Cu2O 2 parte
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Cu2O - seconda parte -

CAPITOLO 17

 

In strada si accendono i lampioni, ma non è ancora buio.

Meme ha dato al tassista l’indirizzo della modella che ha avuto da Carla Giardino. Stavolta il tassista è un uomo sulla quarantina, simpatico e molto toscano che la intrattiene sulle "pulzelle ‘on l’anello al naso" che secondo lui sono in cerca di "padrone con ‘atena".

Meme scende, paga la corsa ed entra in un falansterio popolare di periferia, senza far caso a una Mercedes coupé parcheggiata poco lontano. Da dentro la vettura, seduto sul sedile del passeggero, Berta riconosce Meme anche se oggi ha i capelli sciolti, e si lascia scivolare contro lo schienale, nascondendosi. Muove poi lo specchietto esterno col comando elettrico e controlla la donna che entra nell’androne del palazzo.

Meme sale le scale in pietra, buie e maleodoranti, in cerca dell’interno 21, come sta scritto sul biglietto. Supera l’interno 20 e la porta successiva si spalanca con violenza ed esce una donna urlante che travolge Meme che si trova davanti all’uscio. E’ Livia, la moglie di Berta. Grida, rivolta a qualcuno dentro l’appartamento:

Sarai pure sorda ma sei una gran baldracca!-

Meme è costretta ad aggrapparsi a Livia e per un attimo si guardano in viso. Livia è infuriata da far paura. Respinge Meme e corre giù per gli scalini consunti.

Il bigliettino con l’indirizzo vola via di mano a Meme e svolazza giù nella tromba delle vecchie scale.

Livia esce dal palazzo e Meme resta davanti alla porta spalancata. Con un po’ di paura, ricordandosi di quanto accaduto da Pisca, bussa all’uscio aperto e chiede ad alta voce;

E’ permesso?-

Nessuno risponde e Meme non si muove, non osando entrare.

Intanto Livia, giù in strada, entra furibonda nella Mercedes coupé in cui la sta aspettando il marito. Si siede al volante e sbotta:

-  Questa non sa niente. O se sa, usa il suo handicap per fare la furba. - ingrana la prima e fa partire l’auto con una gran sgassata -  La stupida sono io che mi sono fidata di te! – Berta tace.

- Marito adorato, non hai nulla da dire? - l’uomo fissa inespressivo la moglie coi suoi occhi chiari e risponde in tono zuccheroso:

- Lo sai che odio contraddirti, cara. -

Livia innesta la seconda e poi subito la terza facendo rombare l’auto che schizza via quasi investendo un pedone che sta attraversando sulle strisce. Lo sconosciuto gli urla dietro:

- Ah stronzonaaa!! -

Meme è ancora ferma sulla soglia dell’appartamento della modella. Bussa più forte e urla:

-  Permesso? – da dentro provengono rumori leggeri, lo spostamento di una
sedia, il suono di qualcosa di metallico contro una ceramica, ma nessuno risponde. Meme muove due passi verso l’interno:

-  E’ permesso? Mi manda la signora Carla Giardino, quella della galleria….-

Ancora nessuna risposta, ma il suono di un passo che si avvicina fa indietreggiare Meme.

Una bella ragazza dai capelli biondi, a boccoli, che le scendono sulle spalle, appare nella penombra del corridoio. La donna è intenta ad aggiustarsi un bigodino guardandosi in un specchio col manico di madreperla. Meme si fa avanti:

-  Salve. Mi chiamo Meme Perrier e… - si interrompe perché la ragazza
continua a camminare verso di lei, tenendo lo specchio davanti al volto come se non avesse sentito, e sbatterebbe addosso a Meme se lei non la fermasse con una mano. La ragazza sobbalza spaventata sgranando gli occhi per la sorpresa Spalanca la bocca per un grido ma non le esce suono alcuno.

Meme è a disagio:

Mi scusi. Ho bussato, ho chiamato, ho…-

Caterina, toccandosi le orecchie, fa segno che non sente e Meme ricorda il grido di Livia che la insultava dandole della baldracca sorda.

- Oh… mi dispiace. Allora non capisci quel che dico…-

La ragazza fa sì con la testa, poi apre e chiude le dita a simulare una bocca che parla.

- Mi leggi le labbra… sei in gamba. – dice Meme.

La sordomuta annuisce ancora, poi fa cenno a Meme di accomodarsi. Meme entra.

E’ una soffitta, adattata a studio di pittore, con un grande disordine ovunque. Tele, pennelli, un giaciglio sfatto, un lavandino pieno di piatti sporchi, bicchieri di carta dappertutto, cicche di sigarette e di spinelli qua e là. Una grande toilette circondata da una corona di lampadine accecanti è l’unica fonte di luce dell’ambiente.

La modella prende una seggiola e rovescia a terra alcuni libri e un portacenere. Offre la sedia a Meme che scuote la testa. La bella sordomuta prende un cartello su cui è scritto a stampa: "Mi chiamo Caterina" e lo mostra a Meme che finge di essere a proprio agio, ma non le viene bene. Si punta un dito sul petto e parla come nei film di pellerossa:

-  Tu Caterina, io Meme… - alza la voce e si accompagna con gesti esplicativi. Caterina le ferma le mani, poi le fa segno di parlare in tono normale.

-  Chi era quella che è uscita urlando? – dice Meme con voce piana, quasi sillabando.

La modella tenta qualche segno nel linguaggio dei sordomuti e guarda Meme con aria interrogativa, poi scuote la testa e spalanca le braccia in un gesto di ignoranza. La sua espressione inequivocabile trasmette un "Boooooh!", quindi le fa cenno di attendere e compone un numero al telefono. Batte dei colpetti sul microfono con una penna. E’ un segnale, Caterina invita di nuovo Meme a sedere: tra poco arriverà qualcuno.

Meme si siede in punta di sedia, imbarazzata. Caterina si indica la guancia con un dito che poi ruota a significare una cosa molto buona.

Meme non capisce e Caterina le fa cenno di avere pazienza. Picchietta un dito sul suo orologio da polso poi mostra le cinque dita di una mano ben stese.

Cinque minuti? –

 Caterina fa il segno di ok. Poi mima l’azione di bere una tazza di qualcosa. Meme dà un’occhiata al disordine e alla sporcizia che c’è in giro e scuote la testa. Caterina fa segno che si deve vestire perché ha un appuntamento.

Meme, rigida, imbarazzata seduta sulla punta di quella sedia sporca, guarda Caterina che si spoglia nuda senza pudore alcuno davanti a lei. Si infila un paio di mutande nere di pizzo e una guepière coi volant rossi e si accarezza con cura le belle gambe per stendere un paio di lunghe calze velatissime.

Meme, per tenere le mani impegnate, prende nella borsetta il suo cellulare e compone il numero della pensione, per sentire come sta Ramona.

Il telefono squilla sul comodino ma Ramona, nuda, aggrappata al corpo di Lucio, neppure lo sente. Manettone, con faccia gonfia e rubizza, li spia, masturbandosi, oltre i vetri della portafinestra che dà sul balconcino.

La porta d’ingresso della soffitta sbatte con fragore e Meme si alza di scatto chiudendo il cellulare.

Entra un giovanotto sulla trentina ma Caterina, di spalle, non se ne accorge e termina di infilarsi due giarrettiere rosse intorno alle cosce ben tornite.

- Salve. Sono Piero, la voce di Caterina. – l’uomo tende una mano a Meme che la stringe, interdetta. Piero esamina spudoratamente il corpo di Meme dalla testa ai piedi, ammirato :

- E tu sei il miglior motivo per cui Caterina mi abbia mai chiamato…-

Finalmente Caterina si volta, vede Piero e gli fa dei segni veloci, irritata. Piero risponde con pochi segni imperiosi, poi si volta di nuovo verso Meme:

Io sono la voce della modella più bella e più brava di Firenze… che però è gelosa perché dice che ti ho guardata senza che lei potesse accorgersene….-

Caterina sbuffa e corre da Piero dandogli un bacio a labbra chiuse sulla bocca. Meme rimette il cellulare nella borsetta e cerca di abbreviare la visita. Dice in fretta:

Scusate il disturbo, ma mi ha dato questo indirizzo Carla Giardino. Io sto cercando una mia amica., Olga Olivieri e so che Caterina ha posato per lei non molto tempo fa. –

-  Può darsi. E allora? –

-  Non la trovo più. Magari Caterina sa qualcosa… dov’è andata… con chi stava… qualcosa… -

Caterina ha tenuto lo sguardo fisso sulle labbra di Meme e fa dei segni a Piero che traduce:

Caterina dice che Olga era molto agitata l’ultimo giorno che l’ha vista, circa dieci giorni fa…-

Caterina continua a parlare nel linguaggio dei sordomuti: è molto veloce, e Piero la traduce in suoni per Meme senza distogliere lo sguardo dalla modella, parlando come se Caterina fosse lui.

-  … mi sembrava preoccupata, ma non mi ha voluto dire perché. Solo che se andava bene una certa cosa sarebbe diventata ricca ma che purtroppo era arrivata una persona che non aspettava. –

-  Una persona che non aspettava? Non le ha detto chi? -

Caterina scuote la testa e fa dei segni a Piero e poi si infila un vestito e si getta sulle spalle un ampio scialle. Piero traduce a beneficio di Meme:

-  Nient’altro. Dice che deve andare per una posa e che così io sono tutto tuo. –

 Caterina fa ciao con la mano a Meme, un paio di segni veloci a Piero ed esce. Meme guarda Piero, con ironia:

-  Sicuro che ha detto anche l’ultima frase? – Piero prende familiarmente sottobraccio Meme e le fa l’occhietto:

-  Quando non sai le lingue ti devi fidare. Ti va un drink in piazza? –

-  Vada per il drink, però poi devo tornare in albergo perché una mia amica non sta bene. –

 I due scendono in strada. Si è fatto buio e Piero prende Meme per mano:

- Sai che è strano. Mi sembra di averti conosciuta da sempre. Non so, come se tu fossi stata una mia compagna di scuola… - allunga una mano e la tuffa nei capelli sciolti sulle spalle di Meme, li raduna a coda di cavallo e poi la costringe a girare la testa verso di sé:

-  Sì, avevo una compagna di scuola che ti assomigliava, era pettinata così… -

Meme si libera di quella mano e scuote il capo per sciogliere meglio i capelli. Guarda Piero con sospetto.

-  Tu conoscevi Olga, vero? –

-  Sì, perché? –

-  Portava i capelli a coda di cavallo…-

-  Non mi pare. –

-  Parlami di Olga. –

-  Non so che dire. Mica eravamo amici. Siamo stati a letto insieme una volta ma non è stato un grande incontro. Sembrava avere paura del sesso. Invece con quella mia compagna di scuola ero io ad avere paura del sesso… avevo diciott’anni e…

-  Piero, della tua compagna di scuola non me ne frega un tubo. Non ti offendere, ma io vorrei sapere di Olga. –

 Un taxi si muove piano sulla scia dei due giovani che hanno ripreso a camminare tenendosi per mano, diretti verso il centro di Firenze.

La luce di un fanale illumina il bitorzolo osceno che si erge sul naso del camerata "G" al volante. Meme non può vederlo perché guarda per aria ammirando i muri delle antiche case, mentre le torna in mente la voce di Ramona che le dice "Sai qual è il tuo problema? Scopi poco".

Così le sue occhiate finiscono negli occhi di Piero, sulle mani virili di Piero, soprattutto sulla bocca carnosa di Piero.

Piero parla di Firenze ma sta controllando le chiusure della camicetta di Meme per capire quale sarebbe il modo più veloce per togliergliela. Le illustra i palazzi storici, mettendo in mostra tutta la sua cultura fiorentina, condendola di ironia dissacrante, fino a recitare con un forte birignao i versi di Dante, fingendosi il poeta innamorato:

Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta che la lingua divien tremando muta e li occhi non l’ardiscon di guardare… Se invece le avesse messo la lingua in bocca noi non avremmo la Commedia ma lui si sarebbe scopato Beatrice! –

-  Romantico! - ride Meme.

-  Romanticissimo. Non c’è niente di più romantico che un bacio dato bene.-

Piero cerca di tirare a sé Meme che si libera dall’abbraccio trascinandolo verso la statua del David di Michelangelo.

-  Eccolo là! – esclama Piero - Con un campione come questo, nudo in mezzo alla piazza, tutti noi fiorentini un po’ sfiguriamo … -

Meme dà una fuggevole occhiata al pene della statua e le scappa da ridere. Si costringe a tornare seria e chiede:

-  Tu davvero non sai che fine abbia fatto Olga? –

-  Uffa, no. Non sembrava aver bisogno di dipingere per vivere. Era piena di soldi. Ha dato duecento dollari a Caterina per una sola notte di pittura. –

-  Notte? –

-  Ma tu l’hai conosciuta Olga o no? Dipingeva solo di notte, non lo sai? Ho accompagnato Caterina e Olga ha fatto il ritratto anche a me . Cioè uno schizzo della mia faccia. Niente male. Lo vuoi vedere?-

-  E dov’è? –

-  Nel mio studio. –

-  Sopra o sotto la collezione di farfalle? –

-  Questo dipende dai gusti tuoi. – puntualizza Piero.

Il taxi, guidato dal corpulento picchiatore che si fa chiamare con la sola lettera "G", s’è fermato all’imbocco della piazza e tiene d’occhio i due giovani.

Li osserva ridere e poi guardarsi intorno. Piero vede il taxi e lo chiama con un gesto.

"G" accelera ma non va verso Piero bensì compie una manovra a "U" e si allontana.

-  Ma tu guarda quel bischero… - dice Piero, poi a Meme – Dai, vieni, che ne troviamo un altro… -

"G" ferma il taxi qualche centinaio di metri più in là e fa un numero sul suo telefonino.

Ramona e Lucio sono ancora a letto insieme ma la donna si è di nuovo addormentata.

Suona la musichetta di un cellulare. Lucio acchiappa la sua giacca da terra, dove l’ha buttata nel momento dell’eccitazione, e prende l’apparecchio da una delle tasche. Lo porta all’orecchio senza dire nulla, ascolta e poi sussurra:

-  Due minuti e sono lì. -

Gli dispiace lasciare Ramona in quel modo, sembra destino che uno dei due debba scappare. La bacia ma la donna non si sveglia, forse la pillola di Meme ha ripreso il sopravvento. Lucio si riveste ed esce.

Meme guarda il disegno del volto di Piero tracciato con matita sanguigna, appena schizzato ma somigliante. Tuttavia gli occhi della sua mente stanno esaminando quel letto che hanno intravisto oltre una porta socchiusa. Sa quale rito sia venuta a fare lì ma dev’essere Piero a officiarlo.

Piero mette su un vecchio vinile, apre un mobile bar e versa da bere. Meme è sollevata, sarà un rito lungo. Piero si accende una canna e la offre a Meme che scuote la testa.

-  E dai! Una tirata! E’ la prima volta? –

- Ma figurati! – risponde Meme- solo che adesso non mi va.- per superare l’imbarazzo si concentra di nuovo sul disegno. Nota che le iridi sono blu. Guarda gli occhi di Piero che le porge un calice di vino bianco.

- Non è champagne ma frigge… - scherza Piero, aspirando la canna con voluttà. Meme prende il bicchiere e ne assaggia un sorso.

-  Tu hai gli occhi neri. Come mai Olga li ha dipinti blu? –

- Chi le capisce le donne? Io in certe situazioni non faccio domande. - Piero cerca di baciare Meme che si tira indietro.

-  Rispondi! Perché ti ha dipinto gli occhi di blu.-

-  Olga diceva che poteva amare solo uomini con gli occhi blu. E io faccio tutto quello che le donne vogliono…-

Piero si alza e torna al mobile bar. Pesca qualcosa in una vaschetta colma di liquido e si porta le dita agli occhi. Quando torna a guardare Meme ha gli occhi blu: si è messo delle lenti a contatto colorate.

- Ecco Piero con gli occhi blu! Che cosa non si fa per accontentare una donna? –

-  Hai comprato le lenti blu per una volta che sei stato con Olga? –

- Ho mentito. Le lenti le ho comprate quando ci sono andato per la seconda volta. Ma non è andata molto bene neppure con gli occhi blu. La tua amica ha dei problemi di sesso, non solo di occhi. –

 Piero bacia Meme sul collo. La donna si ritrae:

-  Devo andare. Ramona non stava bene. Allora questo eri tu?-

Meme tira fuori la cartolina con il David dagli occhi blu. Piero legge le poche parole scritte da Olga e scuote la testa:

-  Non credo. Ti ho detto che non sono mai stato il ragazzo di Olga. Un’avventura breve e andata pure storta. –

-  Quando è partita da Biella non aveva un soldo. Tu invece dici che ne aveva tanti. Non hai idea di come li facesse? –

-  No. Io non pago le donne se è questo che pensi. -

Meme lo respinge: aveva pensato proprio a quello ma non può ammettere che lo pensi Piero e quindi deve fare la scandalizzata:

-  Ma che hai capito? Olga è una brava ragazza. - Piero cerca di nuovo la bocca di Meme ma la donna ancora lo respinge:

-  No, davvero, devo andare…. Dicevo di Olga…La sua famiglia è povera. E qui pare che abbia venduto solo qualche quadro per pochi soldi…Come poteva avere tanti quattrini?- Piero si ritrae.

-  Senti, io non lo so. Pensavo lo sapessi tu, visto che la stai cercando tanto…

-  Che vuoi dire? –

- Niente! Che vuoi che voglia dire…Non so un tubo di questa Olga, io. Vieni qui e piantiamola di parlare di lei. – Cerca di tirare Meme sul divano ma la ragazza si libera con determinazione:

- Non sei il ragazzo della sordomuta? - Piero spalanca le braccia dandosi per vinto. La gira in ridere:

-  Anche. Ma lei non può dire niente. -

Meme vorrebbe fare l’indignata ma le scappa da ridere. Piero ne approfitta e la bacia con passione. Meme finge di resistere ma lascia fare.

 

CAPITOLO 18

 

Ramona si sveglia. E’ ancora buio. Allunga le mani e sente il letto vuoto e freddo. Accende la luce. Lucio se n’è andato. Ha una smorfia di delusione ma poi pensa che è meglio così. Adesso c’è qualcosa in Lucio che non la convince. Le ha detto che è un detective, no, anzi, una specie di detective. Magari avrebbe dovuto informarsi meglio. Butta le coperte ed esclama ad alta voce:

-  E chi se ne frega! –

Dal bagno viene un rumore d’acqua, come se qualcuno avesse aperto un rubinetto. Forse è tornata Meme.

- Meme? – chiama senza avere risposta. Tenta di aprire la porta del bagno ma sembra chiusa da dentro.

-  Lucio, sei tu? –

 Nessuno risponde. Ramona, con uno scatto di rabbia, dà una spallata alla porta che si spalanca: nel bagno non c’è nessuno. La finestra è chiusa e i rubinetti pure.

Ramona si guarda allo specchio: ha il volto sciupato, i capelli arruffati. Lucio a parte, Firenze non le fa bene. Anche il comportamento di Meme non è più quello solito. Controlla la chiusura dell’uscio e si siede sulla tazza per urinare.

Un pensiero balugina nella sua testa: ha preso la pillola anticoncezionale? Tornare a Biella incinta sarebbe il massimo della gaglioffaggine. Peggio di Olga che si è fatta mettere incinta dal figlio di un miliardario. Chissà se c’era del calcolo. Magari no, Olga è sempre stata ingenua in quelle cose. Le torna in mente l’immagine di quella volta, proprio sul lago di Viverone… certo erano ragazzine, ma insomma già sui diciassette anni. Ramona si era appartata con uno che era venuto a Biella per giocare a pallacanestro, mentre Olga era rimasta sola con un altro stangone, e il massimo che aveva saputo proporgli era di giocare a chi sputava più lontano dalla banchina del lago.

Ramona sorride ai ricordi che ora si affollano nella sua mente richiamandosi l’uno con l’altro. Va a sedersi sul bidet: no, la pillola non l’ha presa. E’ stata male dopo quello spumante. Chissà che porcheria di vino era quello regalato da Beatrice.

Esce dal bagno e va ingoiare una pillola anticoncezionale. La butta giù con un po’ d’acqua. Suona il telefono sul comodino. Ramona risponde. E’ una voce d’uomo, sconosciuta.

-  Pronto. Sono Pepi Carlino. Lei è Meme, quella ragazza che è venuta da me? –

-  Io? No… come ha detto che si chiama lei? –

-  Sono il pittore. Pepi Carlino. Voglio parlare con quella ragazza che cerca Olga… è che venuta da me… ho una cosa importante da dirle. –

-  Meme non c’è. Sono la sua amica Ramona. Può dire a me. Abitiamo insieme e siamo entrambe preoccupate per la scomparsa di quella nostra amica. Pepi Carlino ha detto… ho capito, lei è quello che abita dove prima stava Olga, vero?-

-  Sì. Senta, non posso spiegare al telefono. Dica a… Meme vero? Dica a Meme che ho trovato una lettera per lei. Una lettera di Olga.-

-  E a chi sarebbe indirizzata questa lettera?-

-  E’ indirizzata "alla mia migliore amica".-

-  Allora è per me. Ero io la migliore amica di Olga. –

-  No. Succedono strane cose. Brutte cose. Io vorrei starne fuori ma non posso. Darò la lettera solo a quella che è venuta qui. Solo a lei. Glielo dica. E’ importante. Questione di vita o di morte.-

-  Di vita e di morte di chi? Vada alla polizia, no? …- ma la chiamata è stata già troncata. Ramona butta giù la cornetta irritata.

Dall’altro capo della linea "G" molla i testicoli del povero Pepi Carlino che ha tenuto stretti in una morsa per tutto il tempo del suo dialogo telefonico con Ramona.

Il pittore è madido di sudore, trema di paura e guarda il corpulento "G" con aria supplice. Parla a quel bitorzolo che "G" ha sul naso e che per Carlino rappresenta l’orrore dell’inferno.

- Ecco, ho fatto come voleva lei…. Verrà. Credo che verrà. Spero che verrà. –

-  E fai bene a sperarlo, altrimenti… -

"G" serra le dita a pinza e Carlino fissa quelle ditone testicolicide serrando le cosce come se già fosse stato evirato.

Il trillo del cellulare di "G" spezza l’atmosfera di minaccia. "G" ascolta quello che gli viene detto al telefono e sogghigna.

-  Arrivo – dice al microfono e chiude la comunicazione. Poi guarda Pepi con aria avvilita – Un altro lavoro. Per quelli come noi non c’è orario… -

La mansarda di Caterina è ancora più sottosopra del solito. La ragazza a seno nudo è bloccata ginocchioni tra le gambe scheletriche di Alb che fuma con gusto una bella boccata da una sigaretta ravvivando bene la brace. Poi pianta la brace nella mammella della ragazza sordomuta che spalanca la bocca in un urlo senza suono.

Alb invece ci resta male. La guarda coi suoi occhi rossi, dall’iride trasparente, che aumenta la sensazione di trovarsi di fronte a un mostro costruito da Rambaldi per un film di vampiri.

-  Qualunque cosa ti facciano, tu non gridi mai… - commenta tirando una nuova boccata di fumo. Le guance di Caterina sono rigate di lacrime e la ragazza guarda quella sigaretta con terrore. Tenta di divincolarsi ma la morsa delle gambe di Alb è troppo forte.

- Si può? – chiede la voce rauca di "G" e il corpacciuto masticatore di aglio si affaccia nel caos della mansarda – te la stai già lavorando? –

- Sì, ma questa non grida. Guarda…- pianta di nuovo la brace della sigaretta sulla mammella di Caterina e la preme. Dalla carne bruciata si leva un filo di fumo e "G" aspira con gusto.

- Che buon profumo di arrosto… - si china a guardare il volto di Caterina distorto in una smorfia di tremendo dolore, la bocca spalancata in un urlo senza suono.

"G" sputa in quella bocca il suo aglio masticato. La povera Caterina sputa a sua volta e ha un conato di vomito. Alb molla la presa e passa a tenerla per i lunghi capelli costringendola a terra come un animale. E’ seccato col compare.

-  O la lavori tu o la lavoro io. In due si fa casino. –

-  Io quasi quasi me la farei… - sogghigna "G" sollevando con un piede la gonna di Caterina e mettendo a nudo le sue tonde natiche appena velate da uno slip trasparente. Alb cachinna e trascina Caterina su una sedia:

-  Prima però devi prendere un chiletto di Viagra …- "G" non gradisce l’umorismo del compare.

-  Senti, camerata, non fare battute del cazzo, soprattutto sul mio cazzo. Intesi? –

Alb fa una smorfia di accettazione e riprende a parlare di Caterina:

-  Comunque a torturare una che non grida, non c’è gusto.-

-  Non grida ma sente.-

-  Ma se è sorda…. – "G" sbuffa e guarda di traverso il compare:

-  A volte sembri stronzo completo. Sente nel senso di sentire il male.-

Alb sogghigna e non dice nulla, è evidente che il camerata non ha ancora assorbito la sua battuta sull’impotenza. Aspira una boccata e torna a premere la brace sul seno nudo di Carolina che si torce per il dolore strabuzzando gli occhi, le guance rigate di lacrime. "G" si china su di lei e le soffia col suo alito da fogna:

- Ci devi solo dire se sai dov’è la borsa con i soldi. Quella che hai visto da Olga, quando sei andata a posare per lei. Se lo sai basta che fai di sì con la testa. -

Caterina fa un disperato cenno di diniego e Alb tira un’altra boccata di fumo e pigia la brace sulla mammella di Caterina.

- Questa troia, a forza di farmi fumare, mi farà venire il cancro…- mugugna serio.

 

CAPITOLO 19

 

La Mercedes coupé guidata da Vittorio Berta rallenta davanti al cancello della sua sontuosa villa. Livia siede accanto al marito. Il cancello si apre automaticamente. Berta entra ma si accoda a loro un’auto della polizia, guidata da Lorenzo. Al suo fianco c’è il commissario Camilleri. Livia mormora a Berta:

-  Sbirri. Non fare lo stronzo come tuo solito. -

Le due macchine si fermano davanti alla villa e Lucio scende dall’auto della polizia e si avvicina a Berta e Livia che li fissano simulando grande sorpresa.

-  Lei è Vittorio Berta, vero? L’ho visto in Tv qualche volta. Sono il commissario Lucio Camilleri. Dovrei farle qualche domanda. –

-  E’ urgente? Siamo un po’ stanchi… -

-  Mi dispiace. Sì. –

-  Okay, allora meglio davanti a un bicchierino. Prego, da questa parte. – Livia fa l’accattivante ma non realizza che l’età sta spegnendo in lei quel tipo di fascino e bamboleggia:

-  Le donne sono ammesse?-

-  Di più. Sono gradite. –

 Berta fa strada al commissario fino alle grandi poltrone in pelle bianca in un lussuoso salone che si affaccia con ampie vetrate sul grande parco della villa. Un maggiordomo di colore in divisa a righe è sull’attenti in attesa di ordini.

Livia si siede, accoccolandosi a gattina su un divanetto, mentre Vittorio Berta fa il disinvolto, l’anfitrione amabile e offre del cognac francese. Lucio declina l’offerta:

-  Sa come si dice, signor Berta, niente alcol sul lavoro. –

- Per me e mia moglie il solito, vero cara? – sussurra Berta e il maggiordomo capta il suo desiderio e mesce un po’ di vodka in due bicchierini stretti e lunghi che estrae da un minibar col vetro appannato dal freddo.

-  Allora, commissario, a che dobbiamo l’onore della sua visita? – chiede in tono gioviale Berta, anche se i suoi occhi acquosi tradiscono apprensione.

- Come mai lei comprava tutti i quadri di Olga Olivieri, che come pittrice era sconosciuta? –

-  Che esperto sarei se comprassi solo i quadri di autori famosi? -

Livia interloquisce con sarcasmo leggero:

-  Forse gli piaceva più la pittrice che i suoi quadri...-

-  Ma no, che dici, cara... - Berta sospira con aria di circostanza. Cercando con uno sguardo la complicità maschile di Lucio, che non trova. Lucio lo fissa e Berta si sente a disagio.

- Lei è mai stato in casa di Olga Olivieri?

-  Mai. Ho comprato i suoi quadri in una galleria d’arte. Può controllare. –

 Livia si alza con un gesto annoiato e dice a Lucio con tono della donna di mondo:

-  Commissario, non perda il suo tempo. I quadri a mio marito non interessano proprio. E’ uno di quegli imbecilli un po’ impotenti sempre dietro alle gonne delle donne. Di tutte le donne…. meno quella che ha avuto la sfortuna di sposarlo! Non può avere delle amanti! Gli piace solo farlo credere. Ho capito che l’argomento non mi riguarda, se mi vuole scusare, commissario.... -

Livia si alza e se ne va. Berta la segue con uno sguardo distaccato, ironico:

-  Grazie cara. Mi tratti sempre splendidamente davanti agli ospiti.- poi assume un’aria molto infelice guardando Lucio e fa un gesto a significare "che ci posso fare?". Ma Berta gongola, Livia è stata bravissima, ha messo tutta la faccenda su un piano vile, di interesse sessuale, l’interesse sessuale di un mezzo impotente.

Non si preoccupi. Io non sono un ospite. Allora, signor Berta, mi dica sinceramente se è stato mai a casa di quella pittrice.-

-  Mi sarebbe anche piaciuto. Ma come dice la mia cara moglie… capisce? Più arrosto che… sì, insomma…-

-  Quindi lei non sa nulla di Olga Olivieri.-

-  Che dovrei sapere? –

-  Ha lasciato la casa dove stava senza avvertire nessuno. Sono venute a cercarla perfino due sue amiche da Biella. Le ha detto che voleva partire? –

-  A me? No. –

La conosceva di persona, vero? - Berta si agita sulla poltrona:

-  Ma sì, certo. L’ho incontrata più volte nella galleria d’arte della signora Giardino. Ma non so proprio niente. -

Lucio fissa ancora Berta, incerto se continuare l’interrogatorio, ma poi si alza e ringrazia per il tempo concessogli. Sulla soglia del salone si volta e chiede a bruciapelo:

-  Tra i suoi clienti ce n’è uno che si chiama Bassani? – Berta sembra sorpreso:

-  No, che mi ricordi. Perché? –

-  Niente. Un’idea mia. Buonanotte. –

 In giardino, davanti alla villa, Lorenzo tiene aperta la portiera posteriore dell’auto e Lucio sale in macchina con faccia scontenta. Lorenzo si mette alla guida.

- Trovato qualcosa? -

Lucio guarda Lorenzo seguendo un suo filo di pensiero. Poi realizza e risponde:

-  Sì, due venditori di fumo. Però dove c’è fumo c’è arrosto. –

 Lorenzo fa una smorfia di perplessità e dà un’occhiata a Lucio attraverso lo specchietto retrovisore:

-  Commissario, mica capisco sempre quando parla. –

- Certamente quel Berta sa più di quanto dice e anche la sua mogliettina dev’essere un tipino al pepe…-

L’auto della polizia esce dal cancello della villa che si richiude alle sue spalle. Livia si stacca dalla finestra di una sala al primo piano da dove ha seguito l’uscita dell’auto della polizia e si volta.

-  Se ne sono andati. –

 Stravaccati sui divani ci sono Alb e "G". L’albino sta scrivendo sul suo portatile. E velocissimo sulla tastiera, le sue lunghe dita scheletriche sembrano avere un’anima propria. "G" lo guarda imbronciato, bevendo birra dalla bottiglia e poi gli rutta sulla tastiera.

-  Camerata "G," sei un bel cafone. E davanti a una signora… - osserva Alb, gli strappa la bottiglia di mano e ingolla un lungo sorso, poi rutta anche lui ma si mette una mano davanti alla bocca. Entra Berta sbuffando:

-  Era proprio necessario sputtanarmi in quel modo? –

-  Colpa tua e dei tuoi casini. E poi non è che abbia proprio mentito… -

"G" recupera la bottiglia e la punta contro Livia e poi contro Berta, minaccioso:

-  Occhio, bella e bello, perché con noi il teatrino non attacca. Qui nessuno sa niente ma i soldi sono spariti. - si pianta davanti a Livia e le alita in faccia: - Sicuro che non siete d’accordo con quella puttana di pittrice? Se li fosse davvero fottuti lei i soldi per fare a mezzo con dei maiali…. In fondo che quella sia morta lo dite solo voi… -

Livia ha una smorfia di disgusto e fa un balzo indietro per sfuggire alla pestilenza di aglio marcio che emana dalla boccaccia di "G". Indica il marito con disprezzo:

-  Lui! Lo dice solo lui! Io mica c’ero! –

 "G" si volta a guardare Berta. Alb termina di battere sulla tastiera, mette il portatile in stand by e poi valuta coi suoi occhi trasparenti la figura di Berta come se meditasse il modo migliore per macellarlo.

-  Qualcuno l’ha fatta a pezzi con un’ascia… - balbetta Berta, intimorito.

- Chi? Hai visto o non hai visto? – "G" gli soffia in faccia la sua puzza interiore e Berta arretra spaventato. Protesta

-  Ma non lo so! Era buio…. Mio dio, quando ho visto quello che stava succedendo sono scappato. Ho aspettato fuori e non ho visto nessuno uscire dalla casa, non sapevo che ci fosse una porticina sul retro, e quando sono entrato non c’era più nessuno ed era tutto pulito. Niente più sangue, cadaveri, niente di niente

-  E soprattutto niente soldi, vero? – ghigna "G" infilandosi due grossi spicchi d’aglio in bocca e riprendendo a masticare con gusto.

-  Niente soldi. – ammette con tristezza Berta – Niente soldi. –

Alb sorride in quel suo modo orribile di scoprire i denti:

- Se non saltano fuori i soldi mi compro un’ascia anch’io, bello… - e Berta capisce che non è sarcasmo ma una reale minaccia.

 

CAPITOLO 20

 

E’ molto tardi quando Meme scende da un taxi davanti al portoncino della pensione. Per la prima volta da quando è a Firenze, Meme si sente ottimista e disposta a pensare che Olga abbia trovato un suo principe azzurro e che prima o poi tornerà a farsi viva .

Mentre Meme sale le scale senza far rumore, Manettone la spia da una porta socchiusa. La vede entrare nel suo appartamento e richiudere l’uscio allora si affretta verso il balcone della sua stanza, ne scavalca la ringhiera e, dopo tre passi sull’antico cornicione, approda a quello della stanza delle due ragazze e sbircia dentro. La porta a vetri è socchiusa. La stanza è buia, ma intravede il letto sfatto e un corpo di donna sdraiato sopra. La luce della luna è la sola che riverbera un poco dentro la stanza. Il vento muove le tende.

Manettone vede Meme che, senza accendere la luce, va verso il letto, in punta di piedi, per capire se Ramona stia dormendo. Si ritrae, addossandosi al muro.

Meme si china su Ramona e incontra lo sguardo dell’amica che la fissa con freddezza:

-  Potevo pure crepare. Sono le due e mezza.- sbuffa la ragazza girandosi in posizione supina.

-  Hai ragione. Ma mi è successa una cosa…-

-  Cosa? –

-  Poi ti dico. Come stai?-

Ramona accende l’abat-jour sul comodino e appare nuda, sdraiata sopra le lenzuola. Da fuori la porta finestra Manettone sgrana gli occhi e comincia a masturbarsi.

-  Sto benissimo. – annusa l’aria – hai fumato? – Meme fa un gesto vago.

-  Ho incontrato un ragazzo…

-  Ah. Finalmente. Hai dovuto drogarti per scopare?-

-  Dài, non dire così. Levi tutta la poesia…-

-  Okay, okay. Allora parlo di me: ho avuto visite e ho scopato. –

-  Visite? E di chi? –

-  Indovina…-

-  Ma, non so, Gegio?-

-  Gegio?? A Firenze? Ma no, che idea! Il detective!-

-  Gli avevi dato l’indirizzo? –

-  Boh… evidentemente sì, e poi è un detective, no? –

-  Ecco perché stai tanto bene… -

-  Il tuo pusher mica si chiamerà Pepi Carlino? –

-  Carlino? Quello che abita dove stava prima Olga? Ma no! Adesso sono io che mi stupisco e dico: ma come ti viene in mente?-

-  Perché ha telefonato. Dice che ha una lettera di Olga e la vuol dare solo a te.-

-  Una lettera? E perché non me l’ha data quando ci siamo visti?-

-  Può essere una balla per rivederti. Però sembrava agitato. –

 Meme si stiracchia e si spoglia buttando i vestiti un po’ qua e un po’ là: una vera delizia per Manettone, là fuori sul balcone, vicinissimo all’orgasmo.

-  Sì, quello voleva marciarci. Deve essere una scusa. Ci andiamo insieme domani. Invece ti volevo dire di Piero…- ma si accorge che Ramona si è voltata dall’altra parte accingendosi a dormire. Meme si interrompe e sospira:

-  Okay. Domani anche per Piero…- e si infila sotto le coperte spegnendo la luce.

Manettone è arrivato all’orgasmo con un tempo perfetto e scavalca la ringhiera del balcone. Meme vede l’ombra del ragazzo e si solleva un poco per vedere meglio: la luce lunare, le tende gonfie di vento, il silenzio della notte, la tranquillizzano e si lascia cadere esausta sul materasso.

 

CAPITOLO 21

 

Il taxi è fermo, motore spento, sul lato opposto dello slargo, davanti alla casa che fu di Olga.

Il camerata "G" ha infilato nella narice destra tutta la falange dell’indice della mano sinistra e la gira con grande determinazione deformandosi il naso bitorzoluto.

Alb smette di scrivere sul portatile che tiene in grembo e acchiappa al volo un moscone nel raggio di sole che entra dal finestrino del taxi.

- A me non piace il sole. – dice al camerata "G"- Mi piace la notte. Se quella fichetta non arriva, io… con tutta questa luce sto male. – e ausculta il ronzio del moscone nel suo pugno chiuso. Poi si ficca dentro un indice e blocca l’insetto, lo prende fra la punta delle sue dita bianche e con sapienza gli strappa le ali, le zampette una per una e alla fine lo decapita con un colpo deciso dell’indice.

"G" , senza togliersi il dito dal naso, lancia un’altra occhiata alla casa.

- Se non viene toccherà studiare qualcos’altro. –

-  Olga mi era simpatica, dipingeva solo di notte. Ma se è stata lei a fregarsi i soldi, sai che le faccio? Le lego un vaso sulle chiappe con dentro un bel topo di fogna e poi bruciacchio la bestia finché non trova un buco per scappare…. Capisci quale buco? – e leva il suo sguardo venato di sangue sul compare.

"G" ha finito l’esplorazione della sua narice e scaglia una crosta di muco fuori dal finestrino.

- Chissà come ti vengono certe idee. Secondo me sei leggermente sadico…–

- Leggo. Sono un intellettuale, io. – sbadiglia riprendendo a battere sulla tastiera.

"G" attacca a far pulizia all’altra narice e torce il collo per vedere quello Alb sta scrivendo. L’albino lo deride:

-  Non sono su un sito porno sadomaso di quelli che piacciono a te. –

-  E che scrivi allora? –

-  Sul news group di politica. Rispondo ai bastardi che insultano il governo che invece sta lavorando bene. Ricordi quella ragazzina a Ginevra? Quella che mi accusano di aver sgozzato? -

"G" scava più a fondo nel naso tentando di ricordare. Estrae una copiosa zolla di muco verde e si illumina:

-  Quella che prima hai violentato e poi le hai tagliato la gola? –

-  Sì, quella. Oh, lo sai che c’era un bastardo che mi ha testimoniato contro? La gente all’estero è incivile! Mica si fa i cazzi suoi come in Italia. Barbari ficcanasi! Fortuna che il nostro governo ha deciso che le prove svizzere non sono valide se non hanno non so che minchia di timbro. Quella deposizione non ce l’aveva. Culo al quadrato, nel frattempo il testimone bastardo è crepato e così capitolo chiuso! -

-  Metti via. Sono loro. – "G" indica verso Ramona e Meme che stanno scendendo da un taxi. Meme va a suonare il campanello di Carlino. Ramona da un’occhiata alla casa e al giardinetto fiorito.

-  Mica male qui. – commenta.

La porta si apre e appare una domestica filippina che parla un italiano incerto. Meme le dice il proprio nome ma la donna non si fa di lato per farla entrare. Sostiene che il "signore" dorme fino a tardi e che se lo sveglia si arrabbia..

Ramona sbuffa e scosta la filippina entrando seguita da Meme.

E lui che ci ha chiamate. Se si arrabbia poi gli passa, eh? –

 Meme entra nel salone e guarda in alto, verso il soppalco. Chiama ad alta voce:

-  Signor Carlinoooo! –

 Nessuno risponde e la filippina si tocca le orecchie e dice:

-  Lui quando dorme mette tappi. Non sente…-

- Visto che tu lo conosci già, vallo a stappare, vai… - dice Ramona che si guarda intorno incuriosita. Meme sale le scale che portano al soppalco e chiama di nuovo:

- Signor Carlino…? -

Ramona gira lo sguardo sui quadri appoggiati un po’ dovunque. Su un cavalletto, sotto il soppalco, ce n’è uno coperto da una tela nera. Ramona ne solleva un lembo: il dipinto, non finito, rappresenta la splendida Caterina nuda con una rosa in mano. Uno strano singulto proviene da sopra e Ramona chiama:

- Meme….?- alza la faccia verso il soffitto e una goccia di sangue, che cola tra le assi del parquet, le macchia il viso.

Ramona guarda il formarsi della prossima goccia di vischioso rubino prima di correre su per la scala urlando il nome di Meme.

La filippina si mette a tremare e balbetta qualcosa nella sua lingua, facendosi più volte il segno di croce.

Come Ramona affiora con la testa a livello del pavimento del soppalco vede riverso sul letto, la gola squarciata e il capo penzolante a sfiorare il parquet, il corpo del pittore Pepi Carlino. Sotto di lui si sta raggrumando una pozza di sangue. Meme, rannicchiata sul pavimento, sta vomitando.

Ai piedi del letto c’è un coltello da cucina, seghettato, sporco di sangue.

Ramona sale gli ultimi scalini. Meme riesce a fermare il vomito e si mette sulle ginocchia: incontra lo sguardo di Ramona che la fissa inebetita.

Meme si asciuga la bocca col dorso della mano e cerca di alzarsi, deve appoggiarsi al muro.

- Ramona… anche questo come… ma perché mi guardi così? -

-  Credevo che…. che avessero fatto del male a te… invece… -Meme si alza in piedi e, in preda a un attacco isterico, strilla:

-  Invece cosa? Era già morto quando sono salita io!!! Era già morto! –

 Ramona arretra, quasi cade giù per la scala. Corre al telefono. Compone il 113 e chiede aiuto, poi resta ritta in piedi con la cornetta in mano a guardare Meme che scende la scala, piano, un gradino alla volta, con gli occhi sgranati su di lei. Ramona gira intorno al tavolo in modo da frammetterlo fra lei e l’amica.

Meme si avvicina, allucinata, lancia un urlo isterico e scoppia a piangere, lasciandosi scivolare sul pavimento. Ramona esita, poi le si avvicina e allunga una mano per accarezzarle i capelli ma Meme si ritrae e leva verso di lei la faccia rigata di lacrime, piena di rabbia:

-  Tu credi che sia stata io! – ringhia – Tu credi che io potrei fare…. quello! –

 Ramona le si inginocchia accanto e balbetta:

-  No. Meme, no. E’ stato lo shock…. Te l’avevo detto che dovevamo tornare a casa… -

Quando arriva la prima auto della Polizia, Alb e "G" stanno per entrare da Carlino per vedere perché le due donne non siano più uscite.

I due agenti in divisa li scostano e corrono dentro. Alb e "G" si scambiano un’occhiata perplessa.

-  E’ successo qualcosa. – pondera con evidente sforzo mentale "G" - Meglio non farci trovare nei paraggi… -

I due tornano dentro al taxi e "G" avvia, allontanandosi a velocità moderata.

 

CAPITOLO 22

 

Nico fuma con gran gusto e ogni aspirata è un voluttuoso bacio che dà alla sigaretta.

Ramona siede davanti a lui, sola, con una luce in faccia. Si fa schermo con una mano e subito Nico dà uno scappellotto alla lampada che si piega sul gambo flessibile, dando sollievo agli occhi della donna.

Ramona è pallida e gelata come neve ma i suoi occhi brillano di febbre.

-  Io non so altro. Meme, la mia amica, dov’è? –

-  Non lo so. Ha avuto un collasso ma si è ripresa. La starà interrogando il commissario. Signorina, a me non piace fare il duro, ma lei capisce che non possiamo sopportare un’altra fila di delitti qui a Firenze. Basta mostri, uno l’abbiamo avuto e non ce ne possiamo permettere un altro. O un’altra…Mi dica di nuovo: quanto tempo è passato da quando la sua amica è salita nel soppalco e quando c’è salita lei.-

Ramona sospira e scuote la testa. Si affloscia esausta sulla sedia, poi rialza gli occhi e fissa Nico attraverso la nuvola di fumo che lo avvolge:

- Gliel’ho detto. Trenta secondi, forse meno! Non siamo noi che andiamo in giro a sgozzare la gente. –

-  No, però la trovate sgozzata con allarmante frequenza.

- E’ orrendo…

-  Per adesso, può andare. Ma non lasci la città senza avvertire. -

In un ufficio al piano di sopra a quello in cui Ramona è stata interrogata da Nico, Lucio sta interrogando Meme e, seduto davanti un tavolo, di lato, Lorenzo, batte sulla tastiera di un computer.

Ricominciamo daccapo e cerchi di essere più precisa. Lo so che è stressata ma la gran parte degli omicidi o si risolvono nelle prime 48 ore o non si risolvono più… Lei mi ha detto di aver incontrato il Carlino una prima volta perché abitava nella casa in cui aveva abitato una sua amica. –

 Meme sente la testa che le ronza. A tratti il volto di Lucio le appare sfocato, poi torna a fuoco, anzi sembra acquisire contorni scolpiti. Restare col pensiero nella sequenza logica di domande e risposte a cui la vuole costringere il commissario le costa uno sforzo fisico. Anche il respirare pare avere perso il suo tranquillo automatismo. Meme ha l’impressione che se non ordinasse ai muscoli del torace di aprirsi i polmoni resterebbero sacchi flosci e privi d’aria appesi dentro di lei come le borse della spesa di sua madre attaccate sul lato dell’armadio della cucina. Com’era bella sua madre! E com’era aliena, di cera, stesa sul letto di morte a cui lei arrivava appena…

La voce di Lucio ripete la sua domanda e Meme si costringe nella realtà. Risponde con voce piana, atona, come quella di un computer:

-  Sì. Era l’ultimo indirizzo che ci aveva dato Olga. –

-  Ci? – chiede Lucio, il torturatore. Meme tira su col naso e ordina ai polmoni di gonfiarsi d’aria.

-  Ci. A me e alla mia amica. –

-  E che sapeva, Carlino, di Olga Olivieri? –

 Il volto di Lucio perde i contorni, diventa una macchia bianca contro quel muro sporco dell’ufficio. Olga invece affiora sorridente nel ricordo di Meme, con tale vivezza che la donna sente una stretta al cuore. Doveva essere quel giorno al Gorgo Moro, il laghetto che formava il torrente Oropa, ai piedi di una cascata, quando quel loro compagno di scuola le aveva detto che l’amava. Quello stesso pomeriggio che Olga le aveva detto di essersi innamorata di Walter…

Lucio ripete la sua domanda con pazienza e Meme torna nel reale.

-  Carlino mi disse di non avere mai visto Olga e che l’unica cosa rimasta era un quadro non finito che mi mostrò: una cosa angosciosa con un neonato morto… l’avete trovato, no?-

Lucio si volta verso Lorenzo che sta mettendo a verbale le dichiarazioni di Meme.

-  Ti risulta, Lorenzo? –

- No, Commissario, ma posso controllare. - Lorenzo solleva la cornetta di un telefono interno.

-  La mia amica, dov’è? – chiede Meme guardandosi intorno, come se non avesse ancora realizzato bene l’ambiente in cui si trova.

-  Ha già fatto la sua deposizione ed è stata rilasciata. -

-  Non mi ha aspettato? –

-  Era molto provata. -

Meme ha dei flash: la visione di Carlino sgozzato si mescola a quella di Pisca quasi decapitato e tutto quel sangue… rosso…era rosso anche il lago di Viverone quella notte perché le insegne si riflettevano nell’acqua cheta e il pennellone non l’aveva toccata. Lei si era quasi offerta e lui era rimasto sdraiato accanto a lei, fermo come una statua. Invece Walter si era dato da fare, accidenti come s’era dato da fare…

Lucio ripete la sua domanda e Meme spalanca la bocca per farsi riempire dall’aria che pare restìa a caderle nei polmoni, poi risponde:

Eh? Ah sì, anch’io non mi sento bene. Né io né Ramona sappiamo niente di questa città di matti dove la gente si sgozza dalla mattina alla sera! Eravamo venute in vacanza e per trovare una nostra amica. –

 Lucio guarda Meme in modo diverso. La donna sembra aver ritrovato di colpo forza e rabbia. Magari può cambiare tono anche lui.

Vuol protestare con l’ente del turismo? - chiede con sarcasmo e attende la reazione di Meme. La donna lo guarda con attenzione. Il ronzio si sta attenuando e ora riesce a tenere a fuoco la faccia del commissario: è un bell’uomo. Il pensiero estetico segna il rientro del cervello della donna nella normalità. Anche l’angoscia viene razionalizzata. Smette di pensare che deve respirare e l’aria le gonfia i polmoni. Lucio equivoca quel silenzio e quello sguardo:

-  Si rilassi. Non è accusata di niente. Quell’uomo era morto da tre ore quando lo ha trovato lei… - controlla delle carte e continua - Anzi il medico legale dice dalle tre alle cinque ore. Quindi il delitto è stato compiuto fra le 4 e le 6 del mattino. Allora, lei e la sua amica siete andati da lui per prendere una lettera: qualcuno ve l’ha data?-

-  Ma no! Che dice? Chi ci doveva dare la lettera era… Carlino… –

 Interloquisce Lorenzo che ha ricevuto una chiamata:

-  Abbiamo sequestrato ventuno tele, ma nessuna mostra un neonato morto. Anzi non c’è proprio nessun morto, sono tutti paesaggi e figure di donna.-

-  Come lo spiega? – chiede Lucio a Meme – Non c’era il quadro che dice lei. –

-  Io non posso spiegare niente. Stamattina non ci ho fatto caso ma l’altra volta c’era. –

-  Il guaio è che non c’era neanche la lettera. –

-  Guaio? Guaio per chi, commissario? –

Meme sente montare un’irritazione sorda. Quel commissario di polizia pensa che lei abbia a che fare con quegli omicidi e che sappia più di quanto voglia dire.

"Qualcosa di più sai" le sussurra una vocina dentro la testa "per esempio gli occhi blu… gli occhi blu… gli occhi blu…".

Meme scaccia il pensiero non voluto. Quello riguarda Olga, è una cosa della vita intima di Olga che ha poche speranze di rivedere.

Lucio si alza e sospira. Fa un gesto ampio con le braccia:

Guaio per me, per lei, per Ramona, per tutti. Finché non si fa chiarezza io debbo fare gli straordinari e voi dovete restare a Firenze. –

 Il modo in cui Camilleri ha pronunciato il nome di Ramona illumina la mente di Meme come un lampo, come se pezzi di frasi, di ricordi fossero entrati in un corto circuito e si fossero accesi.

- Lei conosce bene Ramona, vero? –

Lucio esita un attimo di troppo e per Meme è una conferma: è lui "quella la specie di detective" che è andato a letto con Ramona!

Sì, ma questo non c’entra. Lei sa che i vostri alibi per l’ora del delitto sono basati solo sulle vostre dichiarazioni incrociate.-

-  Cioè lei pensa possibile che io e Ramona, d’amore e d’accordo, siamo partite da Biella per fare le serial killer a Firenze?-

-  Nel mio mestiere non bisogna mai confondere l’improbabile con l’impossibile, come disse Wodehouse. Tutto deve essere pensato possibile fino a prova contraria. Allora, la verità: perché siete venute a cercare Olga Olivieri a Firenze?-

-  Niente… - Meme fatica a raccontare - Mi ero innamorata del ragazzo di Olga e anche lui di me, ma non sapeva come dirlo a Olga… poi Olga aveva detto di essere incinta di lui ma lui non ci credeva… e poi ci fu una disgrazia. Olga e Walter naufragarono con una barchetta in mezzo al lago di Viverone. Olga sapeva nuotare e Walter no. Il cadavere di Walter non è mai stato trovato.-

-  Strana storia, le pare? Quindi c’era un morto anche prima, a Biella…… - dice Lucio e guarda quella giovane donna che, senza accorgersene, si è appena data un movente. Era innamorata dello stesso uomo dell’amica scomparsa. Preferisce non far notare questo a Meme e chiede:

-  Perché, dopo la disgrazia, Olga se n’è venuta a Firenze?-

-  Biella è una città piccola. Walter era figlio di un commerciante laniero molto ricco. Nessuno ha dato apertamente a Olga la colpa della disgrazia, ma la gente la guardava in modo diverso da prima. –

-  Voi eravate molto amiche, vero? –

-  Sorelle. – dice Meme – Sorelle. Per questo quando non ha più risposto al cellulare, non ha più mandato SMS, siamo venute a cercarla. -

-  Perché voi, non ha una famiglia? –

-  No, solo una vecchia zia bigotta, felice che si sia tolta dai piedi. –

-  Quando è stato l’ultimo contatto che lei ha avuto con Olga Olivieri?-

-  Telefonava quasi ogni giorno. L’ultima volta, due settimane fa… forse di più. Non ricordo con certezza, non sapevo che sarebbe stata l’ultima chiamata… -

Meme avverte un groppo in gola, ma non vuole piangere. Serra le labbra. Inghiotte.

-  Lei che cosa pensa sia successo a Olga? –

-  Adesso ho paura. Hanno ammazzato due persone che, in qualche modo che non so, avevano a che fare con lei.. Io spero ancora, ma… e poi quel quadro… quello col feto affogato… era vero che era incinta, però… -

-  Ah già, il quadro scomparso. Così abbiamo due cadaveri all’obitorio e una lettera e un quadro scomparsi. –

 Meme non dice nulla. Guarda Lucio pensando a Ramona: se quello è l’uomo con cui è andata a letto, un commissario di polizia, sarà un caso? Da quando sono a Firenze succedono "casi", troppi. C’è un significato in quella catena di "casi"?. La donna ha un momento di mancanza ma subito si riprende.

Tutta la vita è una catena di "casi". Se avesse aspettato che il pennellone si fosse deciso a metterle le mani addosso forse adesso sarebbe la sua donna, magari sposata con figli e non sarebbe andata a letto con Walter, forse Walter sarebbe vivo e comunque non si sentirebbe colpevole per la scomparsa di Olga.

Le chiamo un taxi.-

-  No. La pensione dove sto è vicina. Far due passi mi farà bene. Ho bisogno di aria.-

-  Non so se aveva notato, ma il morto, non questo ultimo, il Pisca, aveva scritto una "C" sul pavimento. Ha idea di quel che voleva scrivere?-

Meme scuote la testa e si alza per andarsedne.

-  Carlino l’avevo visto una volta, quel Pisca mai.-

-  Le ammazzano la gente intorno: non pensa di essere pericolo?-

-  Mi scusi, ma non è lei che deve preoccuparsi della mia incolumità? Che fa, mi da una scorta? –

-  Figurarsi. L’han tolta anche a quel povero professore che poi è stato ammazzato. Non dipende da me dare o togliere le scorte. Però stia attenta e lo dica anche alla sua amica: state attente. Non fate più ricerche, non andate più a strani appuntamenti, niente di niente. -

-  Vorrei solo tornare a Biella adesso. –

-  Sì, certo. Spero di venire a capo di questa storia in fretta e così lei e la sua amica potrete tornare a casa. Ma nel frattempo mi raccomando: solo ristoranti, cinema, musei. Nessuna inchiesta. Nessuna ricerca. Intesi? Altrimenti dovrò chiedere un arresto cautelare. –

 

CAPITOLO 23

 

Meme si incammina per le strade del centro storico di Firenze. E’ stanca, svuotata per lo stress.

"G" la sta aspettando, appoggiato al muro del palazzo di fronte al commissariato e si mette sulla sua scia col suo passo pesante e senza cercare di nascondersi.

Meme, nell’attraversare una strada, scorge il faccione bitorzoluto di "G" che le ricorda quello del tassista telepatico. Sarà lui?

Allunga il passo e anche "G" accelera. Meme vede una vigilessa in divisa e si ferma accanto a lei, pallida, tesa.

- Buongiorno, qualcosa non va?-

- C’è un uomo che mi segue…- La vigilessa dà un’occhiata intorno e poi le dice:

-  Più d’uno, spero per lei… e ci sarà anche abituata, no? –

-  Non in quel senso. E’… è… - si volta "G" è scomparso. Meme fa un gesto stanco e riprende a camminare.

Svolta nella strada di casa, si gira ancora indietro a guardare: "G" non c’è più, ma sul portone della pensione va a sbattere addosso ad Alb che la afferra per le braccia.

Meme non ha mai veduto Alb, ma quella faccia da morto, gli occhi trasparenti iniettati di sangue, la spaventano.

L’albino scopre i suoi denti giallastri, è un sorriso, ma sembra che voglia azzannare:

-  Mi siete simpatiche, belle! Anche voi andate per le spicce eh? Ma quello stronzo di pittore non sapeva niente. E se tenete alla pelle è meglio che torniate a casuccia…!-

Meme si divincola e Alb la lascia. Entra affannata nel portoncino della casa-pensione. Fa le scale di corsa, apre l’uscio dell’appartamentino e subito si volta per tirare il chiavistello. Una mano si posa sulla sua spalla e Meme urla: ma è Ramona che la guarda fissa, bevendo una tazza di tè.

-  Ce ne hai messo di tempo… -

-  Avevi ragione tu. Torniamo a casa. Uno qua sotto, uno con una faccia da zombie mi ha minacciato… e c’era anche quell’altro, quello grosso, brutto col bitorzolo sul naso…. Il tassista, ricordi? Quello che sapeva l’indirizzo anche se non gliel’avevamo dato… Dobbiamo dirlo alla polizia! –

-  No, basta polizia. Siamo già abbastanza inguaiate per passare anche per paranoiche.

-  E allora facciamo come dicevi tu, Ramona! Andiamo via! Qui se non ce ne andiamo subito ci ammazzano… Solo perché cerchiamo di sapere che fine ha fatto Olga…–

 Ramona abbraccia Meme per calmarla.

-  E’ evidente che Olga si è messa in qualche casino grosso. E adesso ci siamo dentro anche noi. Vieni a letto, stai tremando… Che ti hanno chiesto al commissariato? Ci sospettano di avere ammazzato quel pittore? –

 Meme sospira e va a sedersi sul letto. Si passa una mano sugli occhi, esausta.

-  E non solo la polizia, ma anche quel mostro, bianco come un morto, mi ha detto che noi due andiamo per le spicce… Senti, Ramona, prendiamo i nostri stracci e torniamo a casa. –

 Ramona si siede accanto all’amica sul bordo del letto, pensosa.

-  Non possiamo andar via adesso. Non han detto anche a te di non lasciare Firenze? Se scappiamo finiamo ricercate e sui giornali. Pensa a Biella che direbbero… Dimmi dell’interrogatorio… che ti hanno chiesto? –

-  Il commissario è stato gentile….-

-  Che voleva sapere? –

-  Mi ha fatto dieci volte le stesse domande. E non solo sul pittore ma anche su Olga.-

-  Che gli hai detto di Olga? –

-  Più o meno tutto. Voleva sapere perché siamo venute a Firenze... così gli ho detto anche di Walter... della disgrazia… tutto.-

-  Gli hai detto anche che tu e Walter…?

-  Sì… -

-  Quello potevi risparmiartelo. Sembra un movente. –

-  Movente? E di che? –

-  La gelosia no? E’ un classico. -

-  Ma figurati. Gli ho detto anche di Marco Bassani e della sua proposta.-

-  Ossia, che ti voleva scopare?

-  Anche, ma soprattutto voleva che venissi a Firenze per trovare Olga e fargli sapere dov’era. Voleva vendicare il fratello.-

-  Questo non me l’avevi mai detto. -

-  Ma sì che te l’ho detto, quando l’ho visto in piazza quella sera, non ricordi?-

-  Non me l’hai detto. -

-  Non credo si attaccheranno a queste stronzate. Però non hanno trovato nessuna lettera di Olga, e la cosa più strana è che non han trovato più neppure il quadro… sai che ho pensato? E se non fosse stato Pepi Carlino a telefonare? Magari qualcuno voleva farci andare là per coinvolgerci nell’omicidio…-

Ramona ci pensa su:

-  Possibile. Quella voce che mi ha detto di essere Carlino poteva essere di chiunque. Io non l’avevo mai sentita. Ma così tutto diventa ancora più folle: chi e perché cerca di farci accusare di assassinio?-

-  Il commissario mi ha ordinato di restare… ma io ho paura! Facciamo le valige e filiamocela! –

 Meme è davvero spaventata, sta tremando. Ramona si alza e spalanca le braccia:

-  Come vuoi. Ma così finirà che ci arrestano. Di solito sono i colpevoli che scappano. –

 Meme scoppia a piangere e si lascia andare riversa sul letto. Ramona allunga una mano per accarezzarle i capelli, poi si trattiene.

 

CAPITOLO 24

 

Il sostituto procuratore Attilio Giordano è molto seccato: quel secondo omicidio nuovamente scoperto da quelle due biellesi diventerà argomento di motteggio in procura e vanificherà anni di leccate di culo al potere politico per una più rapida carriera.

Giordano scarica il suo nervosismo camminando in su e in giù per l’ufficio del commissario Lucio Camilleri:

-  Io l’ho detto a Roma! Un branco di incapaci! Dovunque nell’amministrazione incapaci, culattoni raccomandati! E’ ora di fare pulizia! Pu-li-zia!-

-  Scusi signor sostituto procuratore ma qui siamo alla Po-li-zia. – interviene l’agente Lorenzo - E se vuol fare pulizia nella polizia rischia di diventare una macchietta, con tutto il rispetto.- Tutti ridono e Giordano si infuria.

-  Risus abundat in ore stultorum ! – sentenzia.

Lorenzo non capisce e diventa serio. Lucio sbuffa e ferma la camminata di Giordano tagliandogli la strada.

Stiamo facendo del nostro meglio. Abbiamo interrogato le due ragazze fino allo sfinimento. Non sono loro le assassine. Sono arrivate ore dopo il delitto. Abbiamo arrestato la serva filippina che è anche senza permesso di soggiorno e lavorava in nero.

-  Eccoli questi pidocchi extracomunitari! Dipendesse da me li prenderei a cannonate. Affondi due o tre di quelle carrette e vedrai che non ne arrivano più! –

-  Non dipende da lei, per fortuna. In ogni modo è difficile che sia stata la filippina, è ancora sotto shock. Stiamo seguendo alcune altre piste ma ci vorrà del tempo. –

-  E’ proprio il tempo che ci manca! Devi fare l’impossibile, commissario, l’impossibile! Ho fatto domanda per la procura di Roma, ho tanti amici là che mi appoggiano… ma questi delitti insoluti potrebbero danneggiarmi…-

Lucio resta impassibile, celando il suo disgusto per quel personaggio squallido. Risponde serio:

-  L’impossibile lo facciamo sempre. Ma per i miracoli occorre avere un po’ di pazienza. – Attilio Giordano lo guarda di traverso e poi sogghigna:

- Le vecchie battute le lasci al presidente del consiglio. – e se ne va, panciuto e borioso come al solito.

-  Omo de panza…- gli mormora dietro l’agente Lorenzo – Se questa è la nuova magistratura, siamo fottuti. Magistrati come
Maltoni sono sempre più rari...–

-  Lascia perdere, Lorenzo e fa entrare i testimoni. –

Lorenzo fa accomodare nell’ufficio del commissario un ometto grigio di età indefinibile che si rigira il cappello in mano. Lorenzo mette delle carte davanti al commissario e indica il nuovo entrato come Karl Izzo, padrone della casa in cui è stato ammazzato Carlino.

Lucio lo giudica con un’occhiata professionale: ominicchio capace di truffe ma non all’altezza di un omicidio.

Gli indica la sedia davanti alla sua scrivania e Izzo si siede, continuando a tormentare il cappello. Dà occhiate brevi al commissario cercando a sua volta di capire con che tipo d’uomo abbia a che fare. Ne ricava la sgradevole sensazione di trovarsi di fronte a un uomo che si crede onesto, un matto, e Izzo sa che non c’è peggior accusatore di chi è convinto di essere nel giusto.

Lucio dà un’occhiata alle carte e poi pianta gli occhi in quelli neri del suo interlocutore.

-  Una scomparsa e uno morto ammazzato. Lei non è molto fortunato con gli inquilini. –

-  Artisti, commissario, oggi qua domani là… Non sempre pagano il fitto…-

-  Lei di che si occupa? -

-  Io? Di stelle. –

-  Astronomo? –

-  No, io sono uno scienziato: astrologo. –

-  Un ciarlatano che fa gli oroscopi, insomma. – ribatte Lucio e Izzo si gonfia come un tacchino:

-  L’astrologia è una scienza serissima. –

-  Sì, inventata da pastori ubriachi di sidro nelle notti mesopotamiche diecimila anni fa. –

-  Di che segno è lei, commissario? –

-  Non lo so ma temo che lei sia del segno dello struzzo. – Karl Izzo si ritrae offeso:

-  Commissario, mi ha fatto venire qui per insultarmi? –

-  No e le chiedo scusa. Sono molto stanco. Andiamo al sodo: quando è scomparsa Olga Olivieri, perché non ha denunciato niente? –

-  Scomparsa? Quella ha pagato l’intera mesata e se n’è andata. Era un po’ strana. Pensi che ha lasciato anche i suoi vestiti…

- Una lascia i vestiti nell’appartamento e lei pensa che se ne sia andata di sua volontà? –

-  Ne fanno di stranezze gli artisti! Ai nuovi dico sempre che i vecchi non han pagato e così mi faccio dare qualche mese in anticipo. Ma quella mi ha pagato e mi ha detto che lasciava la casa. Perché avrei dovuto preoccuparmi? –

Lucio non trova argomenti per ribattere. E’ davvero stanco. Prosegue con evidente sforzo:

-  C’è stato un altro morto, certo Angelo Pisca. Lo conosceva?-

-  Pisca? Mai sentito. Sotto le armi ho conosciuto uno che si chiamava Piscia…-

-  Prima di morire ha scritto una C col suo sangue…-

-  Un a "C" come Cristoforo? –

-  Perché non come Carlo? –

-  Può darsi. Ci sono milioni di Carlo. Io però ho la cappa: Karl. Mi chiamo Karl come Marx. -

Lucio si preme i bulbi oculari con indice e pollice cercando di alleviare la stanchezza e Izzo si prende la sua rivincita.

Secondo me lei è della Vergine. Pignolo, sensibile, facile alla stanchezza.-

-  Se ne vada! Per adesso, se ne vada. –

 Karl Izzo non se lo fa dire due volte. Si ficca in testa il cappello ed esce a passo deciso sentendosi vincitore.

Lucio fa un cenno a Lorenzo affinché faccia passare gli altri. L’agente Lorenzo propone un caffè al suo superiore, lui lo conosce bene e sa che quando è stanco diventa scortese e non cava un ragno dal buco.

Lucio accetta il caffè ma insiste:

-  Vada per il caffè, ma fai passare quei due. Sono gli ultimi no? –

-  Sìssignore. Gli ultimi. –

 Esce Izzo ed entrano Caterina e Piero che fa le presentazioni:

-  Signor commissario, io sono Piero Luisetti. Questa è Caterina Sacchi. E’ sordomuta. Io le faccio da interprete.-

-  Allora le chieda…-

-  Può chiedere direttamente a lei, le legge le labbra, io poi traduco le risposte. -

Lucio guarda Caterina, è davvero bellissima. Sembra una madonna di Raffaello. Anche Caterina valuta Lucio e l’esame è positivo perché lo gratifica con uno dei suoi luminosi sorrisi.

Conosceva bene il pittore Pepi Carlino? – le chiede Lucio. Caterina scuote la testa e fa un paio di cenni a Piero che spiega:

-  Caterina fa la modella. L’ho accompagnata io da Carlino: due volte in tutto. Anche dalla Olivieri, da Olga voglio dire, due volte in tutto. –

-  Sì, un dipinto che raffigura la sua bellissima amica l’abbiamo trovato. Mi dicono che ce n’era un altro, molto angoscioso con un neonato morto. Le chieda se… oh scusi, Caterina lei l’aveva visto? –

 Caterina si agita e risponde con segni rapidi. Piero, senza distogliere lo sguardo dalla ragazza, parla per lei.

- Sì, l’ha visto. Ma Carlino le ha detto che non era suo. Era di Olga che lo aveva lasciato lì, incompiuto. Due cadaveri, un uomo e un neonato, gonfi d’acqua come se fossero affogati. –

 Caterina strattona per un braccio Piero e fa degli altri segni. Piero esita poi si stringe nelle spalle.

-  Caterina vuole che dica che c’era una sigla, una formula chimica, dipinta sul corpicino del neonato, qualcosa come Cu2O. –

-  Cu2O? E che vuol dire? - Caterina scuote la testa in segno negativo e fa altri segni. Piero alza le spalle

- Non ne ho, e non ne ha, la più pallida idea.- Caterina fa altri pochi segni e Lucio chiede:

-  Ha aggiunto qualcosa…-

- No, niente, commissario, niente… - Poi come colto da un pensiero improvviso

- Ah però… adesso che mi ricordo.. Olga aveva un anello con una formula scritta sopra! Magari era quella! Cu2O, sì, mi pare proprio Cu2O…-

Lucio scrive su un foglio, a grandi caratteri, " Cu2O ". E ci pensa su un momento scarabocchiando tutt’intorno con la biro. Mentre non guarda verso i due giovani, Caterina fa alcuni frenetici segni nella lingua dei sordomuti a Piero che le risponde con una faccia scura e un secco cenno di diniego del capo. Lucio pensa ad alta voce:

- Cu è rame, mi pare…-

Entra l’agente Lorenzo con su una tazzina piena di caffè e la posa sulla scrivania di Lucio, vicino ad altre tazze vuote che raccoglie e mette su un vassoio di carta argentata:

- Io smonto, commissario. Ma lei dorme poi con tutti questi caffè? - chinandosi sulla scrivania dà un’occhiata alla formula chimica "Cu2O " scritta da Lucio:

-  Ma che, ha scritto "’ulo" commissario? –

 Lucio guarda la formula, effettivamente quel "2" potrebbe sembrare una elle. Ridacchia.

-  Sì, quello che ci manca in questa storia… Senti, qui c’è stato un Lorenzo il Magnifico ma te ti chiameranno Lorenzo il Bischero! Vattene, va! –

 Lorenzo ride e Lucio offre il caffè a Caterina che scuote la testa con un altro dei suoi sorrisi affascinanti. Nel movimento, la scollatura della camicetta si apre un poco di più e Lucio scorge il segno di una bruciatura all’attaccatura del seno della ragazza:

-  Che si è fatta lì? –

- S’è bruciata col ferro per arricciare i capelli…- spiega Piero senza attendere i segni di Caterina.

-  Usa ancora? –

-  Caterina è molto tradizionalista. Possiamo andare adesso? - Lucio si alza e osserva ancora la formula che ha scritto, grande, sul foglio di carta.

-  Sì, certo…. "O" sta per ossigeno, sicuro… -

-  In chimica sono sempre stato un disastro, e non solo in chimica… Allora noi andiamo. Se ha bisogno di noi sa dove trovarci, signor Commissario.

Lucio sta già pensando ad altro. I due giovani escono e il commissario solleva la cornetta del telefono:

- Salussoglia, tu che sei diplomato in chimica… che cazzo è "Cu2O"? … Ossido di rame? Sì, eh? Ho capito: ossido di rame. Fin lì c’ero arrivato anch’io. No, niente. Ciao. – Lucio riattacca e mormora fra sé – Ossido di rame… e che diavolo c’entra l’ossido di rame? -

Lucio disegna con la biro un enorme punto interrogativo intorno alla formula chimica.

 

CAPITOLO 25

 

Un tuono fa tremare Firenze. Sta iniziando a piovere. Piero cammina con Caterina lungo i muri della Questura cercando di ripararla con l’ala della sua giacca.

Le parla in fretta e la bocca di Caterina è talmente vicina a quella di Piero su cui legge le parole che a Piero viene naturale baciarla: uno sfiorare di labbra breve e leggero. Un gesto di tenero affetto più che di passione. Piero è tutto preso da ciò che spiega alla ragazza:

Noi li abbiamo visti quei soldi… se tutti li cercano, vuol dire che nessuno li ha trovati! Se dicevo che ti avevano torturato per quei soldi, ci saremmo tagliati fuori, no? Guarda che fortuna! Laggiù c’è un taxi…-

Caterina si ferma e costringe Piero a fare lo stesso. Gli fa dei segni disperati e Piero li legge e una smorfia di incredulità si disegna sulla sua faccia. Un lampo squarcia la notte seguito dallo scoppio di un tuono. Piero afferra Caterina per le braccia:

- Coosa??? Tu hai detto a quei due che io so dove sono i soldi… a questi due?? oh madonnina santa… - Piero indica il corpulento "G" che è balzato fuori dal taxi e gli si para davanti mentre Alb esce dallo sportello posteriore. Dal cielo cade uno scroscio d’acqua che innaffia il quartetto. "G" con sarcasmo indica l’auto::

-  Taxi signori?- e afferra con mani d’acciaio un braccio di Piero e un braccio di Caterina e li fa entrare nell’auto. I due giovani devono obbedire e l’albino si siede accanto a loro. "G" si mette al volante e l’auto riparte mentre si scatena un diluvio con tuoni e lampi. "G" centra con lo specchietto la faccia pallida e impaurita di Piero e gli intima:

Adesso ci porti dove hai nascosto i soldi. Hai fatto fuori la pittrice e ti sei fottuto la grana. Ma perché hai seccato pure quegli altri due? Ti piace esagerare o sapevano troppo?-

-  Non ho ammazzato nessuno, io… Caterina, maledetta, ma che cavolo gli hai detto!- la voce di Piero è rotta da un singhiozzo di disperazione.

Alb sorride in quel suo modo minaccioso e commenta felice:

-  Pure i muti facciamo parlare, noi! – e accarezza le belle cosce di Caterina, salendo con le dita oltre l’orlo della gonna. La ragazza ha paura e volge uno sguardo disperato a Piero. Fa alcuni segni nell’alfabeto dei sordomuti, senza dare nell’occhio, inframmezzati con movimenti banali.

Piero capta e fa un piccolo cenno per comunicare a Caterina che ha capito.

"G" vuol sapere da Alb dove sia meglio portare i "pulcini" per farli cantare e Alb si stringe nelle spalle ossute, qualunque posto in campagna andrà benissimo.

Dopo qualche minuto l’auto imbocca un Lungarno mentre Alb continua a sogghignare a Caterina e a palparle le cosce.

Piero guarda Alb e poi Caterina che gli fa un altro paio di rapidi segni. Piero si dice d’accordo con un colpo di palpebre.

Caterina apre le gambe e Alb ci ficca dentro anche l’altra mano.

Caterina chiude le gambe con tutta la sua forza bloccando le mani di Alb mentre Piero colpisce "G" sulla nuca coi pugni uniti.

"G" compie una sterzata involontaria. L’auto sbanda, urta il muretto del lungarno, investe un cumulo di assi che le fanno da pedana e vola nel fiume.

CAPITOLO 26

 

Meme e Ramona dormono insieme nel grande letto di ferro battuto. Un lampo illumina la camera da letto, seguito da un tuono cupo. Un’anta sbatte al vento.

Ramona spalanca gli occhi e ascolta. L’anta sbatte di nuovo, da qualche parte. Si alza e, senza accendere la luce, va a controllare se la portafinestra sia chiusa.

E’ chiusa. Fuori sul balcone non c’è nessuno.

L’anta sbatte di nuovo e Ramona va a tentoni nel bagno per controllare la finestra.

Un nuovo lampo illumina Meme che dorme. Il tuono che segue, fragoroso, sveglia la ragazz di soprassalto. Muove una mano alla ricerca di Ramona ma non la trova.

- Ramona? - chiama nel buio con voce incerta. Si allunga verso il comodino e fa scattare l’interruttore dell’abat-jour. L’interruttore scatta ma la luce non si accende. Anche Meme sente il rumore dell’anta che sbatte seguito da un gemito e da un tonfo sordo. Si rannicchia a sedere sul letto, appoggiata alla testiera di ferro battuto. Sussurra ancora il nome dell’amica ma non ha più il coraggio di chiamare.

La pioggia scroscia e picchietta sonora sulla pensilina che protegge il balcone. Meme prova di nuovo ad accendere la luce ma l’interruttore scatta a vuoto.

Scivola fuori dal letto e va a tentoni verso il bagno, fermandosi in mezzo alla camera: ha la sgradevole sensazione che nella stanza ci sia qualcuno di ostile. Trattiene il fiato e sente un respiro lieve, ma forse è il vento che crea rumori inusuali.

Un lampo illumina l’ambiente e disegna per una frazione di secondo un’ombra umana ritta in mezzo alla stanza, avvolta in qualcosa di scuro, con un’ascia in pugno, pronta a colpire. Meme grida.

L’urlo arriva a Manettone che sta buttando l’immondizia in un cassone, giù nel cortile. Il ragazzo guarda verso il balcone buio.

Meme scappa, sbatte nell’oscurità contro i mobili e inciampa nel corpo di Ramona, steso a terra. Perde l’equilibrio e ci cade sopra. Ne tocca il volto freddo, i capelli bagnati di qualcosa di tiepido e appiccicoso….

Meme urla di nuovo. Scuote quel corpo che non dà segni di vita, poi si ritrae, arretra come un animale, senza più riuscire a pensare, geme e trema finché sente sotto le mani lo stipite della porta del bagno. Rotola dentro e chiude l’uscio. Alle sue spalle la finestra sbatte e la pioggia bagna il davanzale. Meme si accuccia in un angolo senza riuscire a dominare il tremito che la scuote.

Ma Ramona non è morta, si riprende e striscia sul pavimento della stanza verso il letto. Il riflesso di un lampo la illumina, i suoi capelli sono intrisi di sangue ma nella stanza non c’è più nessuno. Le mani di Ramona trovano il filo del telefono, lo seguono e arrivano all’apparecchio, lo prendono e con esso la ragazza si ripara sotto il letto. Compone il 113 mentre un altro tuono fa tremare la vecchia casa. Ramona parla con un filo di voce, rauca, estenuata:

- Via di Santa Maria sei… Pensione Beatrice presto! C’è qualcuno…. Qualcuno che vuole uccidermi! Fate presto!- Ramona abbandona la cornetta sul pavimento e ci scivola sopra, svenuta, mentre dall’altro capo della linea una voce preoccupata chiede dettagli.

Meme è rannicchiata in fondo alla stanza da bagno, incastrata tra la tazza e il bidè. Al primo tremendo colpo d’ascia sulla porta riprende ad urlare e non la smette più mentre guarda la lama che sfonda l’uscio. Un lampo penetra dalla finestra e illumina il pannello dell’uscio che si stacca. Meme si porta le mani al volto, incapace di mettersi in piedi.

L’ombra dell’ascia cala su di lei che apre un poco le dita e fissa con occhio stralunato il filo lucente della lama che le piomba addosso con forza. L’ascia assassina le spacca le mani e la testa. Meme sente il freddo della lama e il caldo del suo sangue. L’ultima immagine ha l’orrore di un demone nero che cala la sua scure di morte facendo echeggiare nel buio del suo universo che si spegne una domanda che non avrà mai risposta:

Perché??! –

 Meme muore e resta in una posizione fetale, con i lobi frontali del cervello fuori dalla scatola cranica. Il sangue cola sull’anello d’oro che porta al dito con la scritta a smalto "Cu2O".

L’omicida esce dal bagno e sfonda con un colpo d’ascia la portafinestra.

Dal cortile pieno di pioggia Manettone lo vede affacciarsi, ombra nella notte di tregenda, gettare qualcosa dal balcone: l’ascia sporca di sangue cade verso Manettone che balza di lato, tuttavia la lama rimbalza sul lastrico di pietra traendo scintille e ferisce di striscio una caviglia del ragazzo che ulula saltellando intorno e non s’avvede dell’immensa ala nera che scende planando su di lui. E’ un grande mantello scuro che gli atterra addosso avvolgendolo.

Manettone impreca e bestemmia come solo certi toscani sanno fare. Si dibatte, scalcia e quando riesce a liberarsi fugge a razzo, dimentico del dolore alla caviglia.

Poi per lunghi minuti si sente solo lo scrosciare della pioggia che lava il sangue dalla lama dell’ascia e inzuppa il mantello dell’assassino. In alto la portafinestra sbatte al vento e pezzi di vetro cadono infrangendosi con suono cristallino.

La polizia sfonda la porta dell’appartamento mentre Beatrice strilla che è un antico cimelio del Rinascimento.

Lucio e alcuni agenti, tra cui Lorenzo, irrompono nella stanza con grandi torce elettriche e sciabolano luce sul letto e sui mobili, ma non si vede nessuno. Fanno scattare invano gli interruttori della luce.

Beatrice li segue ansiosa per l’arredo e si scusa:

- Oh qui l’è sempre così! Quando piove si ferma Firenze…-

La porta del bagno distrutta guida Lucio che illumina con la torcia elettrica il corpo di Meme: è una visione tremenda. Rattrappita, con le mani giunte che sembrano reggere il cervello uscito dalla scatola cranica, spezzata in due come una noce.

Lucio è abituato a spettacoli cruenti, ma resta inebetito davanti alla forza, alla ferocia, alla precisione di quel colpo.

Beatrice occhieggia alle sue spalle e si fa tre segni di croce, ma la sua costernazione è più per la porta del suo bagno che per la morte della sua cliente.

Ramona è rannicchiata sotto il letto, trema tutta. Muove il capo in un movimento ritmico ossessivo, come fanno gli orsi in cattività. Il cerchio luminoso di una torcia la illumina ma lei non sembra accorgersene. Lucio si infila sotto il letto e la accarezza, cercando di farsi riconoscere.

- Ramona, sono io. Sono Lucio. Non avere paura. E’ tutto finito. Tutto finito. Vieni… vieni fuori…. Sono Lucio Camilleri. Ricordi? -

Ramona sembra finalmente realizzare il fascio di luce che la illumina e si scherma con le mani. Lucio si fa dare la torcia dall’agente e ne dirige il fascio luminoso sul proprio volto, ma la luce dal basso crea sulla sua faccia una distorsione che mette angoscia.

Ramona guarda quel viso continuando a fare di no con la testa come una bestia in gabbia. Lucio insiste, la abbraccia, la trascina con dolcezza fuori da sotto il letto.

-  Vieni, Ramona, sono Lucio….-

La donna non oppone resistenza e Lucio la affida a Lorenzo, ordinandogli di chiamare un’autoambulanza.

Alcuni agenti trovano la scure e il mantello dell’assassino in cortile. Stendono delle strisce di plastica per isolare la zona e si mettono in contatto telefonico con i colleghi che sono nell’appartamento. Lucio si affaccia dal bancone: l’assassino potrebbe essere scappato di là. Si sporge a guardare.

-  Per scendere da qui bisogna lavorare in un circo…-

Suona il cellulare in tasca a Lucio che risponde alla chiamata:

Ah, Chianetti. Dove? Si va bene. Appena posso arrivo. -

CAPITOLO 27

 

Poco più in giù del punto in cui il taxi di "G" è volato nell’Arno si è formato un cerchio di curiosi.

Alle luci delle fotovoltaiche della polizia, al comando del sovrintendente Ciro Chianetti, due sub traggono a riva Piero, rantolante, con una larga ferita al capo che gli fa colare sangue e melma sulla faccia cerea e sui vestiti fradici.

A terra c’è il cadavere di Alb con gli occhi trasparenti sbarrati che si vanno cremando come il bianco d’uovo quando condensa. Accanto a lui il corpo di Caterina a cui un infermiere di un’autoambulanza sta facendo la respirazione artificiale, mentre un auto gru ha agganciato il taxi di "G" che la corrente ha inchiodato contro i piloni di un ponte e lo sta tirando fuori dal fiume. Dai finestrini rotti, l’auto versa tonnellate di fango e acqua e, quasi come un vomito finale, sputa fuori il corpulento "G" piegato in due in posizione innaturale, con la bocca spalancata sul cerchio del volante. Anche dalla sua bocca esce un fiotto d’acqua sporca.

L’auto guidata da Lorenzo arriva in velocità e si ferma con stridore di freni. Lucio salta giù, seguito dall’agente e corre verso Piero che lotta con gli agenti per muoversi verso Caterina, distesa come morta. Piero singhiozza come un bambino.

- Respira! Respira! Non è morta! Capito, ragazzo? Non è morta! – La voce di

Nico penetra nella mente mezzo annegata di Piero che guarda il sovrintendente e smette di dibattersi, sospende il singhiozzare e segue con occhi pieni di speranza la barella che sta portando via Caterina. Cerca di alzarsi ma le gambe non lo reggono. Piero grida il nome di Caterina. Lucio si china su di lui:

Mi riconosci? Sono il commissario Lucio Camilleri. Mi riconosci? – Piero boccheggia. Lucio scambia un’occhiata con Nico che gli spiega:

-  Son finiti in Arno con tutta la macchina. Due morti, ma non è una gran perdita. Uno è Alb Locasso, il falsario, quello implicato nel caso Berruti-LiGanci. Ricorda, commissario? E l’altro è un certo Giovanni Strazzero, un avanzo di galera che non so come abbia fatto ad avere la licenza di tassista. -

-  Queste morti devono essere un altro anello della serie dei delitti dei pittori… - mormora Lucio e torna a rivolgersi verso Piero, che ha dominato lo spasmo del respiro, e gli chiede:

Adesso vuoi dirmi la verità? - Piero si aggrappa a Lucio disperato

-  E’ colpa… mia… Caterina sta morendo per colpa mia…- riesce a dire ansimando – perché sono io il bastardo che aveva fatto la bocca a tutti quei soldi…-

-  Quali soldi? –

-  Quelli che aveva Olga, la pittrice. Una borsata di dollari grande così – e apre le braccia – Chissà quanto c’era in quella borsa… L’avevo vista una delle volte che avevo accompagnato Caterina a posare. La faceva stare nuda e immobile per quattro ore e dipingeva, dipingeva. Io mi annoiavo e curiosavo in giro. Ho visto delle riviste in un armadio e ho cominciato a sfogliarle. La borsa coi soldi era là, sotto le riviste. Ho solo aperto un poco la zip e mi è mancato il fiato. Mazzette di dollari! Fino all’orlo!-

-  E per quei soldi hai ammazzato quella disgraziata? – Piero sembra morso da una vipera, una scarica di adrenalina dà forza ai suoi muscoli e balza sulle ginocchia come una molla. Grida scandalizzato:

-  No! Commissario, no! Posso diventare ladro, ma assassino mai! –

-  Va bene. E allora chi l’ha uccisa quella pittrice? –

-  L’hanno uccisa? Un giorno Olga è sparita e i soldi con lei. Poi sono spuntati due bastardi… uno è quello! Un maiale di meno! – e indica il cadavere di Alb. Lucio gli indica il grosso "G" gonfio come un rospo, accasciato contro il volante del suo taxi che viene posato dall’auto gru sul Lungarno e gli dice:

-  E quello dev’essere il maiale numero due. –

- Meno male. Se sono crepati tutti e due forse me la cavo. Quei bastardi hanno torturato Caterina… non era una bruciatura per i capelli quella che ha visto, commissario… e la poveretta per farli smettere ha scritto su un foglio che ero io quello che sapevo dov’erano finiti i soldi. Così mi volevano fare a fette per farmelo dire.

- Perché non mi hai detto subito la verità? -

-  Perché anch’io sono un bastardo, commissario. E ho pensato che se quei due cercavano ancora i soldi allora forse non li aveva presi la pittrice e c’era ancora la possibilità di trovarli.-

Lucio si drizza e guarda il cielo ancora nero di nubi: i soldi come sempre. Il novanta per cento dei crimini viene commesso per i soldi. Sono diventati la misura di tutto. Nico legge nella mente di Lucio e spalanca le braccia:

-  Così è oggi, commissario. Prima di parlare di te, dei tuoi sogni, dei tuoi genitori, dei tuoi figli, dei tuoi amici, è meglio che dici il saldo del tuo conto corrente. I cretini ti giudicano da questo e sono molti e in crescita.-

Lucio fa un cenno a Lorenzo. Vuole essere portato all’ospedale per vedere come sta Ramona. L’agente guarda Lucio con aria critica: secondo lui dovrebbe invece andare a casa a dormire.

-  Dopo, Lorenzo. Anzi, facciamo così. Mi lasci all’ospedale e vai tu a dormire. Non dovevi smontare ore fa? –

-  Eh no? – ride Lorenzo e corre alla macchina.

Quando Lorenzo arriva davanti all’ingresso dell’ospedale si accorge che Lucio si è addormentato. Allora, senza svegliarlo, fa una manovra ad U e lo porta davanti al palazzo in cui abita. E’ quasi l’alba.

Lorenzo sveglia il commissario che lo guarda assonnato senza capire dov’è.

-  Vada a dormire, commissario. Domani è un altro giorno. –

 Lucio scene dall’auto ancora confuso e Lorenzo schizza via con la macchina, solo adesso Lucio si ricorda che l’ordine era di andare all’ospedale.

La stanchezza ha il sopravvento e Lucio sale sull’ascensore e si lascia portare nella sua mansarda all’ultimo piano. Si getta sul letto vestito e subito si riaddormenta.

 

CAPITOLO 28

 

Ramona giace nel lettino d’ospedale, con una flebo in vena. Un uomo alto e magro, sulla cinquantina, le accarezza una mano e Ramona gli sorride con gli occhi pieni di lacrime.

-  Dimmi ancora di mia figlia. Perché non siete tornate subito a casa quando avete capito che Olga si era messa in guai grossi…-

-  Lei lo sa com’era Meme. Generosa e testarda. Proprio perché aveva capito e voleva aiutare Olga… per questo siamo rimaste. -

L’uomo china la testa, distrutto dal dolore. Si avvicina un medico e lo avverte che è arrivato il commissario di polizia che vuole interrogare Ramona, quindi deve uscire.

L’uomo ruota su se stesso e se ne va, senza una parola, come un automa. Lucio lo guarda andar via e si avvicina a Ramona, mentre Lorenzo resta sulla soglia della camera con un lungo rotolo sotto il braccio.

Chi era? –

- Il padre di Meme…- dice Ramona e volta via la faccia per nascondere le lacrime. Lucio si china per darle un bacio sui capelli ma la donna si volta di scatto e lo ferma con un gesto.

-  Prima dimmi perché. –

-  Perché di cosa, Ramona? –

-  Perché mi aspettavi in quella galleria di quadri, perché non mi hai detto che eri un poliziotto, perché ti sei anche fatto scopare per avere informazioni. Tu sapevi che eravamo in pericolo e ci hai usate. –

 Lucio si ritrae. E’ venuto per avere spiegazioni e Ramona lo costringe a darne. Si sente in colpa per averle mentito, se avesse saputo che era un commissario di polizia forse non sarebbe andata a letto con lui.

-  Sì, ti aspettavo. La padrona della pensione mi aveva detto che eravate arrivate in cerca di Olga Olivieri. Non ti ho mentito del tutto però. Ti ho detto che facevo il detective, è abbastanza vero. – Ramona continua a fissarlo negli occhi e non commenta. Lucio prosegue – Avevo avuto una segnalazione anonima su Olga Olivieri ma non c’erano elementi per pensare a qualcosa di più che a una lite fra innamorati. Era stato facile risalire a chi aveva fatto la telefonata anonima, era Pisca, uno degli amanti di Olga. Però mi ero incuriosito perché Olga prima di sparire pareva colpita da improvvisa ricchezza. Tutto qui. Non immaginavo affatto che ci fossero dei pericoli mortali. –

 Ramona abbassa gli occhi accettando la spiegazione. Due lacrime le colano lungo le guance. Parla col respiro rotto dal pianto:

Io me ne volevo andare via… forse se avessi insistito ora Meme sarebbe ancora viva… avete preso chi l’ha uccisa? E perché l’ha fatto? Perché ammazzare la più bella, la più dolce, la più onesta delle donne? –

 Ramona non riesce più a trattenere i singhiozzi. Lucio la lascia sfogare. Lorenzo cerca di richiamare la sua attenzione agitando il rotolo che ha sotto il braccio, ma Lucio gli fa cenno imperioso di attendere. Quando Ramona si calma, Lucio si siede sul bordo del letto e le accarezza la mano in cui è infilato l’ago della flebo.

-  No. Abbiamo fermato il ragazzo della pensione. Lui dice che era nel cortile ma è ferito a un piede, però non credo che sia lui. E’ solo un guardone spaventato. Dice che ogni tanto vi spiava dalla finestra. Però se l’assassino s’è calato dal balcone dev’essere un acrobata … tu l’hai visto?-

Ramona annuisce. Cerca un fazzoletto e Lucio le offre il proprio. Ramona si asciuga le lacrime e si soffia il naso.

-  Ho visto solo un’ombra, alla luce di un lampo. Aveva in mano una scure.... Qualcuno alto... come te...- Ramona guarda fisso Lucio, con sospetto - Lucio, ma… come mai sei arrivato proprio tu quando ho chiamato il 113? -

-  Ero di turno. Sì, l’arma del delitto è un’ascia da boscaiolo. L’abbiamo trovata nel cortile. Pare che l’assassino l’abbia buttata dal balcone prima di scappare. Non ci sono impronte. –

- Lucio, ma perché Meme? Perché noi? -

-  Tu sai niente di una borsa piena di dollari?-

Ramona guarda Lucio con occhi pieni di sorpresa e scuote il capo:

Una borsa piena di dollari?… Vuoi dirmi che Meme aveva una borsa piena di dollari? Guarda che le nostre borse…- Lucio la ferma.

-  Olga. La borsa era di Olga. –

-  Ma è lo stesso! Figurarsi se Olga poteva avere una borsa piena di dollari! Non ha mai avuto un soldo, è orfana, di famiglia povera. Quando le ho presentato Walter Bassani toccava il cielo con le dita! Sperava tanto di agganciarlo e farsi sposare… la storia la sai già, vero commissario?-

-  In parte. Non sapevo che eri stata tu a presentare Walter alla Olivieri. –

-  Ma sì. Non è che a Biella ci siano le caste, però, insomma, io sono figlia di commercialista e avevo occasione di frequentare i rampolli dei miliardari, Olga no. –

-  Capisco. –

 Lucio si pesca in tasca una bustina di nylon sigillata contenente l’anello d’oro di Meme, quello con la misteriosa formula dell’ossido di rame, e la mostra a Ramona.

-  E di questo che dici? –

 Ramona prende la bustina e rigira, commossa, l’anello fra le dita. Tira su col naso e lo restituisce a Lucio:

-  Sì, è di… era di Meme.-

-  Da quando ce l’aveva?-

-  Non so. Da sempre, mi pare. -

-  Da prima che Olga sparisse? –

-  Ma sì! E che c’entra Olga?-

- Perché ci sono dei testimoni che giurano che quest’anello l’aveva Olga, qui a Firenze. -

-  Ah sì? Meme l’avrà regalato a Olga, prima che partisse da Biella. -

-  Oppure dopo. –

 Ramona guarda Lucio perplessa: quello stupido poliziotto sospetta forse di Meme? Ora il viso di Lucio non le sembra più interessante come la prima volta che lo vide. Per esempio quella sfumatura alta dei capelli che porta è un ricordo di quando i poliziotti erano un corpo militare. Anche il suo sguardo ha perso quella luce di birichineria che l’aveva attratta, adesso è lo sguardo di un poliziotto che cerca di capire cose che non riuscirà a capire mai.

Come … dopo? Pensi che Meme abbia incontrato Olga, qui a Firenze, e che non me lo abbia detto? –

-  Sì. Si può dire anche così. Tu eri loro amica, no? Che era successo di preciso tra quelle due? –

 Ramona scuote la testa. Lucio le accarezza una mano e le dice:

-  Se non riesco a capire la dinamica delle cose, non prenderò mai l’assassino di Meme. E tu vuoi che lo prenda vero?-

-  Più di ogni cosa al mondo. E va bene: Meme si era innamorata del fidanzato di Olga che le aveva detto che avrebbe lasciato Olga per lei. Solo che Olga diceva di essere incinta di Walter e lui negava. Il giorno che andarono in barca sul lago avranno litigato e Walter, nominandolo da vivo, sapeva essere un gran figlio di puttana quando ci si metteva. La barca si rovesciò e Walter non sapeva nuotare. Olga lo sapeva perché a volte lo prendeva in giro per questo. -

-  Queste cose me le ha già raccontate Meme. Ramona, l’assassino con l’ascia può essere una donna? Può essere Olga?-

-  Ma nooo! Ma che idea! Olga che ammazza Meme… Comunque era troppo alto per essere una donna. -

-  Perché con Olga è scomparsa anche la borsa piena di dollari. Forse milioni di dollari. -

-  E allora? Che c’entra la povera Meme? E io? Spero che Olga sia scappata coi soldi e se li stia godendo. Meglio che pensare morta anche lei-

-  Meme sospettava che Olga avesse affogato il suo fidanzato volutamente?-

Ramona esita a lungo, poi i suoi occhi tornano a inumidirsi di lacrime:

-  Temo di sì. Aveva visto un quadro che Olga ha lasciato incompiuto quando è… quando se n’è andata. Io non l’ho visto, ma Meme diceva che era orribile, con un feto gonfio d’acqua e sangue…-

Lucio fa un cenno a Lorenzo che entra, si avvicina al letto di Ramona e gli consegna il rotolo che tiene sotto il braccio. Lucio lo srotola: è il quadro che stava dipingendo Olga, con la formula "Cu2O" dipinta sul cadavere dell’uomo e ripetuta in piccolo anche sul feto.

Ramona guarda il dipinto e non riesce a dominare un brivido di disgusto.

-  Dio mio che orrore! Dove l’avete trovato?-

-  Alla pensione. Stava nascosto dietro l’armadio in corridoio. Se non ce l’hai messo tu, ce l’aveva messo Meme. "Cu2O" anche qui, come sull’anello. Ma che cavolo vuol dire?-

-  Ossido di rame, mi pare. Olga studiava chimica. -

-  Fin lì c’è arrivata anche la polizia fiorentina. Ma quella formula, "Cu2O", può essere la chiave del mistero. Forse anche Angelo Pisca morendo voleva scrivere "Cu2O" e non "Ca...qualcosa", come io avevo pensato. Ossido di rame, che vorrà dire?-

Ramona scuote la testa e si lascia andare contro i cuscini. Interviene un dottore e prega Lucio di smetterla perché Ramona è ancora debole e traumatizzata. Lucio le sfiora i capelli con un bacio e se ne va insieme a Lorenzo.

 

CAPITOLO 29

 

E’ notte e c’è una gran luna. Un raggio bianco entra da uno dei finestroni dello stanzone mortuario dell’ospedale, gioca rifrangendo con i vetri istoriati dalla sporcizia di decenni e illumina di luce aliena il corpo di Caterina stesa sul catafalco.

Caterina non ce l’ha fatta e giace, bellissima, cerea, composta in una bara, al centro della disadorna sala mortuaria. Piero seduto in un angolo singhiozza.

Lucio lo osserva alla soglia e poi va a sedersi accanto a lui e gli mette un a mano sulle spalle per confortarlo.

Piero è disperato. Con voce spezzata dal pianto ripete ossessivamente che è colpa sua.

E’ come se l’avessi ammazzata io, capisce, commissario? Io! E tutto per degli schifosissimi soldi! Che poi io li ho sempre schifati quelli che vivono solo per far soldi… Povera Caterina… -

-  Non è colpa tua. E’ colpa di chi ammazza la gente. Quei due della macchina, come li avevi conosciuti?-

-  Non li conoscevo però uno, quello grosso col taxi, l’ho visto una volta che parlava con un Vittorio Berta, sa, uno di quei pidocchi che vivono del sangue dei pittori. Quelli che si spacciano per critici d’arte ma sono come condor dietro agli animali feriti, pronti alla picchiata se un vecchio pittore muore. –

-  Vittorio Berta. E’ quello che comprava i quadri di Olga. -

-  Sì, e non solo i quadri. Dicono che sia impotente ma gli piace far credere di essere un grande scopatore.-

-  Come mai il taxi è finito nel fiume? –

-  Ci hanno costretto a salire. Avevano già torturato Caterina… l’idea di aggredirli, di farli sbandare è stata sua… poi quel bastardo ha perso il controllo ed è volato in Arno… Era meglio se morivamo tutti…Caterina, oh Caterina mia, non volevo altro che stare con te per sempre… -

Piero si alza e va ad accarezzare il volto freddo della ragazza, si china su di lei e comincia un patetico "dialogo" nel linguaggio dei segni. Si accalora, gesticola e piange.

Lucio non riesce ad assistere più a lungo a questa scena straziante e si allontana.

Piero resta là, da solo, illuminato dalla luna, a parlare nel linguaggio dei muti con Caterina muta per sempre.

Lucio si fa scortare da due auto con sei agenti per andare alla villa di Berta. Se Olga aveva una borsa piena di soldi, quel Vittorio Berta dallo sguardo sempre bagnato, deve entrarci per qualcosa.

La luna si sta nascondendo dietro un grosso cumulonembo che troneggia nel cielo quando Lorenzo suona al citofono del cancello che immette nel parco. Scambia poche parole con un servo e il cancello si apre.

Lucio ordina a una delle auto di scorta di restare fuori e Lorenzo guida la sua lungo il viale della villa.

Il maggiordomo di colore attende davanti all’ingresso della casa e accompagna Lucio verso il salone con le vetrate, tutto illuminato.

Lo segue, come un cane fidato, l’agente Lorenzo che reca sotto braccio, arrotolata, la tela angosciante che Olga ha lasciato nella sua ultima residenza conosciuta.

Da dietro i vetri, Vittorio Berta, con un bicchiere di whisky in mano, fa un cenno di saluto che Lucio non ricambia.

Livia va incontro a Lucio e a Lorenzo per accoglierli. Lucio le sfiora la mano con un bacio e chiede il permesso di sedersi.

Vittorio Berta è gioviale, troppo. Si vede che è nervoso. Livia offre da bere ma Lucio declina l’offerta. Lorenzo resta in piedi in fondo al salone, con la tela arrotolata sotto il braccio.

I tre sono seduti rigidi sulle poltrone e si guardano in silenzio.

Berta rompe l’atmosfera che sta diventando insostenibile e con un sorriso forzato, tentando di sembrare leggero, chiede:

Allora, a che dobbiamo questa sua seconda visita, commissario?-

-  Ieri sono morti due criminali. Sono finiti nell’Arno con un taxi. -

-  L’ha detto la Tv…- commenta Berta.

-  E’ morta anche una povera ragazza sordomuta, bellissima. Si chiamava Caterina. – Berta resta immobile, solo un muscolo della sua mascella che si contrae per un attimo tradisce l’aumento della tensione interna.

-  La conosceva?- insiste Lucio. Berta finisce il suo whisky, scambia un’occhiata con la moglie, poi dice:

-  Credo di sì. Faceva la modella. -

-  Esatto. – ammette Lucio senza togliere gli occhi di dosso a Berta – Faceva la modella anche per Olga Olivieri. Lei l’ha incontrata a casa di Olga, per caso?-

Berta dà un’altra occhiata a Livia che è fissa come una sfinge, solo la piega delle sue labbra si è incurvata verso il basso, per un crescente disprezzo. Berta deve fare da solo e con un tono di falsa impazienza, risponde:

-  Le ripeto, signor Commissario, che io non sono mai andato a casa dell’Olivieri. Compravo i quadri in galleria e basta.-

Lucio chiama Lorenzo con un cenno della mano e si fa portare la tela dipinta da Olga e poi la srotola in tutto il suo orrore davanti agli occhi di Berta e di Livia che ha una smorfia di disgusto e distoglie subito lo sguardo dal dipinto. Lucio incalza Berta:

-  Perché ha comprato tutti i quadri tranne questo?-

- Quello mi metteva angoscia, ma è forse il quadro più significativo che la Olivieri abbia dipinto….-

Lucio diventa gelido e tagliente. Guarda Berta come se volesse trafiggerlo :

-  In questo momento la critica d’arte la metterei da parte. Perché quel quadro non è mai uscito dallo studio in cui Olga viveva e dipingeva. E lei, Berta, può averlo visto solo là. Quindi è bene che dica quando è stato in casa di Olga. Quando?-

Berta intreccia le dita delle mani e si gonfia, cominciando a sudare e volge uno sguardo alla moglie chiedendo il suo aiuto:

-  Ci sei stato vero? Porco!- esclama Livia balzando in piedi.

Berta conosce quella recita. Finge di crollare, si rivolge solo alla moglie e ignora il commissario, cercando di trasformare l’interrogatorio in una lite fra coniugi.

-  Ci sono stato!- piagnucola - Una volta sola ci sono stato. Ma non è successo nulla, cara, nulla! Una notte... avevo bevuto per farmi coraggio... e sono andato da lei. Sono entrato e ho visto delle ombre nel controluce della porta a vetri del bagno, sul soppalco. Sembrava che stessero lottando. Poi una di esse ha avuto la meglio e… mio dio, ero gelato dal terrore! ..ho visto l’ombra di un’ascia che si alzava e poi calava tremenda... il primo colpo ha spaccato il vetro della porta e poi… - Berta mima col braccio altri colpi -…di nuovo… e di nuovo…- ansima e si nasconde il volto fra le mani: - Sono scappato... scappato via... ho vomitato in strada...-

- Perché non è andato alla Polizia?- chiede Lucio.

-  Ero sconvolto. Non volevo dire che ero là... poi, dopo, nessuno ha mai parlato di quel delitto... e così mi sono convinto di avere avuto un’allucinazione Avevo bevuto parecchio…-

Tace e guarda Lucio per controllare l’effetto del suo racconto. Lucio si alza e gli punta contro un dito a pochi centimetri dal naso:

-  Balle, amico, amico. Tu sei entrato perché avevi la chiave. E’ così? E non era per scopare. Era per prendere una borsa piena di dollari. Hai fatto fuori la donna e te la sei fregata. -

Berta trema, si ritrae sulla poltrona, dà un’occhiata a Livia che lo fissa dura come una statua e crolla davvero:

-  Io non ho ucciso nessuno! Nessuno! I soldi…-

-  Stai almeno zitto, miserabile!- lo aggredisce Livia.

Ma ormai è tardi. Il crollo nervoso di Berta è autentico stavolta. Come una valanga, confessa:

-  Quei soldi erano per lei e i suoi associati. - e indica Livia che gli si lancia contro e viene bloccata da Lorenzo.

-  Sei un bastardo impotente rammollito schifoso e bugiardo!-

-  Sì, sì ma tu sei un’arpia che traffichi in droga e fai finta di essere una persona per bene! Commissario, questa è una criminale della peggiore specie, quelli che fanno i moralisti e hanno le mani sporche di sangue! –

 Lucio non si fa coinvolgere e mantiene il dialogo sui binari dell’interrogatorio:

Alle questioni familiari pensiamo dopo. Che fece dopo aver vomitato?-

-  Ho aspettato in strada. Per ore. Finché è venuto giorno. Volevo vedere uscire l’assassino… ma non è mai uscito nessuno. Così sono tornato dentro e... ormai si era fatto giorno. Non c’era più nessuno. Non c’era più niente. Neanche nel bagno. L’unica cosa era il vetro rotto…Non una goccia di sangue. Se non fosse stato per il vetro, avrei creduto davvero di avere avuto un’allucinazione. E in mezzo al salone, sul cavalletto, c’era quel dipinto lì… e nell’armadio c’era la borsa coi soldi. L’ho presa e me la sono filata. –

 Livia scalcia Lorenzo, si libera e si scaglia contro il marito. La blocca Lucio. La donna, urla da squassarsi i polmoni:

-  Ci farai ammazzare, bastardo! Dove li hai messi! Dove sono i soldi? –

-  Ah! t’ho fottuta stavolta, eh? Ti ho fottuta! – starnazza Berta paonazzo.

Lorenzo corre in aiuto di Lucio ma Livia lo calcia nei testicoli e il povero agente si piega in due per il dolore. Lucio lascia la donna che si volta per graffiarlo come una gatta ma il commissario la colpisce col taglio della mano sulla carotide. Livia si affloscia sul pavimento.

Lucio fa cenno a Lorenzo affinché la tiri su. L’agente obbedisce aspirando aria a boccate forzate per riprendersi. Lucio si rivolge di nuovo a Berta:

- E dove sono i soldi adesso? –

-  Li ho sepolti in giardino. Pensavo di scappare appena possibile. Lontano da questa merda di donna… venite, ve li mostro… ma io non ho ammazzato nessuno… venite, nel garage ci sono delle vanghe…-

Berta fa strada e Lucio lo segue. Gli agenti, guidati dal cameriere, vanno a prendere le vanghe. Livia non si regge sulle gambe e Lorenzo la trascina senza alcun riguardo, come se fosse un animale morto. La donna tossisce e sputa, rinvenendo.

Berta guida Lucio e gli agenti oltre il cancello della villa. Costeggia il muro di cinta e si ferma accanto ad alcuni cespugli.

Li ho sepolti qui. In casa non mi fidavo. -

Gli agenti scavano là dove Berta indica e, sotto mezzo metro di terra, affiora un grosso sacco di plastica, di quelli neri, per la spazzatura.

- Per l’umidità… - sorride Berta.

Lucio si china sul sacco di plastica e lo afferra per tirarlo fuori dalla buca, ma il sacco si rompe e la testa mozza di Olga Olivieri gli rotola fra le mani.

Vittorio Berta lo fissa a bocca aperta. allibito. Boccheggia come una rana per due o tre volte.

Lorenzo fa un passo indietro e Livia, ancora ciondolante, guarda esterrefatta la testa di Olga con le occhiaie pieno di pus. La puzza di marcio costringe Lucio a tapparsi il naso con un fazzoletto.

- Oh madonna mia…. Io non so niente di… oh madonna, madonna mia…-

Singhiozza Berta scosso da un tremito violento.

-  Sei anche un assassino…- sillaba con voce rauca per il colpo in gola, Livia riuscendo a rimettersi sui propri piedi.

- No… io no… - piagnucola Berta sul punto di svenire, gli occhi dilatati a guardare due agenti che terminano il macabro rinvenimento: nel sacco c’è anche il corpo di Olga fatto a pezzi, in via di putrefazione. Una mano è poggiata sullo sterno e, aiutandosi con un fazzoletto, Lucio sfila dal dito putrefatto di Olga, un anello d’oro. Sopra si legge, in smalto, la formula "Cu2O."

Scattano le manette intorno ai polsi di Vittorio Berta, sconvolto dallo shock, che ripete a bassa voce, quasi per convincere se stesso:

- C’ho messo solo i soldi… c’erano i soldi… solo i soldi… i soldi…-

Ma i soldi non ci sono e Berta viene trascinato via di peso, continuando a mormorare parole spezzate. Quando passa davanti alla moglie, sempre trattenuta da Lorenzo, le sputa addosso puntandole le mani ammanettate contro:

- Sei stata tu! - poi urla a Lucio - E’ stata lei! Può essere stata solo lei! – si dibatte per liberarsi dagli agenti che gli impediscono di aggredire la moglie e urla: - Sei stata tu! Assassina! Tu, che hai ammazzato Olga, tu che mi hai visto prendere i soldi, tu che mi hai spinto in questa trappola! Maledetta, io non ho ammazzato nessuno! Solo tu puoi avermi fregato così! Non sono stato iooooo!- e scoppia a piangere, le ginocchia gli cedono e i poliziotti lo devono sollevare e portare dentro l’auto a braccia.

Lucio fa un cenno a Lorenzo e ad altri due agenti che si avvicinano a Livia con le manette. La donna si erge in tutta la sua statura e guarda Lucio dritto negli occhi con aria di sfida:

Non vorrà credere a quel guardone impotente, spero! Quella pittrice doveva consegnarmi del denaro regolarissimo che aveva prelevato su un mio conto svizzero. –

- Una spallona, insomma. Non era più semplice fare un bonifico?- osserva Lucio con un sogghigno. Livia si stringe nelle spalle:

-  Non è contro la legge portare contanti. Dovevo fare dei lavori di restauro alla villa e ancora non c’era la norma che consente il rientro dei fondi neri accumulati all’estero.-

-  Temo che al giudice dovrà dare spiegazioni migliori, signora.Io l’arresto con l’accusa di omicidio e occultamento di cadavere. -

Lucio fa un cenno e uno degli agenti fa scattare le manette intorno ai polsi di Livia che stringe le labbra, indispettita:

-  Si sta giocando la carriera, commissario. Dietro a tutto questo ci sono interessi nazionali. –

-  Io mi occupo solo di quelli dei cittadini. – è la risposta di Lucio, secca come una fucilata.

Lorenzo spinge Livia dentro una delle auto e poi torna al volante di quella di Lucio.

- Bene, commissario. Io ci ho rimesso le palle ma il caso è risolto. –

 Lucio non risponde, immusonito. Tira fuori di tasca il fazzoletto con dentro l’anello di Olga e sospira pensieroso:

-  Cu2O….-

Lorenzo continua a parlare mentre guida verso il centro di Firenze:

-  Però quel Berta sembrava sincero! O che ci portava proprio lui sul ‘adavere, troppo grullo, no? Dev’essere stata uno scherzetto da prete della su’ mogliettina…poi uno dice che calano i matrimoni…-

Lucio resta chiuso nel suo scontroso mutismo. Le sue mappe corticali lampeggiano come le luminarie di Las Vegas: "Cu2O"…"Cu2O"…"Cu2O"…

Tutte le auto della polizia lasciano la villa.

 

CAPITOLO 30

Elio Depicolzuane è stato compagno di Lucio Camilleri al liceo e poi si è laureato in chimica. Di origine veneta come dice il suo cognome che, come deve sempre spiegare, significa "del-piccolo-giovanni" per non essere confuso con un aborigeno australiano, è rimasto in contatto con il vecchio compagno di scuola, che a volte fa ricorso alla sua sapienza chimica. Tuttavia l’essere tirato giù dal letto a metà della notte per sentirsi chiedere notizie sull’ossido di rame gli sembra eccessivo.

Guarda la faccia di Lucio segnata da profonde occhiaie e dalla stanchezza.

-  Te l’ho sempre detto, caro Lucio, che era meglio se facevi chimica, almeno la notte dormivi… e anch’io. –

-  Hai ragione, hai ragione. Però dimmi tutto ciò che sai sull’ossido di rame. –

-  La sua formula bruta è "Cu2O".-

-  E questo ormai lo sanno tutti in Questura! Dài, Elio, dimmi a che cazzo serve…-

-  Lo chiamiamo anche cuprite. Si trova in natura sotto forma di ottaedri rossi, si ottiene per riduzione dell’acetato rameico. Quando si presenta in cristalli capilliformi lo chiamiamo calcotrichite. La cosa curiosa della cuprite è la coesistenza di legami ionici e covalenti. Sono state pubblicate, l’anno scorso su "Nature", delle immagini davvero sensazionali che mostrano come i legami covalenti esistano anche fra gli atomi di rame! Le immagini mostrano la nuvola elettronica a forma di toro, con tre anelli a forma di petalo proprio come era predetto dalla teoria quantica dell’ibridazione orbitale…-

Lucio soffoca uno sbadiglio e guarda l’amico con affetto. Gli dà una manata su una spalla e gli sorride tutta la sua comprensione e la sua amicizia:

-  Ho capito Elio. Ho capito: ti chiamano sempre Stronzio, vero?-

-  No guarda che se andiamo per elementi io sono Elio, e lo Stronzio che va in giro a fare domande e poi non capisce un cazzo delle risposte, sei tu! - risponde Depicolzuane imbronciato.

Il mattino seguente in Questura fanno festa. Attilio Giordano, il sostituto procuratore, stringe la mano a Lucio, complimentandosi.

-  Bellissimo colpo, commissario. La nostra investigazione è stata davvero valida e tempestiva. –

 Lucio accetta i complimenti ma non reagisce con il dovuto calore e se ne accorge anche il tronfio Giordano che lo guarda di traverso e vuol sapere perché non sia felice del buon risultato, che, tra l’altro, lo catapulterà di certo a capo della procura di Roma.

-  Ho l’impressione che qualcuno ci abbia preso in giro, caro sostituto procuratore. - dichiara Lucio sollevando l’immediata ostilità del magistrato che non vuole ombre su quello che chiama "il nostro successo". Cancella con un gesto ampio della mano quelle nuvole e offre spumante a tutti:

-  Brindiamo al nostro grande successo e auguriamoci che il vino schiarisca l’umore del nostro commissario!-

Tutti applaudono e si stappano le bottiglie. Lucio brinda e ringrazia i colleghi, poi si ritira nel suo ufficio e getta sul tavolo i due anelli con la formula chimica scritta sopra. Uno di essi è chiuso nella busta di plastica, pronto per gli esami in tribunale e l’altro invece, quello che ha sfilato dalla mano putrefatta di Olga, lo fa prillare sul tavolo tirando una cocca del fazzoletto.

Lucio scarabocchia di nuovo su un pezzo di carta "Cu2O" e lo ripete in grande e in piccolo all’infinito, alla ricerca di un’ispirazione che non viene.

Lorenzo gli mette sotto il naso la consueta tazza di caffè. L’agente dà un’occhiata al foglio:

-  O commissario! E io sarò pure Lorenzo il Bischero, ma lei s’è fissato con quella parolaccia! ‘ulo, ‘ulo, ‘ulo…. Ma ‘ulo di chi?-

-  Ma piantala! "Cu" vuol dire rame… Ra-me!!! Capito? Rame! Ra come Ravenna e Me come…

 Lucio si ferma, folgorato. Ed è proprio un cortocircuito quello che è scattato nelle sue mappe cerebrali, come il chimico che, dopo aver sognato un serpente che si mordeva la coda, capì la struttura circolare delle molecole di carbonio, ora anche a Lucio pare ovvia la soluzione dell’enigma. Balbetta stralunato:

- ..… merda!… oh merda…- scatta dalla sedia come una molla, rovescia Lorenzo e il caffè e scappa via come inseguito dal demonio.

-  Me come merda?…non era rame? O che sia diventato davvero grullo il povero ‘ommissario?-

Nella casa-pensione Beatrice sta aiutando Ramona a fare le valigie.

-  Mi dispiace tanto per quella bella signorina amica sua… In questa casa non succedeva un delitto dalla Congiura de’ Pazzi… e s’era nel 1478, signorina mia…-

Ramona è ancora scossa, pallida, e Beatrice cerca di tirarla su:

-  Quello vi poteva ammazzare tutt’e due, no? Così è la vita bambina! Finché a morire sono gli altri e la si può raccontare no? Mica gli è sicuro che quando tocca a noi c’è qualcuno che lo racconta…-

-  Lei crede che ci sia qualcosa dopo la morte?-

-  Spero di no. Che vuoi che ci sia? Oh guarda che quel Dante l’era un poeta ma pure un gran bugiardo eh? Tutti quei gironi in giù e gironi in su… Vergine Madre, figlia del tu figlio, bravino l’era bravino, eh? Ma bugiardo! Ovvia, il buio che c’è prima di nascere è uguale a quello che c’è dopo che s’è tirata la cuoia. Punto e basta. Ah, volevo dirle che han chiamato per lei da Biella, un certo Bassani mi pare…-

La musichetta del cellulare tronca la conversarione. Ramona lo apre e risponde:

- Sì, mamma. Sto bene. – poi ascolta con faccia senza espressione le frasi di circostanza di sua madre, ma quando le chiede se, per cortesia, prima i lasciare Firenze può passare da un medicone per ritirare una crema antirughe che dicono che faccia miracoli, chiude il telefonino senza una parola di saluto.

Bussano alla porta e Ramona sobbalza. Beatrice la ferma con un gesto:

-  Ci vo’ io. E mica ogni volta che bussano è un assassino. Può essere pure quello del gas…-

Ramona riprende a piegare la sua roba e a riporla nella valigia. Si ferma con in mano un vestito che era di Meme.

I suoi occhi si riempiono di lacrime e si siede sul letto con la faccia affondata in quell’abito. La voce di Lucio, alle sue spalle, la fa sussultare.

-  Era di Meme, vero?-

Ramona solleva il viso dal vestito, guarda Lucio con freddezza. Non si aspettava più di rivederlo, ormai per lei è solo un poliziotto. Beatrice esce dalla stanza per andare ad origliare dal corridoio.

-  Sì, ma vorrei che mi lasciassi in pace. -

-  Te ne andavi senza neppure salutarmi? Senza ringraziarmi che ho scoperto l’assassino?-

-  Ti avrei chiamato dalla stazione. Mi sei venuto dietro solo perché indagavi sulla sparizione di Olga. Adesso che hai risolto il caso, non credo di interessarti più. –

 Lucio tende un pugno chiuso davanti a Ramona e poi apre la mano: dentro, liberi e brillanti, ci sono due anelli uguali, con la stessa scritta sopra in smalto "Cu2O".

-  Mi interessi, proprio perché l’ho risolto. -

Ramona guarda i due anelli con la scritta e gli dice con una sfumatura di sarcasmo:

-  Oh guarda, adesso sono due! Ne hai fatto fare una copia?

-  Ce ne ho messo per capire che gli anelli sono tre. – Ramona chiude la valigia e dà un’occhiata distratta agli anelli:

- Tre? Io ne vedo due-

- Già. Manca il tuo. - Ramona guarda Lucio con aria di aperta sfida:

- Tu dici? E come sei arrivato a questa brillante conclusione? -

-  Tre anelli uguali per tre amiche del cuore. Niente ossido di rame. Un giochetto tra ragazze: RA come Ramona, ME come Meme e O come Olga. Da cui Ra-me con il 2 perché i nomi erano due, più la O di Olga. Stupido, in fondo. E tu hai mentito dicendo di non sapere che cosa voleva dire per voi tre "Cu2O".

Ramona prende le borse e fissa Lucio senza scomporsi.

- Ti saluto, commissario. Scusa sai, ma non vorrei perdere il treno. A Biella mi aspettano.-

-  Credo che lo perderai quel treno. – afferma Lucio con tristezza. Adesso che ha capito, sa che non è una vittoria. Ha fatto anche l’amore con quella donna e non ha sospettato mai nulla.

Ramona posa le borse sul letto e guarda Lucio con simpatia compassionevole, come un essere di intelligenza superiore che consideri i faticosi tentativi di comprensione dei meno dotati.

- Tesi ingegnosa ma non dimostra niente, ti pare? L’hai detto anche tu, un giochetto stronzo. Però hai ragione. Me l’ero dimenticato, ci eravamo fatti quegli anelli in prima liceo. Anzi, guarda funziona anche in inglese e magari in chissà quante altre lingue…. Copper Oxide: Coppa-Perrier fa Cop-Per e la O di Olivieri fa Oxide. Di nuovo ossido di rame. Dovresti darti all’enigmistica. –

-  Forse. Ma chissà che non possa dimostrare che tu eri già venuta a Firenze per ammazzare Olga Olivieri e poi ci sei tornata contro la tua volontà, trascinata da Meme, e quando stava per capire la verità hai dovuto uccidere anche lei.

-  Cos’è? Una fantasia alla fiorentina o una cosa tua alla siciliana? –

-  Tu hai sempre saputo che è stata Olga a far morire Walter, vero? e per te cos’era quell’uomo? Anche tu innamorata di lui? sei venuta a Firenze per vendicarlo? Non sei il tipo, ci dev’essere dell’altro. Però Vittorio Berta aveva assistito all’omicidio. Hai nascosto il cadavere e ripulito lo studio. Sei uscita dalla porticina sul retro e ti sei accorta che Berta era ancora lì. Allora hai aspettato che facesse lui la prima mossa e l’hai visto rientrare e fregarsi i soldi. Seguirlo, vedere dove li nascondeva, prenderli e metterci il cadavere di Olga è stato un colpo geniale. Livia non c’entra nulla e tu di quei soldi prima di allora non sapevi niente, vero?-

-  Niente. Né allora, né adesso. Come te. Perché anche tu non sai niente e ti stai arrampicando sugli specchi. E adesso mi vuoi lasciare partire o no?-

Lucio prosegue, testardo, provocatore. Spera così di scardinare la calma altezzosa con cui lo sta trattando Ramona.

Dimmi, quel tipo, quel Walter, vi scopava tutte e tre?-

A origliare, fuori dall’uscio adesso c’è anche Manettone. Beatrice gli fa cenno di andare via, ma l’inserviente rifiuta.

Ramona riprende le borse dal letto e domina un moto di rabbia.

-  Stai costruendo una soap opera, ti pare? O mi arresti o mi lasci andare che perdo il treno. -

Lucio le sbarra il passo e la affronta a muso duro, guardandola negli occhi:

-  La notte in cui è morta Meme qui c’eri solo tu. Hai chiamato la polizia e poi l’hai uccisa. Ben pensata. Ci sono cascato come un salame. Meme aveva dei sospetti? Aveva cominciato a capire? L’hai uccisa per questo o perché avevi saputo che anche lei andava a letto con Walter? O per che cos’altro ancora? E anche gli altri due li hai fatti fuori tu! Di Angelo Pisca avrei dovuto capirlo: sei saltata giù dal mio letto e sei corsa via come una disperata, però poi all’appuntamento al bar con Meme sei arrivata un bel po’ dopo. Prima sei andata a uccidere il Pisca e poi ci sei tornata con Meme. Uccidere e tornare sul luogo del delitto ti diverte? Pisca era il ragazzo di Olga e ti aveva riconosciuta, è così? Lui ti aveva già vista con Olga e forse sapeva che eri tu l’assassina e voleva avvertire Meme. Il povero Carlino hai avuto una notte intera per farlo fuori e far sparire la lettera e la tela. Delitti perfetti. E io ci sono cascato di nuovo. Devo ammettere che una bella donna non suscita immediati sospetti in un caso di omicidio. Forse è per questo che sono rare le donne serial killer nelle galere. Levami una curiosità: che diceva quella lettera di Olga? Cos’era? Un’accusa o una confessione? O non c’era nessuna lettera e quel Carlino non ti aveva mai telefonato ed è stato tutto un piano tuo?-

Ramona sente di camminare su un corda tesa sull’abisso: un passo falso ed è finita. Quel Camilleri s sta rivelando molto più intelligente di quanto abbia mai penato. Cerca di passare oltre ma Lucio non glielo permette. Sbuffa:

-  Non so di che parli. Non ho capito un’acca di quel che hai detto. Tanto vale che mi accusi di essere un killer a pagamento. Fammi passare o urlo. –

-  Urla. Ti dichiaro in arresto per quattro omicidi. -

Lucio fa scattare le manette, una intorno al polso di Ramona e una intorno al suo. Ramona dà un lieve strappo alla catena che la lega a Lucio.

-  Strano modo di incatenare le donne per un latin lover. Prendi le cose troppo alla lettera – Ramona è sarcastica, poi fissa Lucio dritto negli occhi- Lucio, pensaci, arrestare una donna con cui hai avuto una relazione e senza alcuna prova non gioverà alla tua carriera. -

-  Fa niente. Io sono uno di quelli che cercano la verità anche quando è scomoda. Dove hai messo i soldi di Olga? Li hai mandati alle Bahamas? E il terzo anello? Dov’è il tuo "Cu2O"?-

-  E’ con queste stronzate che speri di farmi condannare? Dove credi di vivere, mio povero Lucio, siamo in Italia e abbiamo tre gradi di giudizio. Quanti giudici speri di convincere col giochetto degli anelli?-

- Sì, hai ragione. Ma ci posso provare. – e con uno strattone si tira appresso Ramona ammanettata, spalanca la porta sorprendendo Beatrice e Manettone che origliano:

-  Bravi. Vi chiamerò come testimoni. –

EPILOGO nel 2023 o giù di lì

Ramona rimase in carcere, in custodia preventiva, per due settimane e poi il Tribunale del Riesame la fece scarcerare e tornò a Biella, dove si sposò subito con Marco Bassani, il fratello di Walter, entrando così nel gotha cittadino. Marco, al Circolo Sociale, disse "Giustizia è fatta".

Ebbero una prima figlia e la chiamarono Meme. Ramona si presentò alle elezioni comunali e venne eletta.

Tre anni dopo fu dichiarata colpevole in primo grado dal Tribunale di Firenze e condannata a 29 anni di prigione. Fece appello e nelle more del processo diventò assessore regionale. La corte di appello, quattro anni dopo, la dichiarò innocente. Ramona aveva intanto avuto un maschietto e l’aveva chiamato Walter.

Il PM impugnò la sentenza e tre anni dopo la Cassazione accettò il ricorso e il processo d’appello dovette essere ripetuto. Nel frattempo, Ramona Coppa in Bassani si era candidata al Parlamento come perseguitata dalla magistratura toscana e fu eletta e la terza figlia la chiamò Olga.

Passarono altri cinque anni e stavolta Ramona, riconosciuta colpevole di tutti e quattro gli omicidi, stava per essere definitivamente condannata ma i suoi avvocati riuscirono a far spostare il processo per legittima suspicione da Firenze a Roma dove il procuratore capo Giovanni Giordano s’era sempre detto convinto dell’innocenza di Ramona e della colpevolezza di Livia Berta, ormai deceduta.

In attesa del nuovo processo, Ramona sta per diventare nonna e ha ereditato l’immensa fortuna dei Bassani perché Marco è morto in un incidente d’auto sull’unica superstrada, che super non è, che collega Biella col mondo.

Un incidente chiacchierato perché gli è esploso il serbatoio della benzina ma la famiglia Bassani ha messo tutto a tacere dichiarando che è stata una disgrazia.

Lucio Camilleri è ancora un semplice commissario che non riesce ad andare in pensione perché l’ultima riforma ha portato l’età pensionabile a 70 anni, mentre il capo procuratore Attilio Giordano è stato proposto membro della Corte Costituzionale. Così potrebbero andare le cose.

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