peggiore. Di là, Julian finge di dormire.

Gli infilo gli occhiali e gli chiudo il naso. Si gonfia per un po' cercando di convincermi che dorme davvero. Poi apre un occhio dilatato dall'effetto lente.

- Senti, inglese, è meglio che Sandy dorma di là e noi dividiamo il matrimoniale.-

Mi inonda di stupore otticamente amplificato:

- Perché?-

Gli rispondo che mi è venuta voglia di fumare. Sono le tre del mattino e lui non fuma, però ha i soldi e la macchina. Possiamo andarle a comprare le sigarette ad un distributore automatico.

La sua vecchia Hillman decapottabile balla il waltzer lungo i viali di Villa Borghese ancora transitabile in ogni senso seguendo l'estro di Strauss che la radio ci dà a pieno volume.

Venendo giù dal Pincio (lo sai che i tramonti da qui son favolosi? Mai visto uno? Allora dobbiamo venirci!) una pattuglia di poliziotti ci intima l'alt. Abbiamo addosso pigiami a righe come gli evasi dai carceri chapliniani. Due poliziotti allegri e amichevoli come spesso ne trovi in questi anni di boom economico, ci chiedono i documenti. Ridiamo: quando ci mettiamo in pigiama dimentichiamo sempre la patente.

- Libretto di circolazione?-

- Ce l'ha l'agenzia per il passaggio di proprietà. Dice che qui in Italia l'Aci ci mette du' mesi per farlo! Ma lo sapete che noi a Londra lo si fa a vista?-

I poliziotti ridono e ci sequestrano l'auto portandoci al commissariato di via Ripetta. Invano Julian protesta:

- Ma io so' inglese! So' inglese, so'!-

Passiamo la notte in camera di sicurezza senza alcuna paura di un pestaggio e alle otto di mattina una telefonata al consolato di Sua Maestà conferma che Julian è inglese e ci mettono fuori. Per la macchina bisognerà portare il libretto.

Otto e mezzo di mattina a piazza del Popolo in pigiama. Fortuna che in questi anni beati Roma dorme fino a tardi. I ministeri aprono ufficialmente alle nove me nessuno, tranne Andreotti, li frequenta prima delle dieci e mezza, il cinema è in crisi e tutti stanno a letto fino a mezzogiorno e oltre.

C'è qualche malsano milanese a piazza del Popolo e ci dà occhiate di incredulità, più per la nostra aria di romani mattinieri che per i pigiami che portiamo con inglese indifferenza. L'otto ci prende su a piazzale Flaminio e ci scarica in via Po, il bigliettaio non ci chiede di pagare. A via Po saliamo sul 56 e uno sbadigliante commenta a se stesso:

- An vedi questi come so' usciti de prescia stamattina!- e lascia che la testa gli ciondoli sul petto.

In questa Roma pacioccona nessuno mette bombe e brucia i cinema. Moro va per i fatti suoi e le uniche brigate sono allegre e sbronze. Gli intellettuali parlano del paradiso rosso e i proletari stanno appena perdendo l'abitudine del bonario "ha da venì baffone".

Alle nove siamo di nuovo a letto. Sandy sogna il superamento del suo complesso perché geme col cuscino tra le gambe.

Mi telefona Felice felice: ha trovato un avvocato. Io non penso minimamente ad Agnelli perchè ancora non si usa.

- Quale avvocato?-

- Mastino.-

- Un cane?-

- Lo chiamano Mastino perché se t'azzanna non si stacca più e vuol fare il film. C'è anche il titolo: "Il bello".

Questo è uno dei momenti in cui bisogna mostrare entusiasmo:

- Il Bello? Che bello! Ma come ti vengono certe idee geniali?-

Un'ora dopo sono nello studio dell'avvocato, davanti al palazzaccio, ancora centro giudiziario e giudizioso della capitale. Mi apre Giuliana, acerba segretarietta dall'aria "sono ancora vergine ma non ne posso più", e Felice mi presenta un nanetto peloso dallo sguardo sfuggente: dev'essere per una rivincita contro la natura che vuol produrre "Il bello". Come tutti gli avvocati, si crede uno scrittore e vuole che la sceneggiatura la si faccia insieme tra uno stupro e un falso in bilancio. Felice gongola e io mi sfrego la punta delle dita in una sordomuta richiesta di soldi. Centocinquantamila da dividersi settimanalmente più mezzo milione se il film va in porto. La parola milione, sia pure con quel mezzo davanti, entra nel mio orizzonte mentre il munifico avvocato mi allunga la cinquemila come acconto. Vuole subito fare la scaletta.› Niente di porno o di ginnico, la scaletta in cinema è l'elenco dei fatti più importanti del futuro copione. Il protagonista sarà Maurizio Arena, oggi più bello di lui non c'è nessuno.

Ci mettiamo tre settimane io, io, io e l'avvocato a scrivere la prima sceneggiatura. Commedia all'italiana coi soliti ingredienti: un po' di erotismo, un po' di volgarità, un po' di commozione, un po' d'amore e un po' di soldi. Se una battuta è scarsa la si carica con una parolaccia. Accia nei limiti della rigorosa censura di questi anni felici.

Felice ha portato il copione al suo amico Maurizio e ora andiamo a prendere il responso negli studi della DePaolis dove lui sta girando qualcosa di povero ma milionario.

Nei camerini stanno sghignazzando, son tutti intorno al divo Maurizio a guardare una cosa che a prima vista mi sembra una bambolina. Gli spunta oltre l'elastico dello slip con una faccetta dipinta con grazia e un foularino intorno al volto roseo e paffuto.

Mi ci vogliono dieci secondi per capire di che bambola si tratti e mi rintrona nelle orecchie la voce di Carosio, radiocronista della mia infanzia, che grida "sentite l'urlo della folla! Ah.... incredibile! Mazzola ha tirato fuori il fallo!!!". Le donne che fanno la fila davanti alla casa di Maurizio sanno quello che vogliono.

Maurizio mette via la bambola e ci dà una manata sulla schiena: il copione è bello però lui lo dirà soltanto quando l'avranno detto anche Festa e Franciosa, i due sceneggiatori di "Poveri ma belli". Felice si gratta contrariato ma bisogna adattarsi e cercare di avere il placet perché il loro "Belle ma povere" sta incassando cifre favolose.

Festa Campanile e Franciosa sono in surf sulla cresta dell'onda, hanno un'aria sognante, leggono in due ma parla uno solo, non li conosco abbastanza per distinguere quale: Il copione è discreto - pausa - peccato che abbia un grave difetto strutturale.

Spalanco le orecchie, questa è alta scuola e devo approfittarne. Il parlante continua l'esegesi: quando il copione inizia lui e lei sono fidanzati, poi succedono un mucchio di cose anche divertenti, ma alla fine nulla cambia e lui e lei sono sempre fidanzati. Ci medito sopra sotto lo sguardo pesante di Felice e dell'avvocato.

- A me non pare un difetto grave perché mi sono attenuto ai vostri illustri modelli. Sia in "Poveri ma belli" che in "Belle ma povere" le coppie Arena-DeLuca e Salvatori-Panaro sono fisse e immutabili dall'inizio alla fine. -

Il parlante mi fissa come se fossi uno scarafaggio:

- Noi abbiamo la chiave del successo. - sentenzia e il discorso è chiuso.

Affranti cerchiamo una soluzione per settimane, né ci tira su di morale l'insuccesso totale del film "Totò e Marcellino" scritto dai due illustri Festa e Franciosa. Ci limitiamo ad un telegramma sberleffo: "Trovata una chiave nella hall del cinema Adriano. L'avete persa voi?"

Felice ha un'idea della sue: si potrebbe sentire Sordi. Allora come oggi chi ha Sordi nel cast è a posto. Felice e l'avvocato partono per Venezia in missione esplorativa perché l'Albertone nazionale è in laguna a girare "Venezia, la luna e tu" insieme al suo neoconcorrente Manfredi.

L'esito della missione è parzialmente positivo perché Sordi dice che il copione gli piace ma deve piacere anche a Sonego.

Io cerco di entrare nel mondo del cinema ma ho la sensazione che chi sta dentro abbia chiuso a chi sta fuori.

 

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