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La ricercatrice di stelle

Prologo

 Alnylam è una donna piccola e fragile ma molto determinata a raggiungere il suo scopo.

Pellegrina errante nell'universo sempre in cerca di nuove civiltà, nuovi mondi con cui comunicare.

La malinconia del suo vissuto sentimentale che sempre l'accompagna sarà una rivelazione per l'androide Andro, dotato di sentimenti per poter interagire efficacemente con gli esseri umani.

Alnylam è dolce e romantica e nasconde  un doloroso segreto che si svelerà solo alla fine del racconto L'Istante Infinito .

A lei, per l'estrema competenza in biogenetica e il titolo di comandante, è affidata la missione di ricercatrice stellare.

Il filo conduttore dei racconti è la perenne ricerca di Alnylam di dare un senso alla sua vita distrutta.

Orian, il secondo pilota, un tipo atletico esuberante, formato all’Accademia Militare di East Point su Marte, sempre pronto a buttarsi per primo nella mischia ma senza ponderare le priorità in caso di pericolo imminente, la corteggia, ma è troppo superficiale per lei mentre Andro, l’androide sensibile e intuitivo, che ha tutte le qualità degli esseri umani senza avere quelle negative, pur essendosi innamorato di lei, è convinto di non poter competere con Orian.

Andro è  geloso di Orian, piega imprevista presa dal suo cervello composto da nanobot neurali.

Completano l’equipaggio il fisico Ilya, contemplativo e rassicurante, lapidario nelle sue dichiarazioni, un po’  il filosofo del gruppo, Takiro, il chimico, meticoloso e paziente, arbitro imparziale di ogni controversia che possa scoppiare tra gli astronauti e Walter, il botanico, astronauta di lungo corso, più posato e riflessivo degli altri, un po’ cicciottello perché amante della cucina raffinata che sempre rimpiange ogni qual volta deve mandar giù le pillole e vitamine .

 

D . I . O .

DNA - Informazione- Originale

 La Creatrice

 

Si, non c’era altro  mezzo per mandare l’informazione attraverso lo spazio. Il messaggio genetico doveva essere inviato  agli altri mondi che circondavano il pianeta abitato, altrimenti sarebbero rimasti sempre soli. Doveva viaggiare attraverso le stelle, ma lo spazio era immenso e il tempo infinito.

 Avevano anche tenuto conto della dilatazione che il tempo avrebbe subito viaggiando nell’universo. Ma le molecole primordiali della vita dovevano essere propagate anche se ci avrebbero messo milioni di anni fino alla nascita dell’altro Uomo.

 Anche Lui, come una spora, avrebbe continuato la loro opera da pianeta a pianeta, per l’eternità.

 Era bello pensare che non sarebbero stati più soli  e guardando il buio delle stelle, un giorno, Lo  avrebbero incontrato.!

Si commosse .

 Quanta strada per giungere fino a questo. Milioni di  esseri si erano alternati nella ricerca, milioni di tentativi ma alla fine quel programma così ambizioso si sarebbe realizzato.

La sua compagna, la Creatrice, si asciugò una lacrima  e si volse a sfiorarlo con un bacio:

 - Ce la farà, vedrai … -  Lui le sorrise :

-  Deve farcela , adesso tutto dipende da lei ! -

 Guardarono muti allontanarsi nello spazio quel germe di vita  e tutte le loro ansie, le loro speranze erano state affidate a quel sassolino che viaggiava attraverso l’infinito sulla coda della cometa.  

Miliardi di soli sarebbero nati e morti ma, alla fine, sarebbe arrivato nel posto giusto !

 


La ricercatrice di stelle

 Alnylam si tolse il casco e si passò una mano sul capo sistemandosi i capelli.

Diede un’occhiata agli schermi che riportavano la mappa dei venticinquemila geni, dei cento milioni di proteine, dei centomiliardi di neuroni, dei centotrilioni di connessioni, insomma, la combinazioni dei dati che riguardavano la salute mentale del suo equipaggio: i quattro uomini che l'avrebbero accompagnata per il lungo viaggio nel futuro remoto dell'istante infinito.

 Il robot Andro teneva sotto il controllo mentale, costantemente aggiornato, l'esplorazione della loro mente, in modo che, con la stimolazione bioneurale si potesse prevenire il primo sintomo di depressione o di qualsiasi comportamento psicotico che avrebbe potuto nuocere alla missione che era stata loro assegnata.

I quattro terrestri dormivano sereni ciascuno nella propria bolla che si era adattata al loro corpo prendendone la forma individuale.

Per il momento la spedizione per la catalogazione  dei pianeti di tipo terrestre che giravano intorno a  stelle che possedevano una fascia biologica, ossia acqua liquida, temperature stabili, orbite regolari, procedeva tranquilla.

Alnylam si stropicciò gli occhi arrossati sbadigliando. Inghiottì la pillola che la rifocillò. Rinvigorita, tornò a lavorare.

Andro la interruppe per sottoporle la tavola degli elementi.

 - Sembra tutto a posto: c'è idrogeno, ossigeno, acqua e la temperatura è sopportabile. -

- Bene, sveglia l'equipaggio. Il messaggio di aiuto veniva da qui. Diamogli uno sguardo. Intanto, tu segna le coordinate e il tempo universale e trasmettili al Centro Spaziale.-

 Alnylam s'inalò con lo spray le nozioni scientifiche direttamente nel cervello e si concentrò nuovamente sul lavoro.

Il suo era un continuo vagabondare nell'universo ma, questo compito, anche se l'isolava, le interessava molto. Avrebbe costruito nuove civiltà, modelli di costume diversi a seconda le caratteristiche del luogo. L'errare da un pianeta all'altro la stimolava sempre verso nuovi orizzonti astronomici, prospettive illimitate che la facevano sentire realizzata. Tutto ciò le apriva la mente ad una creatività senza confini. La galassia ha miliardi di pianeti ed è certo che molti di questi mondi ospitino forme di vita basate sul carbonio. La presenza della fotosintesi, vapori d’acqua e di metano erano spesso indice del manifestarsi di un inizio della vita.

 - Mostrami il gascromo dell’atmosfera. –

 Andro trasmise il grafico, solerte. Ci teneva molto alla sua considerazione. Era stato programmato con emozioni umane perché doveva capire gli uomini per essere davvero intelligente. Guardava quella donna minuta ma molto resistente, con grande ammirazione ed era fiero di doverla proteggere.

 Il corpo di Alnylam aveva subito nel corso degli anni uno straordinario adattamento. Nell'astronave che lei comandava, si muoveva fluttuando  con agilità ed estrema precisione.

Le bolle dell’equipaggio si aprirono e gli astronauti stiracchiandosi, si sedettero con naturalezza ai loro posti in previsione di un vicino atterraggio, succhiando la loro dose di proteine e vitamine. Alnylam li guardò sorridendo:

 - Ben svegliati. Siamo nel sistema di Alphekka-Alphecca, binario stretto a 0,2 UA,  Corona Boreale, a 72 anni luce da Sol. Alphekka spettro A0V. Massa 0,92 di Sol. Alphecca spettro G0, massa 2,7 Sol. Periodo di rotazione 10 giorni Terra. Tre pianeti. Uno solo segnalato. Orbita quasi circolare intorno a entrambi i soli.. Scenderemo per l'esplorazione. Speriamo di trovarci qualcosa e che sia compatibile con una futura colonizzazione. Non siamo stati fortunati ultimamente.- Poi, rivolta all'androide, ordinò: - Andro, nel frattempo, monta la Bolla. Carica anche il cromogas. Faremo qualche esperimento sul tipo di atmosfera. Dalla massa del pianeta dovrebbe essere similterra..-

 Routine. Anche vagare da una stella all’altra era diventato routine. Solo una su cinquanta aveva pianeti che gli astronomi avevano segnalato come possibili future colonie umane e bisognava controllarli, scoprire se fossero abitati da una qualche razza intelligente.

Alnylam finora non aveva trovato altro che pianeti prebiotici, dove sembravano esserci tutte le condizioni per lo sviluppo della vita ma sterili: pianeti in attesa di un seme.

Ed era lei a piantare quel seme segnalandoli al Centro Spaziale del sistema solare terrestre. Un giorno, dopo dieci anni, o cento o mille, non poteva saperlo, su quei mondi in attesa sarebbero scesi dei coloni umani con le loro macchine intelligenti e li avrebbero resi fertili.

 Anche stavolta il pianeta era bello: il cielo quasi bianco perché Alphekka, bassa sull’orizzonte, era una stella bianco azzurra circondata da un alone che ne velava l’emissione di raggi X e, quasi allo zenit, l’altro sole, giallo come Sol, più massiccio ma più lontano.

Un pianeta caldo, dove avrebbe potuto esserci una foresta tropicale. Ma non c’era niente: un mare verde di un’acqua più densa di quella dei mari terrestri con onde che parevano lambire la costa al rallentatore.

Sabbia verdastra, colline tonde plasmate dai venti e in lontananza picchi di rocce dalle forme curiose.

 L’esame dell’aria risultò nella gamma del respirabile: l’1,5% in più di ossigeno dell’atmosfera terrestre che dava una sensazione di maggiore energia senza finire nella vertigine della superossidazione del sangue. Gravità del 5,6% in più della terra. Gravità che pesava un po’ sulle gambe di Alnylam e di Orian incamminati verso quel mare verde, raccogliendo campioni di sabbie e terriccio. Nessuna forma di vita, neppure fossile. Nessuna conchiglia.

 Orian si avvicinò cauto all’acqua e ne raccolse dei campioni che sigillò in provetta. Li controllò con l’analyzer da polso e scosse la testa:

 - Niente. Neanche qui.- Si tolse un guanto e intinse un dito nell’acqua, passandoselo poi sulla punta della lingua.

 - Amara. Sale di potassio più che di sodio direi.-

- Un giorno o l’altro ti cascherà la lingua, Orian, se la usi come strumento di analisi.-

 Un vento fresco sollevò piccoli turbini nella sabbia e la luce cambiò perché Alphekka stava tramontando. 

 - Adesso potrebbe essere un panorama terrestre…- commentò Alnylam - La luce è quella di Sol. -

 Orian annuì e fece un giro completo su se stesso per guardare in ogni direzione.

 - Un gigantesco palcoscenico vuoto. –

- E con giochi di luce…- concluse Alnylam. Infatti il riflesso di Alphekka, del tutto tramontata, incendiava con sprazzi blu il cielo che si andava riempiendo di nubi, alte e pannose.

 Era uno spettacolo grandioso, che cambiava mentre avanzava il tramonto totale. La velocità con cui i due soli si rincorrevano nel cielo creavano un continuo mutare della luce.

 - Sembra un bel posto per viverci. E’ stabile il sistema binario?-

- Almeno per un altro miliardo di anni.- rispose Alnylam.

- Mi verrebbe a noia prima. – sorrise Orian ma la donna rimase seria, poi sospirò e si volse per tornare all’astronave che si ergeva in mezzo alle strane formazioni rocciose che ricordavano un po’ la Monument Valley della Terra.

 - Qualcosa non va, Alnylam? – le chiese Orian premuroso. Alnylam scosse il capo, poi alzò gli occhi su di lui e disse d’un fiato:

 - L’universo sembra vuoto. Sembra fatto solo per noi. In attesa di noi. Non so perché ma questo mi dà angoscia. - Guarda il cielo che si va scurendo e tra le nuvole appaiono altre stelle, altri soli. Ammiccanti, disposti in configurazioni diverse dalla prospettiva terrestre – Uh guarda, quella è Izar e la sua doppia Ipsilon Boo! –

- E’ la nostra prossima meta? -

- No. Sono a 130 anni luce da qui. La prossima è Unukalhai, nella testa del Serpente. Un’altra doppia. Prendi un campione di quella roccia nera e andiamo.-

 Orian obbedisce e fa cadere un frammento della roccia dentro un contenitore sterile che poi infila nel portacampioni.

 - Sai - dice avviandosi - Anche a me questi pianeti perfetti e  vuoti danno disagio. Mi sembra che qualcuno ci stia osservando dai bordi dell’universo. –

- Sì, sembrano fatti solo per noi. Speriamo di incontrare qualcuno prima o poi e che non dobbiamo pentirci dell’incontro.-

- Intelligenze aliene? Io mi accontenterei di qualcosa come un gattino…- rise Orian.

 Ormai l’astronave era vicina e davanti al portello spalancato li stava aspettando Andro:

 - Qualcosa di interessante? –

- No.-  disse Alnylam e salì a bordo.

 Pochi minuti dopo l’astronave si staccò dal pianeta battezzato Alfa Gemma e divenne un punto luminoso nel cielo buio.

 

 

La tribù degli uomini spenti 

L'astronave poggiò le "zampe" prensili, a fatica , proprio sul bordo  del cratere. Ancora un passo più in là e  la missione sarebbe fallita.

Il viaggio aveva avuto degli infortuni di poco conto ma sufficienti per produrre piccole variazioni sul punto di atterraggio.

Alnylam porse la mappa ad Orian, il secondo pilota, che segnò con un circoletto rosso, il luogo in cui erano diretti.

 - Dobbiamo oltrepassare il cratere e dirigerci verso l'hangar da dove è partito l'ultimo messaggio di aiuto. Si sono firmati “la Tribù degli Uomini Spenti”. Sono coloni partiti da Marte  un secolo e mezzo fa per sfuggire alla sovrapopolazione di quel pianeta - concluse.

 Ilya, il fisico, digitò sul computer le coordinate e le trasmise al Robot che li avrebbe guidati.

 - Aria respirabile. – disse la voce metallica dell’analayzer – Azoto all’ottanta per cento, ossigeno al 14 per cento, vapore acqueo tracce, anidride carbonica al cinque per cento,  gas nobili tracce.-

 Alnylam spense il quadro comandi e commentò:

 - La gravità è poco meno della Terra, non ci sono problemi. Aprite il diaframma e facciamo scendere il Lem.-

 Takiro, il chimico, raccolse il suo laboratorio mobile e lo sistemò sulla piattaforma a cupola che, in onore di un dimenticato passato, continuava a chiamarsi in gergo “Lem”. Era un’unità di sopravvivenza in qualsiasi ambiente, poteva attraversare deserti di polvere a 500 gradi o galleggiare su oceani mossi da onde alte trenta metri..

Alnylam caricò sul robot che guidava il Lem anche il suo contenitore di pronto soccorso e prendendo posto sotto la cupola, insieme al resto dell’equipaggio, ordinò:

 - Go! –

 La cupola si chiuse e l’astronave aprì il suo portello posteriore depositando sul terreno il Lem.

Alnylam aprì la cupola semisferica e Ilya scese con un salto giù dalla piattaforma, dicendo:

 - Mi piacciono i pianeti dove mi sento più leggero…-

- La composizione dell'aria è quasi a livello terrestre.- Alnylam aspirò profondamente e anche gli altri si riempirono i polmoni:

 - Meglio di quella riciclata…- commentò Walter, il botanico,  con il suo consueto tono riflessivo, controllando il suo ingombrante armamentario vegetale.

- Tornate su che andiamo. – disse Alnylam. Ognuno si sistemò al suo posto e la cupola trasparente si richiuse su di loro.

 - Puoi andare, Roby . - ordinò la comandante e il Lem si mosse facendo girare le grandi sfere che gli servivano da ruote sui terreni solidi e da galleggianti sulle acque.

 Morbidamente, evitando gli ostacoli, il Robot  attraversò la pianura segnata da polveri di vari colori e superò una linea di colline senza vegetazione.

Il cielo aveva una sfumatura rosata ed era illuminato da una stella rossa dal disco apparente due volte maggiore di quella di Sol,  ma che sembrava scaldare meno della stella terrestre.

 - Curioso paesaggio, non mi fa venire voglia di starci…- commentò Walter girando lo sguardo intorno alla ricerca di un segno di vita vegetale.

 Dopo un’ora terrestre il sole si era spostato verso est di circa dieci gradi, segno che lì il giorno durava, in quella stagione, 18 ore terrestri a cui sarebbero seguite 12 ore di buio, come diceva lo schermo del computer.

Il campo magnetico era debolissimo ma la latitudine stimata era intorno ai sessanta gradi nella direzione del campo.

 Ci vollero tre ore al Lem per arrivare a destinazione e ci arrivò senza bisogno di correzioni di rotta.

 - Destinazione raggiunta! - esclamò, c’era una sfumatura di soddisfazione nella voce, o almeno così parve agli astronauti. Ilya accarezzò la lamiera scintillante di Roby e gli diede una pacca di congratulazione.

 Alnylam azionò il comando della cupola che si aprì e i quattro astronauti scesero davanti al grande hangar in lega plastica al titanio ancora quasi completamente gonfio nelle sue colonne ad azoto compresso, ma tutta la struttura era coperta da una polvere di colori diversi che si era accumulata , alta un metro, davanti  al portellone d’entrata.

 Se ne vedevano altre intorno, completamente sgonfie e squarciate come per una pioggia di meteoriti o di missili nemici.

 Altre strutture, più lontane, evocavano l’idea di un astroporto e un grande cargo si ergeva ancora con la punta rivolta verso il cielo roseo.

 Alnylam cercò la serie di impulsi registrata su Robot e il portellone tentò di spalancarsi, riuscendo però a spostare la polvere di pochi centimetri. Dovettero farsi largo tra la polvere per aprirlo del tutto ed entrare nell’hangar.

 Lo spettacolo che si presentò ai loro occhi era  avvilente. Tutto era immobile. La polvere accumulata sugli scaffali ricopriva le console dei macchinari non più utilizzati.

 - Sono lì. Forse sono riusciti a ibernarsi prima di morire…  Collegate il Lem e fate luce.-

 Ilya spinse un pulsante sui comandi del Lem che mandò un flusso di corrente elettrica wireless all’hangar: si accesero grandi globi fluorescenti incastonati nelle nervature portanti ancora gonfie di gas che sostenevano la struttura e la scena divenne ancora più tetra, ma oltre la resina trasparente che chiudeva i sarcofagi degli ibernati si indovinavano i contorni dei loro corpi nudi.

Il ronzio degli aereatori che si erano rimessi in moto portò aria meno stantia nell’hangar e Alnylam collegò l'apparecchiatura di risveglio col tubo madre che poi si suddivideva bara per bara, e azionò il comando.

Alcune sostanze chimiche si mescolarono e aghi robotizzati si piantarono nel corpo degli ibernati. Gradatamente i corpi della “Tribù Degli Uomini Spenti” passò dal colore bluastro a un diffuso colorito dalla tonalità più rosea.

 Takiro mise in opera il laboratorio portatile tenendo sotto controllo il procedimento automatico. I valori arrivarono, con qualche oscillazione, al giusto livello e si stabilizzarono. Takiro diede l’ok.

 Alnylam spolverò con un guanto una delle console elettroniche dell’hangar cercando di interpretarne le funzioni. Era una tecnologia prequantica a fibre ottiche, lenta, ma sicurissima.

Mentre Alnylam studiava la console, Walter trovò l’ingresso delle serre: la vegetazione si era inselvatichita, attorcigliata, foglie, viticchi, germogli lottavano per la sopravvivenza. La temperatura e l'umidità non avevano subito variazioni letali per le piante.

 La luce della stella rossa entrava ancora, forte, dall’alto soffitto trasparente velato di polvere.

Il suo analyzer da polso gli diceva che c’era un eccesso di anidride carbonica ma ai vegetali CO2 piace  e le lunghe foglie di felciformi, verde intenso, producevano buone quantità di ossigeno per fotosintesi. Le loro radici erano penetrate nel terreno e dovevano aver raggiunto una zona naturalmente umida per prosperare così bene. I coloni avevano sistemato il loro hangar con una scelta sapiente.

Non sembravano esserci insetti né vermi, forse non c’erano proprio forme di vita animale in tutto il pianeta.

 Alnylam esitava a dare gli ultimi comandi per riportare in vita gli ibernati. Prima voleva capire il motivo del loro fallimento.

Nelle bare non c’erano bambini: da quel che si poteva vedere erano uomini e donne in età avanzata. Qualcosa probabilmente li aveva resi sterili e questa era stata la ragionevole causa della loro decisione di ibernarsi in attesa di aiuto.

Alnylam doveva scoprire perché era avvenuto un cambiamento genetico tale da impedir loro la procreazione e quindi un futuro.

Il pianeta aveva sufficiente atmosfera per schermare i raggi gamma più nocivi, anche se il campo magnetico scarso non offriva la stessa protezione contro il vento di ioni del loro sole, ma questo non sembrava poter essere la causa della sterilità.

 Alnylam chiamò Takiro: 

- Devo aprire un contenitore, però non voglio riportare alla coscienza l’ibernato. Mi serve solo una cellula epiteliale per l’esame del Dna.  Tienti pronto al prelievo perché poi richiudo subito. Il primo della fila.-

 Takiro si avvicinò al primo contenitore: la resina trasparente si stava appannando, segno che i polmoni dell’ibernato avevano ripreso a funzionare.

Alnylam azionò il comando e il coperchio della bara si divise in due e scomparve ai lati del contenitore mostrando il corpo nudo di una donna. Era un corpo ben proporzionato dalla pelle liscia sotto cui si vedevano bene le arterie che pompavano un liquido verde che serviva al progressivo disgelo delle cellule senza rovinarle. Il volto della donna era sereno, circondato da un’aureola di lunghi capelli bianchi.

Poi la donna spalancò gli occhi mostrando due iridi di un blu profondo. Takiro si fermò: sapeva che la donna non poteva averlo visto perché non aveva ancora recuperato lo stato pieno di coscienza, tuttavia quello era uno sguardo che turbava. C’era tanta disperazione in quel blu. Le palpebre tornarono a calare sullo sguardo della donna e Takiro prelevò un minuscolo brandello di pelle dal suo braccio destro.

 Alnylam richiuse la bara e inserì le cellule epiteliali sotto il microscopio a scansione  del laboratorio portatile.

Lo vide subito: era accaduta una cosa ritenuta impossibile. Qualcosa, un virus o un prione, aveva fatto da ponte tra le basi dei nucleotidi: in molti esoni l'adenina A invece di accoppiarsi con la timina T, si era legata, tramite la breve molecola aliena, alla citosina C che doveva accoppiarsi con la guanina G e la sequenza abnorme, censurata dall’Rna messaggero,  aveva impedito ai ribosomi di costruire alcune proteine e questo doveva avere causato difetti letali nelle cellule aploidi rendendo impossibili le gravidanze, anche quelle artificiali.

Inoltre il legame alieno aveva forse impedito la metilazione della citosina e  la produzione di uracile, la base azotata dell’Rna, è riconosciuta come estranea, viene trasformata in timina, generando errori nel taglio degli introni e quindi nell’espressione genica corretta.

 L’analisi rivelò anche una grave carenza di potassio nelle cellule e come conseguenza un cattivo funzionamento delle pompe ioniche.

 - Questo - disse Alnylam comunicando i risultati delle analisi ai suoi colleghi - deve avere diminuito le loro capacità intellettive. E’ un miracolo che abbiano potuto prendere la decisione giusta e autoibernarsi. Temo che sarà difficile stabilire  un rapporto con loro. -

 - Alnylam, li ho contati. Sono 21 corpi. Un po’ pochi dopo un secolo e mezzo di colonizzazione…- disse Takiro.

 La risposta giunse dall’esterno: voci, suoni di tamburi.

 Gli astronauti si affacciarono dal portellone dell’hangar: il sole era al tramonto e tutto aveva assunto un riflesso color sangue. Videro centinaia di uomini e donne, nudi, dalla pelle bianchissima, diafana, trasparente, sotto cui si vedevano i contorni degli organi interni, ammassarsi sotto l’ astrorazzo da trasporto che un tempo aveva servito la colonia. Alcuni avevano torce dalla poca fiamma e dal grande fumo.

 Alnylam fece cenno ai suoi di non mostrarsi. 

Quegli uomini trasparenti si disposero in circolo intorno all’astrorazzo che si ergeva come un gigantesco pene sulla pianura. C’era una catasta di rami secchi sotto il razzo e una dozzina di loro, adorni di  collane di sassi colorati, ci posarono sopra, in processione, il corpo di un neonato morto. Uno dopo l’altro. Quei cadaveri sembravano bambole di cera.

 L’uomo più adorno di collane prese una torcia e diede fuoco alla pira. Le fiamme si levarono lambendo gli ugelli del razzo, consumando quei corpicini.

 Quando il fuoco si spense, i resti della pira vennero sparsi al vento della sera poi, alcuni di loro, si accoppiarono proprio sotto gli ugelli del cargo. Non usavano la posizione frontale tipicamente umana, ma quella posteriore degli animali.

 Alnylam fece cenno ai suoi di chiudere il portello e tenne un breve consulto: quelli erano i discendenti dei coloni, la mutazione non li aveva resi del tutto sterili ma certo la mortalità infantile era molto alta. Tuttavia, prendendo i loro spermatozoi e gli ovociti delle donne si sarebbe potuto correggere la mutazione e far nascere bambini, anche nel modo antico, ossia nella pancia delle donne, se  era ancora quella la loro tradizione.

 *****

 I contatti con quegli uomini trasparenti era davvero difficile. L’uomo adorno di collane di sassi colorati li indicò come spiriti del male. Faceva quello che fanno tutti i preti e gli stregoni quando temono una minaccia ai loro poteri. 

Alnylam decise si svegliare gli ibernati ma si accorse di trovarsi davanti a una ventina di persone dalla mente parzialmente svanita i cui ricordi erano vaghi. Solo la donna a cui Takiro fece il prelievo aveva qualche ricordo più preciso.

Parlava un’internazionale stentato ma comprensibile, con l’accento strascicato dei marziani. Disse di chiamarsi Sheena e di avere partecipato alla decisione dell’autoibernamento nella convinzione che non si sarebbero mai più risvegliati. Guardò i suoi compagni e scosse la testa facendo ondeggiare i bei capelli bianchi:

 - E, forse, sarebbe stato meglio…-

- No, Sheena. Non sarebbe stato meglio. Là fuori ci sono i vostri figli e possiamo aiutarli a riprendere il cammino della vita, e quello che è successo qui può essere di aiuto a tanta gente nei secoli avvenire. -

 Sheena accettò di fare da interprete fra loro e gli uomini trasparenti, mentre gli “uomini spenti” si andavano lentamente riaccendendo man mano che gli astronauti inoculavano nelle loro vene una soluzione di virus disattivati che portavano nel loro Rna una metilasi che tagliava il ponte alieno tra le basi nucleotidiche delle loro cellule.

 Alcune coppie di uomini e donne accettarono di farsi prelevare le cellule ma lo stregone, irritato, organizzò un gruppo di uomini sostenendo che gli alieni stavano ingravidando le loro donne con il loro seme  non umano.

 Fingendo di collaborare, tesero una trappola ad Alnylam e Takiro, rimasti nel villaggio degli uomini trasparenti insieme a Sheena per impiantare i primi embrioni nell’utero delle volontarie. 

Sheena venne uccisa a colpi di bastone e Alnylam e Takiro trascinati nella sacra caverna dove usavano seppellire i loro morti.

Il luogo era tabù e potevano entrare solo coppie con doni per lo stregone e i suoi sacerdoti. Le coppie depositavano cibo e sassolini colorati alla base di uno sperone di roccia che la natura aveva conformato come un simbolo fallico e che lo stregone e i suoi sacerdoti sfruttavano, sostenendo che era magico per i poteri dati loro dagli dei.

 I due astronauti furono lasciati al buio legati al simbolo di pietra.

Intanto al laboratorio, preoccupati per la sparizione dei compagni, Orian, Walter e Ilya, decisero di andare alla loro ricerca.

Si avvicinarono  al villaggio, di notte, per spiare senza essere visti.

 Si sentiva una cantilena e i sacerdoti battevano le mani a ritmo lento sui tamburi. Alcuni nativi ballavano intorno ad un falò. Davanti alla grotta, ritto, con le mani sollevate al cielo, c'era lo stregone salmodiante.

Walter strinse un braccio di Ilya e gli indicò un palo dal quale pendeva il cadavere di Sheena.

 - Se hanno fatto qualcosa ai nostri, giuro che li stermino tutti!- . mormorò Ilya.

 Gli astronauti attesero la fine della cerimonia che si trasformò in una gigantesca sbronza. I sacerdoti fecero circolare un vaso colmo di un liquido che li fece stramazzare  a terra nel giro di pochi minuti.

Poi, tutta la congrega dei sacerdoti si riunì insieme allo stregone intorno al falò e cominciarono a ridere e a mangiare. Anch’essi bevvero e finirono per cadere a terra ubriachi, masticando foglie allucinogene.

 Gli astronauti decisero di ispezionare la caverna: Un budello contorto s'inabissava nel ventre della terra.

Orian ,che precedeva il drappello, avvertì mentre scivolava:

 - Attenzione! Il pavimento è scivoloso come una toboga!-

 Avvertimento tardivo, perché caddero uno addosso all'altro.

 - Come faremo a risalire?.....- chiese Walter preoccupato.

- Vedrai che ci sarà una seconda apertura ...... -suggerì Ilya.

 Arrivarono ad uno slargo. Un lucore lontano fece loro da guida. C’era una torcia fumosa infissa ai piedi del simulacro fallico che si ergeva dalla roccia.

Legati,  di spalle, l'uno contro l'altro, scorsero Alnylam e Takiro.

Orian si avvicinò ai due, li sciolse, poi a bassa voce :

 - Avete visto da dove sono usciti quelli che vi hanno portato qui? - chiese - Non dovrebbe esserci più nessuno in giro, stanotte, ma non si sa mai…-

 Takiro indicò uno  stretto passaggio fra le rocce. S'incamminarono in silenzio verso quella direzione.

Grosse radici ingombravano il passaggio. Facendo attenzione  a dove mettevano i piedi procedettero a tentoni, in fila indiana.

 - Dobbiamo risalire abbarbicandoci alle piante. - li avvertì Orian.

 In cima si scorgeva un debole chiarore .

 - Ormai l'alba dovrebbe essere vicina. - commentò ancora.

 I cinque ansimavano per la fatica.

 - Appena fuori  dobbiamo correre verso il Lem. E' l'unico posto dove possiamo difenderci. – concluse.

 Giunti  in superficie, corsero più svelti che potevano senza riprender fiato.

 Ormai si era fatto giorno.

Un vociare improvviso.

 Orian li vide. Erano troppi quelli che li inseguivano.

Dovevano riuscire ad arrivare al Lem a qualunque costo.

Afferrò Alnylam per la mano trascinandola con tutte le sue forze.

 - Takiro, Walter, Ilya, presto,  ci stanno  raggiungendo. Sono dietro di noi....-

 Alnylam boccheggiava, non aveva più fiato. Ingoiò la saliva e, chiudendo gli occhi, fece l'ultimo sforzo.

 Erano ancora troppo lontani dal Lem, non sarebbero mai arrivati prima di essere raggiunti: quegli omini trasparenti erano veloci corridori.

Orian estrasse il suo laser dalla cintura::

- Li fermo con questo…-

- No! - urlò Alnylam - Noi sappiamo perché possiamo morire, loro no! – Ansimava, sfinita. Ingoiò ancora, tossendo.

 Orian aprì lo sportello, saltò su, sollevandola di peso e la spinse dentro.

Ilya la seguì con un salto.

Takiro, allo stremo, fece loro un gesto con la mano, di andare.

Alnylam era già seduta davanti alla console dei comandi e spinse il tasto dell’accensione dei motori.

Orian, in piedi, attaccato allo sportello afferrò il braccio di Takiro che a sua volta tese la mano a Walter:

 - Dai, devi farcela, sbrigati!-

L’astronave vibrava per la potenza della spinta: Takiro riuscì a prendere la mano di Walter:

 - Forza! Walter, forza! –

 L’astronave vibrava sempre più. Takiro riuscì a salire ma, in quell’istante, una mazzata si abbatté sul cranio di Walter che cadde a terra mollando la presa.

 Ormai gli assalitori erano intorno all’astronave. Alnylam chiuse gli occhi e spinse avanti la leva.

 Un sussulto e, in una nuvola di fuoco che fece urlare di paura gli indigeni, l’astronave si sollevò nel cielo.

 Dal portello dell’hangar uscirono gli uomini spenti e si posero fra la massa vociante degli inseguitori e Walter, col cranio rotto e la faccia piena di sangue.

 Uno dei risvegliati sparò in aria un tracciante rosso da segnalazione, si avvicinò allo stregone che capeggiava la rivolta e gli parlò nella loro lingua agglutinante e incomprensibile.

 Lo stregone ascoltò, si voltò e, a testa bassa,  prese a camminare, tornando indietro. I suoi si aprirono per farlo passare e, via via che passava, anche loro si voltarono e lo seguirono.

 - Erano venuti per aiutarci! - urlò con rabbia- Avete capito? Per aiutarci! Ci hanno messo in grado di vere figli sani! -

 Walter giaceva a terra in un mare di sangue, col mento appoggiato sul petto.

 Il suo corpo venne sollevato a braccia e portato verso l’hangar in una silenziosa processione di morte.

 

 

Làkesys, la mietitrice di anime

 Gli occhi di Alnylam erano pieni di lacrime.

 I compagni atterrati con lei su Lakesys erano spariti, bruciati dal calare di un’improvvisa nube piroclastica da quello che pareva un tranquillo vulcano di fango.

 Si erano salvati soltanto Orian, lei, e Andro, l'androide, perché erano un miglio più avanti.

Quella zona del pianeta era disseminata di piccoli vulcani dove le bolle solforose arrivate in superficie scoppiavano disegnando circoli sovrapposti di fango bollente che, a prima vista, non sembravano pericolosi. Un pianeta come tanti ma non sterile: stavano prendendo campioni di una specie di lichene che incrostava un dirupo di argilla.

 Andro aveva anche  montato per Alnylam  una Bolla, come chiamavano le cupole automontanti che servivano da primo riparo sui pianeti alieni.

 Era lì, seduta con la testa fra le mani e i gomiti poggiati sulle ginocchia, quando percepì un tremolio, un sussulto improvviso, poi un profondo boato che la distolsero dai suoi tristi pensieri.

Andro corse ad aprire l’ingresso ma fu travolto da uno schiaffo d’acqua e fango. Tutta la cupola si stava muovendo. Alnylam corse fuori e vide piovere sassi che rotolavano tutt'intorno sulla pianura, oltre il cratere. Un bagliore di fuoco s'intravedeva in mezzo alla polvere sospesa nell'aria.

Seguì un brontolio di tuono misto allo scrosciare improvviso dell'acqua che stava portando la cupola verso il fondo di un vecchio cratere molto ripido.

Cercò di rientrare, si aggrappò alla parete dell’abitazione che, sollevata dalla slavina, scivolava nella voragine.

 La cupola si arrestò sul fondo del grande cono, proprio al centro, arenandosi sopra una montagnola molle di terriccio trasportato dalla valanga.. Intorno a lei pareti viscide alte un centinaio di metri.

Tentò di risalire ma scivolando sulla mota, si ritrovava sempre sul fondo, come un insetto nella trappola insidiosa di un formicaleone.

L'acqua si era incanalata formando un fiumiciattolo che spariva nel cercare uno sbocco.

Decise d'ispezionare la caverna. L’ingresso era stretto ma poi l’ambiente si allargava nell’oscurità senza che si riuscisse a vederne la fine. Con stupore si accorse di essere in una  fungaia enorme.

Grandi radici emergevano dalla terra scura come ossa di dinosauri coperte da ife. Enormi funghi proliferavano succhiandone la preziosa linfa.  Non aveva visto grandi alberi su quel pianeta ma solo arbusti con lunghe foglie strette e scure che mosse dal vento parevano più alghe che piante. E non c’era vita animale, soltanto quella scarsa vegetazione primordiale di piante prive di fiori e, ora lo sapeva, di funghi.

Erano tanti i pianeti adatti allo sviluppo della vita, per composizione e temperatura, visitati e colonizzati, che avevano una flora, ma pochissimi con una fauna. Come se l’universo non avesse avuto ancora abbastanza tempo per svilupparla in grande scala e la Terra fosse stata, al confronto, un mondo precoce.

 Proseguendo nella penombra tastoni, Alnylam si accorse che il terreno diventava sempre più molle. Un raggio di luce proveniente da una crepa nell’alto della caverna illuminò una pozza di acqua nera: stava camminando lungo il margine di uno stagno. Ne approfittò per lavarsi le mani e la faccia. Il rumore dello sciacquio continuò anche dopo che si era raddrizzata. E insieme al suono dell’acqua smossa, udì un sibilo acuto.

 Soffocò un urlo!

Qualcuno o qualcosa, si muoveva nell’oscurità, provenendo da un canale scavato dalla lava e avanzava verso di lei. Nel buio, la fosforescenza di quattro occhi  e dei sibili, le fecero accapponare la pelle.  In quel mondo, senza animali, due esseri, alti e robusti, umanoidi, sbucarono sul bordo dello stagno e rimasero a fissarla con uno stupore simile al suo.

La loro testa era piccola e la pelle striata di giallo. Gli occhi, grandi, avevano la pupilla obliqua.

Nelle grosse zampe ungulate reggevano un paniere fatto di radici intrecciate dove c'erano, adagiate con cura, molte varietà di funghi.

Si avvicinarono a lei che, istintivamente, arretrò di un passo.

Non sembravano aggressivi, però.

S'inchinarono, forse in un saluto. Restarono in attesa esaminandola, curiosi,  con quegli occhi da rettile.

Alnylam restituì l’inchino. Le due creature aliene si guardarono e, in un muto accordo, deposero il canestro ai suoi piedi.

Alnylam accennò un sorriso e prese un pezzetto di fungo portandoselo alla bocca: ne mangiò un poco, esitante. Subito uno degli alieni fece la stessa cosa.

Alnylam cercò di comunicare  a segni. Levò verso di loro le palme delle mani aperte in  segno di pace. Anche i due alieni spalancarono le loro zampe anteriori a tre dita, poi uno di loro si chinò, prese un sasso e disegnò un cerchio arricchendolo con raggi: forse voleva significare il sole. Poi ne disegnò un secondo accanto al primo, anche questo lo arricchì di raggi: un sistema binario? Ma quel mondo girava intorno a  una sola stella in compagnia di altri sei pianeti giganti, gassosi, che certo non potevano ospitare la vita, almeno non quella basata sul carbonio.

 L’alieno continuò e i soli divennero tre, poi punteggiò intorno sei buchetti e, alla fine, disegnò tre cerchi intorno a uno di essi.

L’altro alieno sibilò qualcosa che per lui doveva avere un senso perché il compagno gli rispose con altri due sibili ben modulati.

Poi restarono a fissare Alnylam: era evidente che aspettavano una risposta. Ma a cosa? Quei disegni fatti sulla terra bagnata probabilmente non avevano nulla a che fare con le stelle, forse avevano significati più primitivi che la donna non riusciva a decifrare.

 Alnylam prese a sua volta il sasso e riprodusse la caverna e poi una serpentina con una freccia diretta verso l’alto e indicò il soffitto con un dito.

 I due alieni seguirono la direzione indicata dal dito, ma c’era solo il buio.

Gli alieni la fissarono ancora per un qualche secondo con i loro occhi da cobra, infine uno si portò una zampa sulle scaglie del petto e si avviò: due passi e si volse per vedere se la donna gli andava dietro.

Alnylam si fermò, ora gli alieni le parevano quattro, fu un attimo e tornarono due. Una lieve nausea le stava salendo dallo stomaco.

- I funghi! – pensò - Velenosi o allucinogeni… quello che mangiavano i nativi non sempre era commestibile per i terrestri!-

 Si fece forza anche se  la nausea stava aumentando. Però anche l’alieno sembrava stare male e infatti si piegò in avanti vomitando verde.

 Alnylam si accorse che l’alieno aveva qualcosa sulle scaglie del polso: un analyzer forse, o un segnatempo! Un nativo nudo, una lucertolona che si nutriva di funghi, non poteva avere un simile gioiello della tecnologia!

Alnylam dovette piegarsi anche lei per vomitare, si portò una mano alla bocca  e l’alieno, asciugandosi le fauci, le prese il polso del braccio destro dove  lei portava il suo analyzer.

Le pupille da serpente scintillarono di intelligenza. Quell’essere non aveva labbra e non poteva ridere, eppure Alnylam capì che stava ridendo.

L’alieno la guidò al cesto dei funghi, lo indicò e poi gli diede un calcio mandandolo dentro lo stagno. Alnylam rise e diede anche lei un calcio a un fungo rimasto sulla riva.

Il significato era chiarissimo: quella roba non era da mangiare, né per i lucertoloni, né per lei terrestre.

 Alnylam si chinò di nuovo e disegnò sulla terra umida il nostro sole e i suoi otto pianeti, poi fece tre circoli intorno al terzo. Si indicò con la mano e puntò il dito sul disegno. Avevano capito?

I due alieni saltellarono sulle zampe posteriori e ciò le sembrò un chiaro segno di allegria. Tornarono al loro disegno e indicarono il punto che avevano circoscritto  portando entrambi le zampe sul proprio petto: il linguaggio dei segni aveva funzionato.

 Alnylam accese l’analyzer e i due alieni si irrigidirono, poi uno dei due premette un artiglio in una fessura del suo apparecchio da polso e si udirono dei sibili a cui lei rispose con suoni simili.

Alnylam parlò nel microfono del suo analyzer ma non ricevette risposta. I tre rimasero a fissarsi: le pupille ovali dei due alieni scrutarono con attenzione il fondo degli occhi rotondi del mammifero che avevano davanti. Ad un tratto un sibilo assordante: uno degli alieni scartò all’indietro allarmato e levò, tesa, una zampa, il palmo gli si accese e si sprigionò un raggio di luce che il rettile indirizzò verso una gobba di fango che si stava muovendo. Una lamiera restituì un riflesso e Alnylam esclamò:

- Andro! - dimentica dei due alieni corse dall’androide che si stava alzando a fatica con una vistosa ammaccatura sulla testa colpita  da una scheggia di pietra quando era stato travolto dalla valanga di fango.

 - Andro, dov'è Orian?.... –

 Emergendo prima con un braccio, poi con l'altro, Andro si eresse, lordo di terra, e disse :

 - Non lo so ma lui non è stato travolto. Mentre cadevo l’ho visto in cima alla collina, lontano dalla slavina! - Alnylam abbracciò l’androide che le sussurrò:

 - Scusa, ma… chi sono quei  lucertoloni? -

- Non lo so. Ho creduto che fossero nativi e loro credevano che la nativa fossi io… Forse stiamo facendo lo stesso mestiere.-

 Alnylam si staccò dall’androide e indicandolo disse:

 - Questo è Andro! - poi si mise la mano sul petto e pronunziò: -  e io Alnylam.-

 I due alieni ripeterono il suo gesto e si presentarono con due sibili diversi che fecero sorridere la donna.

 - Non riuscirò  mai a chiamarvi per nome…-

 Andro approfittò dell’acqua dello stagno per togliersi il fango di dosso e sbirciò di sottecchi i due alieni:

 - Dovevi capirlo che non sono nativi, non c’è vita animale su questo pianeta! -

- E’ però evidente che discendono da qualcosa che ricorda i nostri rettili.  Non ti pare? -

- Sono anche loro “diversi”: come me! -  sogghignò l’androide.

- Sei bellissimo e tornato splendente come prima! – commentò Alnylam-  Riesci a tirami fuori da questo buco?-

 Andro annuì e guardò i due alieni, poi alzò un dito verso il soffitto. Di nuovo i due seguirono la direzione del gesto..

Andro trasalì e sgranò gli occhi che sapevano diventare umanissimi nelle espressioni limite: stupore! Guardò Alnylam interrogativo.

I due alieni sibilarono fra loro e poi tesero le zampe sia a lui che ad Alnylam. Andro prese subito quella zampa, la donna esitò un poco, ma Andro le sussurrò:

 - Tranquilla, ne sanno più di noi. In qualche modo mi hanno trasmesso la sensazione che ci porteranno fuori da qui.-

 Alnylam prese la zampa del rettile: non era fredda come si aspettava ma calda, vellutata e pulsante.

I due alieni si sollevarono di pochi centimetri da terra e, sfiorando il fondo della grotta, uscirono portandoli fuori.

 Un’ora dopo Alnylam e Andro assistettero alla partenza del grande disco dei due alieni che si sollevò senza rumore dal suolo e sparì  verso l’alto, con una tale velocità che lasciò l’impressione che fosse svanito come per magìa. Restarono alcuni minuti a guardare il cielo che si andava riannuvolando.

 Due civiltà  diverse, due specie intelligenti, sconosciute, si erano incontrate per la prima volta e si erano accettate. Nessuno scontro, nessuna repulsione razziale.

 - Non confondere l’incontro fra noi e i due alieni per l’incontro pacifico  di due civiltà. Spesso anche sulla terra i primi approcci fra popoli  diversi furono pacifici e poi uno dei due sterminò l’altro.- disse Andro quasi leggesse i pensieri della donna:

 - Lo so, ma è un buon inizio. Così diversi e pure così uguali. Credo proprio che facciamo lo stesso lavoro noi e quei due lucertoloni.-

 Una nuova scossa fece tremare la terra sotto i loro piedi.

 - E’ meglio che cerchiamo Orian e ce ne andiamo. E’ un pianeta non ancora assestato. Niente colonizzazione per il momento.-

- Che cosa comunicherai sui due alieni?-

 Alnylam stette in silenzio per un intero minuto e  poi guardò il robot e disse con decisione:

 - Non si può tacere un fatto così clamoroso. E’ la prima volta, per quello che ne sappiamo, che troviamo un’altra forma di vita intelligente.-

- Già. Ma le notizie che arrivano dal sistema solare non sono tranquillizzanti. Non vorrei che mandassero astronavi da guerra per combatterli per la primazia della razza umana. -

 Un grido li fece voltare: Orian stava scendendo di corsa il pendio di una collina. Era eccitato, scivolò, si rimise in equilibrio badando a non infrangere l’ampolla che aveva in mano, piena di acqua sporca.

 - Guardate! Guardate!- agitò l’ampolla ansimando – guardate cosa ho trovato! -

 Alnylam prese l’ampolla e ci guardò dentro: un piccolo platelminta si agitava sul fondo, un vermetto bianco e piatto senza occhi e senza distinzione tra bocca e ano.

 - E' glabro, senza occhi, ma  è vita!- esclamò Orian trafelato ma giulivo- Non siamo soli su questo pianeta!-

 Alnylam e Andro scoppiarono a ridere e Orian ci rimase male.

 

 

Frammenti di stelle

 Erano tornati a prenderli. Chissà se erano gli stessi due alieni incontrati nella caverna, sul fondo del vulcano. Era difficile distinguerli.

Il disco era ritornato quasi subito nel tempo del pianeta ma doveva avere viaggiato nello spaziotempo distorcendolo e quindi il fatto che fossero passati pochi minuti dalla loro partenza non diceva nulla.

 I due alieni rettiloidi si inchinarono davanti ad Alnylam, Orian e Andro e sibilarono dentro i loro analyzer che tradussero quei fischi in suoni più adatti per l’orecchio umano. Erano suoni senza senso ma potevano sembrare una delle tante lingue umanoidi dei pianeti esterni e quindi l’analyzer di Alnylam potè lavorarci su e tradurre qualche parola.

Erano sibili di benvenuto, decise l’analyzer, seguiti dai nomi dei due ambasciatori.

L’analyzer usò proprio quella parola “ambasciatori”. I nomi suonarono qualcosa come auuki e uuuuokai e Alnylam decise per Mauiki e Molokai.

 I due alieni continuarono il loro sibilare tradotto in suoni sillabici e Alnylam capì che la invitavano a bordo per farle visitare il loro mondo.

 Che fare? Intanto ringraziare con grandi gesti con le palme aperte rivolte verso gli alieni, poi consultarsi con Orian e Andro.

 - Direi che vado io – propose Orian – è il nostro lavoro catalogare nuovi mondi e per una volta che incontriamo davvero “qualcuno” sarebbe stupido tirarsi indietro.-

- Giusto – ammise Alnylam – ma il primo incontro è avvenuto con me e con Andro, se ti fai avanti tu potrebbe sembrare uno sgarbo e non sappiamo quali siano le abitudini di questi esseri. Non possiamo rischiare, finora tutto è filato via liscio. Andiamo io e Andro e tu resti qui, ti rimetti in contatto con Terra e dai la notizia del disastro. Per una nuova colonizzazione dà parere negativo, poi deciderà il Consiglio. -

 Alnylam e Andro salirono sul grande disco portato in levitazione dai due alieni e l’apertura si chiuse dietro di loro. Dentro non c’era nulla. Nessuna console, nessun apparecchio, nessun mobile. Il disco era fiocamente luminescente e questo bastava a far scorgere i contorni di altri tre alieni, in piedi, al centro, schiena contro schiena, immobili, assorti in qualcosa che sembrava porli al di fuori della coscienza.

 Orian restò a guardare il disco che, dopo una lieve vibrazione, partì  verso l’alto così veloce che parve sparire per un gioco di prestigio lasciando l’uomo preoccupato: quegli alieni avevano una tecnologia superiore a quella umana e questo poteva non essere un bene.

 Dentro il disco, le figure si distorsero, come capita alle immagini sui monitor quando passano attraverso un campo magnetico e poi tornarono normali. I tre alieni si staccarono l’uno dall’altro e si inchinarono davanti ad  Alnylam e ad Andro, mentre l’apertura del disco si allargava di nuovo alle loro spalle lasciando entrare una luce violetta.

Mauiki e Molokai presero i due terrestri per i gomiti con le loro zampe a tre dita, con delicatezza,  e li lievitarono su un mondo color indaco.

Il terriccio aveva una bella sfumatura blu, morbide escrescenze vegetali coperte di peluria avevano un riflesso mogano, il cielo era una cupola giallo oro e in alto splendevano due stelle doppie di un azzurro intenso.

 Alnylam inciampò in un ciottolo che si chinò a raccogliere. Lo esaminò passandolo poi davanti all’analyzer che sentenziò “carbonio purissimo cristallizzato, ossia un diamante. Sulla Terra si forma in profondità oltre i tremila metri a forti pressioni e a temperature elevate dopo bruschi raffreddamenti…-

 La donna passò una mano sul minischermo dell’analyzer che si interruppe e diede il diamante grezzo ad Andro:

 - Mettilo nel contenitore. - disse dopo averlo strofinato per mandar via la polvere – Strano mondo. Per questi abitanti, forse è solo un sasso senza valore. Può darsi che qui la cristallizzazione del carbonio segua altre strade.-

- Se per gli indigeni avesse il valore che gli diamo noi, certo non l'avrebbero lasciato per terra. - disse Andro, sorridendo.

- La cosa che mi affascina del nostro lavoro è proprio la diversità di ogni modello di cultura. -  concluse la donna.

 Anche la pelle di Alnylam aveva un riflesso azzurro sotto quei soli.

 Il terriccio blu sembrava umido, non faceva polvere, però le impronte lasciate dai loro passi  si cancellavano come impresse sul lattice di gomma.

Subito, Alnylam prese un pizzico di terra e lo passò davanti all’analyzer che subito iniziò a recitare: “2-(1,3-diidro-3-osso-2H-indol-2-ilidene)--1,2-diidro-3H-indol-3-one”.

 - Indaco? – chiese Alnylam e l’analyzer confermò.

- Tutto il pianeta dev’essere un solo enorme vegetale, una cosa viva…-

 Un gruppo di circa cinquecento alieni avanzava verso di loro.

Procedevano silenziosi.

Uno alla volta deponeva un dono ai loro piedi, s'inchinava e, dopo averli osservati, si disponeva in cerchio attorno agli stranieri.

Erano completamente nudi e i doni erano oggetti di impossibile interpretazione: forse uova, forse congegni quantici, forse frutta.

 La  pelle degli alieni era variegata, come quella dei serpenti. Era lucida e ben pulita ma non erano tutti uguali pur avendo qualcosa che ricordava i rettili terrestri. Erano di varie taglie e pezzature, alcuni avevano scaglie, altri no.

Gli organi sessuali, se c’erano, dovevano essere interni, e quindi  Alnylam non poteva sapere se erano maschi o femmine. Tutti completamente  privi di peli o capelli, con teste per lo più lisce, tondeggianti, segnate da una placca triangolare sotto cui splendevano grandi occhi fosforescenti.

 - Da come ci stanno accogliendo, sembra un popolo ospitale e pacifico. - sussurrò ad Andro.

 Mauiki e Molokai si inchinarono deferenti  davanti a uno dei nuovi venuti che avevano circondato i due terrestri, in silenzio, e lo indicarono con grandi gesti, i palmi delle zampe in avanti verso Alnylam e ad Andro.

 Quello doveva essere il capo, il re, il presidente, insomma l’autorità.. Non era distinguibile dagli altri. Non aveva né armi , né simboli particolari, solo quella specie di analyzer sulla prima parte della zampa anteriore che corrispondeva al nostro “braccio”, pensò Alnylam.

 Ma quel rettiloide parlò nella lingua dei pianeti esterni, e sillabando, con cadenza sbagliata disse:

 - Benvenuti su …. – il fischio del nome del pianeta non venne tradotto - Siamo sul primo braccio a spirale dalla parte opposta della galassia a …. (un fischio introdotto) luce da voi. Per quel che ne sappiamo in questa galassia siamo le due sole civiltà evolute.-

- Grazie del benvenuto – sillabò Alnylam ripresasi dalla sorpresa – dall’altra parte della Via Lattea? Nelle nostre misure quasi centomila anni luce da Sol. -

- Anni? -

- Chiamiamo “anno” il tempo che impiega il pianeta su cui avemmo origine a compiere una intera ellisse  intorno alla sua stella, il nostro sole, che chiamiamo Sol.-

- I nostri soli noi li chiamiamo….(altro fischio modulato) e l’orbita del nostro mondo è complessa. Siamo lontani da voi il tempo che ci mette la luce ad attraversare la nostra galassia.-

- Centomila anni luce. – ripeté Andro – mille più mille meno.-

 L’alieno restò immobile a guardare i due terrestri, poi concluse:

 - E’ un grande incontro. Siete felici?-

-  Dell’incontro? Felicissimi e…-

- No, voi alieni di Sol siete felici? –

Alnylam guardò Andro che intervenne:

 - Felici di esistere? Sì.-

 L’alieno scrutò Andro:

 - Tu sei una macchina. – concluse. Andro tacque offeso ma Alnylam precisò:

 -Tutti siamo macchine, più o meno biologiche, ma macchine. Quel che conta sono i pensieri e le emozioni. Andro, in questo, è uguale a me.-

 Andro lanciò alla donna un’occhiata adorante. L’alieno fece un saltello di gioia, forse di ilarità, poi aggiunse in tono bonario:

 - Adesso lui è felice. Per essere felici bisogna vivere in mezzo a esseri felici. -

- Quello che hai detto mi fa venire in mente un nostro antico saggio che diceva: " Ogni individuo persegue la felicità e il compito di un capo è quello di realizzare il bene di tutti perché non si può essere felici in un mondo d'infelici”. - Sorrise.

 - Si chiamava Aristotele, ma dubito che tu l’abbia letto.-

 Alnylam, assunto un tono più ufficiale, sillabò per essere il più  chiara possibile:

 -  Io, oggi sono felice perché le nostre civiltà sconosciute  si sono incontrate per la prima volta e si sono accettate.  Siamo diversi ma siamo anche uguali, perché pensanti. Non ci sarà mai nessuno scontro, nessuna violenza, nessuna discriminazione razziale tra due civiltà evolute. -

- Così speriamo - concordò l’alieno - Non ci sono precedenti. Avremo modo di conoscerci meglio, per ora portate ai vostri simili la notizia che non siete soli nell’universo.- Alzò le braccia e spalancò i palmi delle zampe a tre dita.

Alnylam, commossa, aprì anche lei le mani e le mise a contatto con le sue.

 ******

Orian si era appena voltato, dopo la scomparsa del grande disco, e stava cercando di stabilire un contatto in entanglement con la stazione astronautica su Europa che aveva il coordinamento delle missioni coloniali in quel settore, quando udì uno spostamento d’aria e si girò di scatto: il grande disco era di nuovo lì e dallo sportello che si stava aprendo Andro e Alnylam vennero deposti a terra da Mauiki e Molokai, o altri due indistinguibili da loro.

Accanto ad Alnylam vennero deposti i misteriosi “doni” regalati dagli alieni, poi il disco si richiuse e partì verso l’alto, sparendo tra le nubi.

Orian corse verso i due compagni:

 - Perché vi hanno sbattuto subito fuori? –

- Subito? Parola senza senso per coloro che, come i lucertoloni, viaggiano a una velocità che rende quella della luce una bava di lumaca paralitica…- commentò allegro Andro, felice come una pasqua.

 Il dispositivo a entanglemet gracchiò: il contatto con la base su Europa era stabilito.

Miliardi di molecole, collegate in entanglement, erano pronte a mutare in tempo zero, trasmettendo istantaneamente un bit di informazione a distanze che la luce avrebbe  coperto in millenni.

 Orian informò la base sugli ultimi, tragici, avvenimenti che avevano portato a morte parte dell’equipaggio e diede la grande notizia dell’incontro con un’altra civiltà.

 La risposta fu che Orian doveva restare lì perché un’astronave di coloni, diretta a un pianeta di Beta Boo, aveva dovuto cambiare la sua destinazione ed era già entrata in quel sistema solare: il suo atterraggio era previsto entro 87 ore e 15 minuti, tempo universale.

 Alnylam mise al corrente la base del terremoto, dei vulcani di fango e delle slavine continue che rendevano pericoloso il pianeta  ma la risposta non mutò: Orian doveva restare per aspettare l’astronave. Alnylam e Andro invece dovevano lasciare quel sistema solare e dirigersi, in warp, verso un punto della galassia in cui gli scienziati avevano scoperto un'anomalia gravita-zionale, l’opposto di un buco nero, quella che sembrava essere una sorgente di materia che usciva dal nulla.

Orian esaminò i “doni” perplesso:

 - Che roba è? –

- E chi lo sa? Doni. –

 Orian scosse il capo:

 - Uno di quelli potrebbe essere un cavallo di Troia. –

 Alnylam sbuffò:

 - Abbiamo incontrato una civiltà superiore che, se avesse voluto eliminarci, avrebbe potuto farlo con facilità. -

 L’astronave era pronta. Orian abbracciò Alnylam e diede una pacca  affettuosa ad Andro, commosso. 

  - Dove sistemo tutta questa roba ? –  chiese  indicando la massa dei regali ricevuti.

- Nell'hangar, vicino alla bolla. - intervenne Alnylam, poi aggiunse -  Oggi è stato un giorno storico. – guardò Orian. Capì che cercava di dilazionare la sua partenza. Aveva gli occhi rossi. Orian sospirò, poi annuì, fece spallucce e concluse:

 - Anche se non sembra…-

-  Dobbiamo andare.- sorrise Alnylam. Ci fu un attimo di silenzio.

 Orian tirò su col naso. Alnylam sentì montarle dentro un po’ di  commozione e il dispiacere di dover lasciare lì il suo compagno, ma la missione doveva continuare. L’imbarazzo cresceva. Tagliò corto: 

- E’ tutto a posto? –

 Andro fece cenno di sì col capo.

 - Allora a bordo. Partiamo subito. – 

******

 Orian, bloccato su quel pianeta  di fango,  attendeva impaziente, l'arrivo dei nuovi coloni. Aveva preparato le sfere in cui accoglierli e le provviste erano state impilate in bell'ordine già da tempo.

Senza Alnylam si sentiva solo. Avrebbe preferito partire con lei per la missione che le era stata assegnata con l'ultimo dispaccio ricevuto dal centro spaziale.

 Il cielo si accese di un punto luminoso e l'astronave, comandata da un uomo vigoroso che non mostrava gli ottant’anni che diceva di avere, arrivò con il suo carico di coloni.

Si presentò a Orian con una stretta di mano da rompere le dita. Disse di chiamarsi Werner, e di provenire da Menphys, un pianeta a gravità doppia di quella della Terra madre che girava intorno alla stella Barnard.

Bell’uomo Werner, con occhi appena un po’ più grandi della norma, dalle pupille dilatate perché la luce del suo sole è rossa. I coloni scesero uno dopo l’altro, guardandosi intorno senza entusiasmo, magri, stanchi e, in fila indiana, aspettarono l'assegnazione della loro bolla. Molte donne, qualche bambino, nessun vecchio. Non c’era in loro la curiosità gioviale che aveva visto in altri coloni.

 - Perché sono in questo stato pietoso? -

- Non sono volontari. Ti racconterò tutto quando saremo soli. -

 Finirono di sistemare i coloni e le loro famiglie, spaesati, impauriti, diffidenti perché erano arrivati su un pianeta sconosciuto, diverso da quello previsto e di cui avevano visto solo mappe e fotografie,  dove anche un filo d’erba poteva riservare una sorpresa, e senza l’entusiasmo che, di solito, anima la speranza di chi ha il coraggio di partire e lasciare tutto per affrontare una nuova vita.

 I due veterani, Werner e Orian,  si ritirarono nella bolla e stapparono una skool, poi  Werner cominciò a raccontare:

  - Sei stato mai su Memphys?- Orian scosse la testa – Bel pianeta, più grande di Terra con un sole piccolo ma brillante che sembra un rubino nel cielo. Siamo troppi ormai su Memphys e sta succedendo quello che capitò, un secolo fa, su Terra: sovrapopolazione e cose talmente terribili che sono lieto di non doverci tornare mai più. Per il Consiglio, Terra non dava permessi di nuove colonie. -

 Werner fece un lungo respiro, poi continuò:

 

- Anche Terra è ancora troppo affollata, nonostante che da lì partano astronavi ogni giorno, cariche di gente per i pianeti terrestri che ruotano intorno alle stelle prossime. Memphys è ormai una gigantesca megalopoli e, tu lo sai,  troppa gente genera il caos. Così un gruppo della guardia spaziale di Memphys  ha esautorato il Consiglio su Terra. Un vero colpo di Stato alla moda prespaziale. Hanno preso pieno potere sul sistema di Sol e sulle colonie. Sono scoppiate rivolte, massacri, ma alla fine la guardia spaziale ha avuto la meglio.- bevve un sorso della bibita verde effervescente, ottima equilibratrice dell’umore e continuò:- Non hanno avuto neppure il ritegno di usare la distorsione dello spazio per fare stermini di massa. La grande città di Luna Uno non esiste più. Anche la colonia su Phobos è scomparsa con tutto l’asteroide.

 Orian ascoltava incredulo: i suoi contatti con radio Terra erano sempre stati monotonamente uguali, tecnici, e non aveva intuito catastrofi o cambiamenti traumatici.

 Werner continuò, atono:

 - I militari hanno bloccato le partenze dei coloni da Terra e da Marte e organizzano esodi forzati da Memphys, da Giapeto e da Zetol. Dicono che si fanno per sorteggio, ma nessuno ci crede. In ogni modo, chi deve partire  non può dire di no.  Per questo non sono allegri… Nell’infanzia dell’uomo ci si uccideva con delle lame di metallo e si vedeva il sangue, oggi, coi distorsori, spariscono anche i cadaveri, i nemici svaniscono, non lasciano dietro nulla, neppure il rimorso agli assassini.-

- Ma la gente… le persone… sono tutti impazziti!  Com’è possibile che tutte le istituzioni democratiche,  la TreD, il Web7… nessuno si è opposto?-

- Molti si sono opposti. Ma nessuno era più preparato a reagire alla violenza. Forse è stato un virus, uscito da chissà quali antichi antri, che ha riportato fanatismo e violenza nel sistema di Sol. Nelle colonie periferiche hanno cominciato a scarseggiare le risorse alimentari, le idroponiche non bastano perché anche lì hanno una popolazione in crescita. Sono scoppiati tumulti, guerriglie,  si sono divisi in partiti, in sette, alcune di queste si sono perfino inventato un loro dio personale, un protettore che vuole la morte di tutti gli altri. Venendo a mancare l’autorità centrale molte colonie hanno degenerato. Su Zetol la tracotanza dei capi più potenti ha ridotto in schiavitù il popolo e poi hanno dato il via a una pulizia etnica.

Su Giapeto una setta religiosa ha tiranneggiato per un decennio gli adepti soggiogandoli, insinuando nella loro mente che tutto ciò era il castigo per la maledizione divina. Pochi privilegiati si sono spartiti gli ultimi beni disponibili, nell'anarchia più assoluta.

Coloro che sono riusciti a sottrarsi ai despoti si sono ritirati a vivere sulle isole del Grande Oceano. Altri si erano arrampicati sulle cime delle montagne  più isolate, nei posti più inaccessibili.

I militari di Memphys hanno faticato a rimettere un po’ d’ordine, ma addio democrazia. Hanno messo insieme le religioni che hanno accettato la fusione e distrutto tutte le altre. La religione unica si chiama adesso "Opere Umanitarie" ed è l'associazione di tutte le religioni e innumerevoli sette che considerano il denaro individuale come "merce del demonio" di cui bisogna sbarazzarsene donandolo alla "Banca Delle Religioni" amministrata dalle gerarchie ecclesiastiche che penseranno loro a dispensarlo ai bisognosi.

" L'Arca Sacra" è lo scrigno dei proventi che verranno distribuiti, dicono, ma senza precisare quando e a chi. La giustizia è sottoposta al potere dei "Sacerdoti" o dei militari.

Le "Bande" dei commercianti di droghe sintetiche, con cui stanno rincretinendo le ultime generazioni, sono coalizzate e protette.

 Anche su Terra le gerarchie dei potenti che sono a capo del "Commercio Globale" sono state  dichiarate "Insindacabili".

La laicità e la libertà individuale  non è più riconosciuta. E l’esilio forzato su pianeti extrasolari è la norma.- Werner si interruppe  e bevve, poi continuò:

 -Su Titano hanno dato fuoco al pianeta cantando il giorno del giudizio. Su Europa preti autoproclamatisi figli di Cristo, un antico predicatore ebraico, stanno avvelenando i Quark dell’oceano subglaciale sostenendo che sono figli di un angelo ribelle.-

- Ma io sono in contatto col centro spaziale di Europa e…- interruppe Orian.

- Ormai c’è la pax di Memphys dovunque, per i dissidenti è spesso pax eterna. Anche su Terra… mi ha detto Joyce…. Un tipo buffo che avevo in accademia… - un altro lungo sorso mentre Orian è rimasto con la coppa piena in mano:

 - Beh, Joyce mi ha detto che ha incontrato gente che aveva tirato fuori dal ciarpame culturale dell’era di mezzo la storia dell’anima, del paradiso e dell’inferno!-

 Orian rise e poi, ammiccando:

 - Mi stai prendendo in giro, vero? -

- Magari! Lo so che fa ridere, ma l’umanità è ancora piena di sorprese. -

- Vuol dire che siamo ancora una specie primitiva… - commentò incerto Orian, dando un’occhiata di traverso a Werner e bevendo la propria coppa di skool tutta d’un fiato.

 - Più che primitiva, stupida. Stappane un’altra. -

 Orian  versò di nuovo da bere e i due astronauti levarono le coppe insieme,  in un antico gesto di augurio.

 - Parte di questi coloni vengono da Giapeto. I militari hanno riportato l’ordine, ma hanno preso le idroponiche e la loro emigrazione non è volontaria. Sono costretti a partire. Gli è andata pure bene: il piano dei padroni di Giapeto era di deviare dei frammenti degli anelli per sterminarli. Fortuna che invece è stata sterminata quella setta di matti.-

- Sembrano denutriti. Molti, anche malati. Questo pianeta non è ospitale, terremoti e slavine di fango possono cancellare in un minuto il lavoro di anni. Qui servirebbe gente forte, sana e motivata.-

- Io ho dovuto imbarcarli, se no ci lasciavano le penne e l’ho fatto a distorsori spianati contro l’astronave!-

 Orian posò la coppa e scosse la testa:

 - Se non fossi un collega penserei che mi stai prendendo in giro…-

- Purtroppo no. Ma qui, questa gente si riprenderà. Molti di loro sono bravi tecnici d’idroponica e geologi. Daranno vita a una società libera. Sai, anche la ricerca scientifica è sottoposta al vaglio del potere nel sistema di Sol. Il riaffiorare di preti è una cosa orribile anche da questo punto di vista. Ci sono associazioni segrete di scienziati che lavorano in clandestinità, nelle caverne sulle pendici della Nix su Marte e nelle viscere di Callisto. Su Terra  qualche vecchio laboratorio ancora funziona perché la clonazione di animali e vegetali assicura la sopravvivenza delle caste al potere.-

 Orian ascoltava ammutolito, incredulo che la civiltà terrestre fosse degradata in un tale sfacelo, ma per fortuna non interferiva col suo lavoro.

- Bene, Werner. Daremo una mano a questa gente per costruire qui una nuova, vecchia civiltà. -

- Tu, darai una mano - precisò Werner – io devo arrivare a Beta Centauri per un altro carico.

 La skool stava facendo il suo effetto rallegrante e Orian  battè una manata sulle spalle del pilota:

 - E bravo Werner! Veterano abbronzato da centinaia di soli!-

 Risero entrambi.

 
 

Deimos e Phobos

 I due pianetini gemelli che giravano intorno a Sirio erano stati chiamati come i satelliti di Marte, Deimos e Phobos,  per il loro squallore e la luce rosso cupo del loro sole.

 Alnylam e il suo equipaggio, formato da Orian, Ilya e Takiro, oltre l'inseparabile Andro, erano stati inviati dal centro spaziale su Europa per consegnare a Reltix  un disintegratore  a warp che, storcendo localmente lo spazio, spostava qualunque cosa in un altro spaziotempo.

Era il “regalo” attesissimo da Reltix in cambio della fornitura di spleen, la droga ricavata da un muschio che cresceva bene solo sul suo pianeta e che dava il sapore e le proprietà tonificanti allo slook. E tutti sapevano quanto fosse importante lo slook per gli astronauti!

 Reltix comandava un popolo di Pigmei, deportati secoli prima dai terrestri per sbarazzarsene, dopo che avevano loro espropriato l'ultimo pezzo di boscaglia. La scoperta del muschio che produceva lo spleen li aveva salvati dall’estinzione, in quanto quel modesto commercio portava loro il cibo sintetico per vivere.

 Reltix era un mutante. La sua struttura fisica era mastodontica perché malato di macromelia. Terrorizzava quel piccolo gruppo sopravvissuto, d'indole accomodante e pacifica, tiranneggiandoli. Pretendeva di essere chiamato "Sacro  Spirito" e di essere obbedito ciecamente.

 Il lavoro per la raccolta del muschio era massacrante poiché il giorno di Phobos  era quattro volte più lungo di quello terrestre.

 Quando arrivò la nave spaziale, Reltix  la ricevette con tutti gli onori. Erano poche le occasioni di mostrare tutta la sua magnificenza.

Indossava un copricapo elaborato di piumaggi colorati con al centro un grosso cobra intagliato. Nella sua mano gigantesca per la malattia, stringeva un bastone nodoso intorno a cui si attorcigliava un serpente.

I Pigmei accatastarono vicino all’astronave le loro balle di muschio compresso che Andro, manovrando il raggio trattore, spostò nella stiva. Poi, Reltix  scortò gli astronauti fino al villaggio, seguiti dalla sua gente che batteva sui tamburi  una marcia trionfale.

 Reltix si sedette sul trono che campeggiava proprio al centro del villaggio.

Agli ospiti venne indicata una panca a mezza luna e Alnylam , Orian, Ilya e Takiro si disposero in circolo.

Reltix indicò con occhi accesi di bramosia la custodia del disintegratore che portava Orian a tracolla, tentando qualche parola nella lingua dei pianeti esterni ma senza riuscire a farsi capire.

Un ragazzo si avvicinò all’astronauta e si inchinò. Alnylam fece un cenno di assenso a Orian che gli diede la custodia con l’arma. Il ragazzo s'inchinò, la prese con entrambe le mani e la depose, a braccia tese, ai piedi di Reltix, poi tornò sui suoi passi arretrando.

 Reltix aprì la custodia e prese il disintegratore a warp, leggero, quasi un giocattolo. Non tradiva la sua potenza.

Orian, preoccupato,  alzò un braccio per fermare le mani di Reltix che si muovevano sul disintegratore in modo pericoloso.

Si avvicinò a lui e tese la mano. Reltix, un po’ restio, gli restituì l’arma. Orian mostrò a Reltix come usarla: la puntò su un cespuglio, mise a fuoco con la leva della carica e pigiò lo start. Sembrò non accadere nulla, appena un’onda, come di calura, distorse per un attimo il cespuglio che scomparve.

Un coro di stupore e paura si levò dai pigmei.

 Reltix prese l’arma dalle mani di Orian e la voltò verso il ragazzo: prima che Orian potesse fermarlo, mise a fuoco e premette lo start. Il ragazzo sparì. Reltix rise felice.

  - Che imbecille! – sussurrò Alnylam a denti serrati. 

Un vecchio si gettò ai piedi di Reltix urlando disperato:era il padre del ragazzo disintegrato e implorò la restituzione di suo figlio.

Reltix continuò a ridere e voltò verso l’uomo il disintegratore, con un’espressione da demente.

 - Non due volte di seguito. -  disse fredda Alnylam – potrebbe scoppiare. Devi aspettare. Tempo.- indica la rossa Sirio e ripete - Tempo. -

 Reltix afferrò il concetto e, contrariato,  ordinò che il vecchio venisse messo a morte secondo l’usanza.

 L’uomo venne afferrato dalle guardie che lo sollevarono di peso e lo appesero con le mani in alto, legandolo a un totem con la bocca spalancata e gli occhi spaventosi dipinti di rosso. Dalla bocca emerse un cobra, uguale a quello intagliato sul copricapo del "Sacro Spirito", che, con un sibilo, assaggiò l’aria con la lingua saettante  e, fulmineo, addentò il pigmeo piangente e si ritrasse all'interno del totem.

 Alnylam levò un braccio, imperiosa,  fermò Orian che stava per scagliarsi sul mastodontico Reltix e disse perentoria:

 - Ridammi quell’arma. Non sei degno di ricevere quel regalo!-

 Reltix finse di cedere ma, con uno scatto improvviso, avvinghiò la donna per la vita e puntò l’arma contro gli astronauti.

Il programma “sicurezza” scattò in Andro: era  il compito primario dell’androide quello della difesa di Alynam e i suoi movimenti diventarono così fulminei che Reltix si trovò privo del distorsore senza capire come fosse successo. Andro gettò l’arma a Orian e afferrò il gigantesco Reltix per le braccia costringendolo a lasciare la donna.

Reltix lasciò Alnylam e afferrò Andro  sollevandolo con la sua forza erculea intenzionato a scagliarlo a terra. Andro non mollò la presa e calciò Reltix all’inguine.  Il gigante urlò di dolore e, furibondo, tentò inutilmente di azzannare l’androide che lo strinse alla gola. I due rotolarono nella polvere, cercando di sopraffarsi ma, alla fine, Andro stordì il gigante con un poderoso colpo a mani unite sul capo. Il cranio di Reltix scricchiolò e prese a sanguinare. Reltix rimase a terra stordito, ansimante, fissando con odio Andro che si alzava  avvicinandosi ad Alnylam per accertarsi che stesse bene.

 Ilya liberò il vecchio e Alnylam ordinò:

 - All’astronave! -

 I quattro terrestri presero fra le braccia il moribondo, a cui il veleno del cobra stava irrigidendo i muscoli, e tornarono verso l’astronave mentre Orian e Andro ne proteggevano la ritirata.

 Reltix si rialzò, schiumando di rabbia e ordinò ai suoi sudditi di attaccare.

Orian puntò il distorsore sul terreno davanti ai pigmei, mise a fuoco e premette lo start: una fetta del terreno scomparve,  i pigmei si ritrovarono sull’orlo di un vallo profondo tre metri. Arretrarono spaventati.

 Reltix socchiuse gli occhi in un'espressione di odio furioso. Aveva la mascella serrata dalla rabbia. Quando si accorse che tutto il suo popolo non gli obbediva più, snudò un coltello e cominciò a colpire all’impazzata.

 Allora Andro estrasse una pistola laser e centrò Reltix con un raggio mortale. Il gigante cadde a terra con un tonfo sordo. I pigmei restarono fermi per alcuni secondi, guardando il corpo del loro tiranno, temendo che si rialzasse. Un sottile fumo si levava dal corpo di Reltix insieme all’odore nauseante di carne bruciata. Non si sarebbe sollevato mai più.

I pigmei esplosero in urla di gioia. Il più aitante di loro si avvicinò al cadavere di Reltix, gli tolse le insegne del comando, raccolse il bastone con l’effigie del serpente e lo depose ai piedi di Alnylam e di Andro. Alnylam prese quell’insegna di comando e la ridiede al pigmeo:

 - Proteggi il tuo popolo con onore ed esercita il potere con saggezza. Conoscendo il vostro antico comportamento sulla terra sono certa di consegnarlo in buone mani.-

 Il pigmeo commosso si inginocchiò:

 - Non dovrai mai pentirti del compito che mi hai affidato. Io prometto, davanti a tutto il mio popolo, di governare con giustizia, coraggio e  onore e se mancherò anche a uno solo di questi doveri il popolo avrà il potere di destituirmi.-

 Alnylam si avvicinò al pigmeo e gli pose sul capo le insegne prese a Reltix:

 - Io mi fido di te perché hai deposto ai nostri piedi i simboli del potere, non te ne sei appropriato. Per questo, con l’autorità che mi viene da Terra, te ne faccio dono. -

 Tutti i pigmei si inginocchiarono e quando Alnylam accese i motori, balzarono in piedi salutando l’astronave con urla e applausi.

 L’astronave si innalzò nel coro di giubilo dei piccoli uomini liberati.

  

Le sfere fluttuanti 

Werner, Liam, Bryan, e Jiri hanno il volto sfigurato dall’accelerazione. La scialuppa si stacca dall’astronave con uno scatto a 9 g.

Appena in tempo.

L’esplosione silenziosa alle loro spalle scaglia intorno schegge di quella che è stata la loro casa negli ultimi cinque anni.

Werner urla un nome ma le sue corde vocali sono bloccate dall’accelerazione. Il suono che esce dalla sua bocca è quello di un corpo che si lacera.

 - Bryan, guarda spento! – ordina Liam, e Bryan  deve liberarsi dai pensieri di morte e pensare l’ordine mentale che impone al computer di bordo di bloccare l’immissione di atomi nei motori all’iridio.

 Non c’è più bisogno di ordinare con lo sguardo come nelle navi del XXI secolo, basta pensare l’ordine e i sensori stampati nel casco trasformano il pensiero in segnale radio per i computer di bordo, ma i comandi verbali sono rimasti quelli di una volta.

Anche il cervello umano è rimasto quello di una volta, e dopo una tragedia in cui sono morti tutti i tuoi amici, dissolti i nuclei di convivenza, pensare comandi tecnici non è facile.

 L’accelerazione crolla a zero e Werner chiude gli occhi per uno spasmo doloroso alla gola, come se una mano as­sassina l’avesse artigliato.

Jiri e Bryan sono immobili. Bryan sembra di cera. Jiri ha una sfumatura grigia sulla sua pelle scura.

Werner gira la testa e vede spegnersi, come in un film senza so­noro, l’ultimo bagliore del fuoco d’artificio, ciò che era stata la loro astro­nave.

 - Sheena …- singhiozza. Serra le palpebre e le lacrime si stac­cano dai suoi occhi e fluttuano, tutt’intorno, perline acquose di dolore, nell’abitacolo, aspirate piano dai convogliatori.

Liam guarda in alto: enorme nel cielo c’è un pianeta verde ri­gato da colonne di vapori candidi.

 - Guarda tre. – dice atono a Bryan che muove il capo dando un’occhiata ai sensori che captano il comando mentale.   La scialuppa ha una vibrazione lieve e il pianeta ora è sotto di loro.

- Angolo 32 –

 Pensieri involontari dilagano nei lobi frontali di Bryan: nessuno ha avuto il tempo di soffrire. E poi che cos’è la morte? Il tempo? lo spazio? Più si affonda in quelle distanze e più perde di senso.

Il meteorite che ha colpito la grande astronave “Universe Ex­plorer VII”, bucando gli schermi protettivi, non era più grosso di un pallone da basket ma ha avuto l’effetto di una piccola atomica.

Loro quattro, i soli superstiti, sono riusciti a salire sulla scia­luppa di salvataggio e  tentare quella disperata manovra di atter­raggio su uno dei pianeti che ruotano intorno a Sirio. Gli altri son tutti morti…. ma lui, Bryan,  deve pensare “angolo 32”…

 -  Stiamo entrando nell’atmosfera del pianeta. - dice Liam.

 La scialuppa sgroppa come un cavallo al rodeo.

Jiri spalanca gli occhi, ammucchiando il dolore in un angolo remoto del cervello. Guarda lo schermo del controllo giro­scopico e  annuncia il problema:

 - Destra bloccata. Orbita automatica impossibile. -

 Il pianeta verde è sotto i loro piedi e la scialuppa vi sta precipi­tando.

Liam sgancia il calcolo automatico dell’orbita:

 - Uso i comandi manuali. Qual è la finestra di ingresso?-

 Ora la scialuppa salta nell’impatto dell’atmosfera del pianeta come un sasso sull’acqua di uno stagno e, a ogni sobbalzo, un lampo accecante di un sole bianco crea un effetto stroboscopico sui volti dei quattro astronauti.

 - Undici gradi. Sotto i dieci rimbalziamo fuori dall’atmosfera. Fino a tredici potrebbe reggere, poi diventiamo cenere.-

 Liam annuisce. Una fastidiosa goccia di sudore supera le so­pracciglia e gli brucia in un occhio. Scuote la testa per staccarla dal volto.

 La densa atmosfera in cui stanno precipitando diventa rossa. Un suono lamentoso fa vibrare la scialuppa come fosse la vecchia scatola di una giostra.

 -  Sistema warp fuori uso. Si è staccato uno dei razzi di frenata.- riesce a dire Jiri con voce chiara sentendo allentarsi le cinghie di trattenuta poiché sono in caduta libera. La sua pelle diventa ancora più grigia.

 - Pronti per l’impatto…- dice Liam come se annunciasse un manovra di routine, mentre una palla di fuoco avvolge la scia­luppa -   La gravità è più bassa che da noi, ci fracasseremo più dolcemente…buona fortuna a tutti! - riesce ancora a dire Liam Gli occhi degli astronauti gridano un terrore senza suono, perché non c’è fortuna bastante nell’universo per sperare di sal­vare la pelle. Poi lo scoppio.

 Big bang e big crunch si baciano fuori dal tempo e dall’entropia.

Silenzio.

 Dalla nuvola di polvere che si leva con lentezza dal cratere, i resti della scialuppa sono contorti e semifusi dall’attrito. Diffi­cile immaginare dei superstiti. 

*****

 Ma in un altro dove, i quattro astronauti riaprono gli occhi: sono vivi, sono nudi, non hanno ferite.

Si intravedono l’un l’altro, chiusi in bolle iridescenti, sospesi dentro  una grande sfera trasparente oltre cui fluttua un mondo acqueo che pare senza  confini. Una specie di acquario alla ro­vescia.

Fuori, in quella luce opalescente, verdastra, ondeggiano alghe di vari colori e si innalzano strutture, che potrebbero essere co­ralli, in un gioco di riflessi che vanno dal rosa al rosso fuoco, dall’azzurro al cobalto. Milioni di piccoli animali dalle forme bizzarre giocano a nascondino nel fluttuare lento delle alghe.

 In mezzo a quella nuvola di vita, nuotano umanoidi con minu­scole narici e con grandi occhi stellati turchese e oro. Si affol­lano contro la parete trasparente, guardandoli con curiosità. Hanno teste ovoidali e bocche stupite ma prive di denti. Si fanno avanti muovendo con grazia le loro mani, parzialmente palmate, e le loro lunghe criniere verdi fluttuano nell’acqua, avvolgendoli come veli evanescenti.

 Liam si accorge che uno di quegli esseri è in piedi accanto alla sua bolla: ha la criniera bianca con un vago ricordo di verde e occhi intelligenti al centro di una rete di minuscole rughe.

Il corpo, alto e sottile, è avvolto in un velo, ricamato con tre grossi cerchi: di cui due bianchi, uno grande e uno piccolo, e un terzo, ancora più piccolo, di un rosso cupo, quasi viola.

 L’alieno sembra trovarsi benissimo fuori dall’acqua e infila la cannula di quello che a Liam pare un narghilè, nella bolla dell’astronauta, poi mima il gesto del succhiare.

Liam ha qualche difficoltà a tenere a fuoco le immagini. Muove le dita delle mani, come per provarle.

L’alieno ripete il gesto, invitandolo a succhiare dal tubo che ha introdotto nella bolla.

Liam esita, poi si porta il tubo alle labbra e aspira. Un li­quido fresco e profumato gli riempie la bocca.

I suoi compagni, nelle bolle vicine, lo fissano immobili. Solo Werner sembra ben sveglio e gli fa disperati segni negativi, urla “non farlo” ma il suono non supera il muro trasparente della bolla.

Liam, capisce, ma si stringe nelle spalle e ingoia. Il liquido rin­frescante gli scende nello stomaco e si diffonde in lui una sen­sazione di benessere.

Altri umanoidi dal crine verde, i corpi sottili, anch’essi avvolti solo di veli, si avvicinano, camminando leggeri, con una grazia dondolante fa­vorita dalla bassa gravità del pianeta. Bucano le bolle offrendo ai compagni di Liam delle cannule per succhiare.

Liam aspira un’altra sorsata e sorride ai compagni facendo loro cenno di bere.

Bryan e Jiri assaggiano il liquido, Werner  rifiuta,  diffidente, poi, vedendo che i compagni sembrano trarre beneficio da quel succhiare, beve anche lui.

 L’euforia si impadronisce dei quattro terrestri che tentano di rompere le pareti delle bolle che li separano, per correre a riab­bracciarsi, ma la sottile pelle traslucida delle bolle è troppo resi­stente.

L’alieno dalla bianca criniera leva alte le sue mani palmate e i terrestri si fermano. Le batte cinque volte una contro l’altra con una particolare cadenza. Si accende un luce cremisi nella sala e le bolle appassiscono, afflosciandosi ai piedi degli astronauti che corrono ad abbracciarsi e a scambiarsi manate per felicitarsi di essere ancora vivi.

 L’alieno dal crine bianco si porta una mano sul petto e pronun­cia con una voce sottile, quasi lo squittio di un delfino, una pa­rola che a Liam suona come : Ki-li-li. Risponde con lo stesso gesto, sillabando il proprio nome “Li-am”.

 Due alieni offrono ai terrestri delle tuniche simili alle loro e i quattro si coprono. Poi uno degli alieni offre loro, a palme aperte, quattro grosse perle. I ter­restri le prendono con cenni di ringraziamento. Jiri scherza:

 - Se noi siamo gli Esploratori dell’Universo, ambasciatori del pianeta Terra, questa è corruzione…-

 Gli risponde una voce flautata e gradevole:

 - Devi premerla sulla fronte.- 

 E’ l’alieno dalla criniera candida che ha parlato: ha sulla fronte una di quelle perle che però ora pulsa in tonalità blu. Continua:

 - Benvenuti. Ripeto il mio nome, mi chiamo Kai-lo-lo. Noi emettiamo suoni che vanno oltre la vostra scala di percezione uditiva e voi invece emettete suoni che sono in parte sotto la nostra soglia di percezione. La perla risolve i problemi. E’ un tra­duttore dei pensieri volontari. Il sistema più facile per usarlo è parlare la propria lingua. Io sento i tuoi pensieri volontari nella mia lingua e tu senti i miei nella tua. Da dove venite? Abbiamo faticato molto per rimettere insieme i vostri corpi e spero di non aver fatto errori importanti. -

 I terrestri si scambiano un’occhiata.

 Liam pensa che Bryan sembrava meno peloso e forse Werner… non aveva una cicatrice sul volto? Certo che l’aveva, ma adesso è liscio come un neonato. Jiri si guarda le mani: nero era e nero è rimasto. Dice a Liam, ironico:

 - Liam, tu mica avevi tutti quei bei capelli rossi! Eri molto più stempiato e… mi sa che ci hanno ricomposti e migliorati…-

- Amici - la voce di Kailolo è morbida e calda – il nostro rico­struttore cellulare è stato costretto a fare copie di copie molte volte. Non può farlo senza qualche infinitesimo errore. E’ una legge di natura che spero conosciate.-

- E’ alla base del mutare della vita…- azzarda Liam e Kailolo annuisce soddisfatto.

- Tu sei il re? -

- Che vuol dire “re”? – chiede il vecchio.

- Voglio dire, tu sei il capo qui? Quello che comanda?-

- Qui nessuno comanda, qui tutti obbediamo ai codici dell’amicizia e della collaborazione. Ognuno porta in sé una parte di quello che la nostra civiltà è riuscita a capire dell’universo, più si invecchia più quella parte aumenta. Io sono il più vecchio quindi ho diritto al titolo di “Grande Saggio”, co­lui che sa tutto. Ovviamente “tutto” significa “tutto quello che sappiamo noi, adesso”…- la bocca senza denti si stende in un sorriso – ma non ci avete ancora detto da dove venite.-

- C’è una stella a otto anni e otto mesi luce da qui, che noi chia­miamo “Sole”. Intorno a Sole girano molti pianeti. Noi prove­niamo dal terzo, partendo dalla stella. Lo chiamiamo “Terra”.-

- Forse so di quale stella parli: è una doppia di lungo periodo.-

- No. La vostra stella è doppia, la nostra no.-

- Il nostro sistema è triplo. La compagna bianca di Farakai, il nostro sole, è molto piccola ma molto densa. Noi la chiamiamo Pi-tolo e compie 5 giri intorno a Farakai nel tempo in cui Nommo,  completa una sola orbita. La seconda compagna è una stella rossa che ci ha aiutato a stabilizzare l’orbita di Nommo.

- Nommo è il nome di questo pianeta? –

- Certo, sì. Se vuoi, è la nostra… come dici tu? ah sì, Terra. Ve­nite che vi mostro…-

Kailolo fa strada ai quattro astronauti in un tunnel trasparente ma flessibile, circondato da ogni lato dall’acqua e nell’acqua si vedono molti volti umanoidi che fissano i terrestri coi loro grandi occhi curiosi,  le criniere verdi fluttuanti.

 - Quel liquido è acqua, vero? H2O. Ossia la molecola con un solo elettrone che…- 

Liam si interrompe: ha incontrato gli occhi grandissimi e dolci di uno di quegli alieni che, al di là della barriera trasparente, lo fissa con amore. Quei corpi sembrano asessuati, sono belli ma efebici, eppure Liam sente che quell’alieno dev’essere fem­mina.

 - Sì, ho capito. Acqua. Noi diciamo “uela” che qui vuol dire an­che “vita”. Siamo anfibi, respiriamo sia questa miscela di gas, “aria” dite voi, che uela, cioè acqua.-

 Anche Kailolo si interrompe e seguendo lo sguardo di Liam ar­riva al volto dell’alieno che sorride. Il Grande Saggio gli fa un lieve cenno di saluto.

 - Chi è? - chiede Liam.

- Il mio miglior uovo… - sorride Kailolo mentre il volto si illu­mina di affetto paterno.

- Figlio o figlia? – chiede ancora Liam. Kailolo lo guarda di­vertito:

- E’ ancora giovane, non vedi? Nessuno dei due per ora. Tra poco sarà la notte della riproduzione e allora i corpi sessueranno. -

- Scusa, Kailolo, vuoi dire che non nascete maschi o femmina ma lo diventate solo a un certo punto della vita? –

- Certo. Perché voi… uh, sesso fisso dalla nascita! Come mai tutti maschi?-

- Siamo i soli superstiti. Le nostre donne sono morte. – risponde Werner cupo.

- Scusate l’osservazione sciocca di uno straniero. – e china il capo. 

Si allontanano lungo il tunnel e Liam guarda un’ultima volta quei grandi occhi che lo seguono e quel corpo sottile, diafano e sinuoso che pinneggia, lento, nell’acqua. E’ sicuro che quella è una femmina.

 *****

 Il planetario è spettacolare, la volta celeste sembra così lontana che per un attimo gli astronauti credono di trovarsi all’aperto. Le stelle sono disposte a formare disegni diversi da quelli che si vedono da Terra.

 - Anche voi avete disegnato figure nel cielo, seguendo i puntini delle stelle? – chiede Jiri.

- Oh, sì, nei tempi antichi. Da allora Nommo ha compiuto più di cinquemila orbite intorno a Farakai. Eravamo primitivi e non sapevamo che le stelle fossero immerse in un universo a più dimensioni, e che quei disegni sono solo frutto della prospet­tiva. Eravamo così sempliciotti che usavamo quei disegni appa­renti per fare delle predizioni sulla nostra vita…-

- Anche su Terra! Uguale! – ridacchia Liam – La stupidità è universale come l’intelligenza…-

- Io sono nato sotto il segno della Vergine… - interloquisce Bryan.

- Sembri nato sotto il segno del …- ride il nero, toccandosi i testicoli, appena velati dalla tunica.

- Non capisco. Che significa? – chiede il vegliardo scuotendo la criniera bianca.

 I tre ridono. Solo Werner resta scuro e assorto in se stesso e nel suo dolore.

Liam indica uno dei suoi testicoli e poi aggiunge:

 - Noi abbiamo due ghiandole maschili, dove si forma la nostra discendenza, però, non so perché,  usiamo il loro nome anche come sinonimo di stupido.-

 Kailolo dà un’occhiata a Werner e poi di nuovo a Liam che fa una smorfia a significare “sofferenza”. Kailolo capta il senso della smorfia: nonostante la loro diversità, le espressioni del viso comunicano abbastanza bene i reciproci sentimenti. Fa un gesto con le mani e il cielo ingrandisce con un effetto quasi pauroso, come se la Via Lattea scendesse a schiacciarli.

Ora ci sono meno stelle nella proiezione sulla volta scura. Una di esse è molto più grande delle altre, molto più vicina.

- Quella è la nostra stella Prossima. – dice l’alieno, indicandola.

 Liam medita un poco sulla nuova mappa e poi punta un dito su una stellina di modesta grandezza quasi all’orizzonte dello schermo semisferico:

 - Noi veniamo da là. Quella è Sole. La vostra Prossima noi la chiamiamo Epsilon Eridani, e quella a destra è Tau Ceti e poi UV Ceti e, laggiù, Alfa Centauri, che è la nostra Proxima, anche se c’è la stella di Barnard che è più vicina ma è stata scoperta dopo. Noi Farakai la chiamiamo Sirio ed è una delle stelle più belle del nostro cielo. Nei tempi antichi aveva una luce rossa, probabilmente per una nuvola di polvere interstellare che passò tra i nostri due sistemi solari.-  

Kailolo annuisce come se le parole di Liam confermassero un suo sospetto:

 - Sì, temevo che veniste da Mosh. Noi così chiamiamo il vostro sistema solare. Una decina di pianeti inabitabili e uno troppo abitato…

- Conosci il nostro mondo? – Werner esce dalla sua cupa me­ditazione, ma la sua è una domanda dal tono ostile, aggressivo.

 - Non è possibile che io lo conosca com’è ora. – lo scruta Kai­lolo mentre risponde con grande lentezza - Non ci può essere correlazione di tempo tra due sistemi lontani, però l’hanno co­nosciuto i nostri padri e hanno vietato il sistema alle nostre navi.-

- Avete navi interstellari? – Werner ora è fin troppo interessato.

- Sì. Dieci orbite di Nommo fa, le nostre navi arrivarono al si­stema Mosh, ma quello che trovammo non piacque ai Saggi. Una leggenda dice che in quel sistema vivevano umanoidi che si massacravano in preda a una follìa genetica, collettiva e permanente. Così è un’area proibita per noi e, se ve­nite da là, temo che non potremo lasciarvi tornare: Mosh è in quarantena.-

- Ma è quasi un secolo che non ci sono più guerre su Terra! – interviene Liam -Le ultime furono quelle atomiche limitate e preventive del XXI secolo! Dimezzarono la popolazione terre­stre e fu la lezione che ci fece rinsavire. –

- Potete tranquillamente rimandarci a casa! Non siamo contagiosi. - interviene Werner con sarcasmo.

- Abbiamo un governo mondiale, una polizia mondiale e nessun esercito…- precisa Liam che dà un’occhiataccia a Werner.

- Questa è una buona notizia. La comunicherò agli altri Saggi e, prima o poi, organizzeranno una spedizione di controllo. – è la serafica risposta di Kailolo.

- Prima o poi, quando? – insiste Werner, contrariato. Kailolo gli sorride:

- A che velocità avete viaggiato per arrivare fino a Farakai?-

- Sirio dici?- chiede Werner. Interviene Liam

- A 0,98 la velocità della luce. -

- Che sistema usate per contare? -

- Decimale. – risponde Liam e, solo ora, si accorge che le deli­cate mani palmate di Kailolo hanno quattro dita. Kailolo indovina il pensiero che sta dietro a quello sguardo e annuisce:

 - Noi abbiamo, ovviamente, un sistema ottale. Ma è facile la tra­sformazione… e comunque in questo caso è vicino all’unità. Allora avete già la risposta. -

- Sì, ma…- tenta di interloquire Jiri-… almeno per radio…-

- Sappiamo che, mentre noi stiamo parlando qui, gran parte della gente che conoscevamo su Terra è morta di vecchiaia, anzi Sole potrebbe essere esploso e lo sapremmo solo fra otto anni e di­spari, tuttavia non credo sia giusto che ci impediate di tornare. - dice Liam.

- Forse hai ragione. Sottoporrò la questione ai saggi. -

- Quando? – chiede ancora Werner, aggressivo, e Liam lo calma rispondendo al posto di Kailolo

- Te l’ha detto: prima o poi.-

Kailolo scuote la criniera bianca ed emette una squittio che forse è una risata.

 Ancora gocciolante d’acqua, l’alieno dallo sguardo dolce che ha colpito Liam, entra nel planetario e porge le palme a Kailolo che le sfiora con le proprie. I due squittiscono suoni rapidi dai toni molto alti, poi Kailolo si volta verso Liam

 - Kai vuole conoscerti.-

 Liam si sente colmare il cuore di emozione, è attratto da quella creatura. La sente femmina, è attratto dal velluto buio che vede in quelle pupille verticali che suggeriscono qualcosa di felino.

 Kai allunga le sue piccole mani palmate verso Liam che ci ap­poggia sopra le proprie: nel confronto, le sue sembrano zampe pri­mitive ed enormi. Le mani di Kai sono calde. Forse è un’impressione dell’astronauta ma gli sembra che il verde sof­fuso della pelle umida dell’alieno sia diventato più intenso.

Kailolo squittisce qualcosa e Kai si ritira con un lieve inchino. Il Grande Saggio torna a rivolgersi agli astronauti: 

- Questi giovani d’oggi fanno cose molto poco educate. Non ci si presenta bagnati a un ospite asciutto. Doveva essere ansioso di toccare le tue mani perché non si fermato a sufficienza nell’asciugatore. -

 Bryan sogghigna dandogli di gomito:

 - Attento, hai sentito, potrebbe diventare un lui… -

 Kailolo continua a spiegare: il pianeta ha una sola grande massa continentale che ha lo stesso nome del pianeta, ma poiché gli Oannes, come gli abitanti anfibi di Nommo chiamano se stessi (almeno nella traduzione sonora che ricevono i terrestri),  pos­sono vivere nell’acqua come nell’aria, le loro città sono in parte emerse e in parte sommerse, tranne alcuni santuari sui monti e alcune stazioni scientifiche costruite nelle fosse dell’oceano. 

*****

 Sirio tramonta sulla linea sfumata dell’oceano, ancora accecante nel cielo che incupisce la sua sfumatura verde dovuta al cloro nell’alta atmosfera. Molto vicino alla grande stella splende un secondo sole, più piccolo ma altrettanto brillante, mentre un terzo sole rosso cupo aumenta la sua luce mano a mano che si addensa l’oscurità della notte. La nana bruna non riesce a far giorno, ma bagna tutte le cose di una luce color sangue e ogni cosa sembra mutare forma e senso in quest’ombra cupa..

 La città degli Oannes si estende in altezza e in larghezza, supe­rando la linea della spiaggia formata da fine sabbia verde e im­mergendosi nell’oceano tranquillo, dando l’impressione, ai quattro terrestri, di una città allagata da un bradisismo.

 Dall’oceano si leva una brezza fresca e Liam rabbrividisce: il suo corpo è solo avvolto nel velo ricamato che indos­sano gli abitanti anfibi di Nommo, “i ranocchi” come li chiama con disprezzo Werner che ora sta ritto sugli scogli, a un passo da dove si frangono le onde tranquille della sera.

 Liam si muove verso di lui ma è fermato dalla voce sensuale di Kai:

 - Perché quel tuo compagno sembra arrabbiato con noi? –

- Perché gli avete ridato la vita. Era morto e preferiva restarlo. Ha perso la sua donna nella distruzione dell’astronave. –

- Oooh…. – mormora Kai e Liam vede quei grandi occhi alla­garsi di lacrime. Un colpo rapidissimo della membrana nitti­tante cancella quel pianto – Ora capisco. -

 Liam è imbarazzato da quel dolore. Nessuno di loro ha pensato davvero alla perdita subita da Werner, troppo lieti di non essere morti. Guarda il cielo.

 - Tre soli… stupendo. – cambia discorso Liam  – specie per noi poveri terrestri che ne abbiamo uno solo…-

- Mi hanno detto che anche la tua stella è doppia, però la com­pagna secondaria ha un’orbita molto ellittica che la porta nel vostro cielo solo una volta ogni 25 mila delle orbite del tuo pia­neta intorno al suo sole. –

- Nemesi… - mormora Liam - Abbiamo una leggenda che ne parla: avvicinandosi a Sole disturberebbe l’alone di comete e asteroidi che precipiterebbero su Terra tanto da provocare estin­zioni di massa. Ma è solo un’ipotesi, non siamo mai riusciti a vederla, neppure uscendo dal sistema solare.

 Kai si è fatto più vicino a Liam mentre le stelle Farakai e Pitolo tramontano sparendo nell’oceano in una luce cremisi. Il terzo sole rosso cupo è alto nel cielo e tutto il panorama acquista una tonalità color rubino, l’oceano si fa iridescente e persone e cose paiono dipinte coi colori improbabili di un computer ubriaco.

 - Non la potete vedere perché è una stella nera. –

- Però voi l’avete vista. -

- La nostra civiltà è più antica, Li-am -

 E’ la prima volta che Kai pronuncia il nome del terrestre e il suono che sente Liam ha una risonanza erotica che lo coglie di sorpresa.

 - Ripeti il mio nome, per favore.-

- Li-am…- sussurra Kai e i suoi occhi sembrano fondersi in quelli del terrestre che prende, fra le sue cinque dita, le quattro dita sottili e palmate di quell’anfibio verde chiaro.

 - Ma … hai la febbre, Kai… - L’alieno sorride e impallidisce un poco, forse è un segno di imbarazzo. Sussurra:

- La nostra temperatura di base è più alta della vostra e poi si avvicina la notte della riproduzione, la notte del grande amore universale…-

- Ah sì. Me ne ha parlato Kailolo… è tuo padre, vero? –

- Oh sì, è padre mio e di tante altre uova…

 Liam si sente a disagio, lascia la mano palmata di Kai e cerca un terreno più neutro di chiacchiera:

 - Cos’è? Una cerimonia? -

- Anche …- sussurra Kai.

- E’ la notte in cui ognuno di voi diventa maschio o diventa femmina. Così mi ha detto tuo padre. -

- Sì…- annuisce Kai e la sua criniera al vento della sera sembra percorsa da un brivido.

- E tu sai che cosa diventerai…? - Liam sente che la sua voce è diventata roca. Si irrita per le emozioni che il corpo manda, suo malgrado, al cervello: mica starà innamorandosi di un ranoc­chio, no?

 - Se stai vicino a me, diventerò femmina…- dice Kai, ed è la più strana dichiarazione d’amore che il veterano Liam abbia mai sentito.

 Dopo un lungo silenzio, Kai mormora:

 - Dopo la cerimonia, all’alba dei tre soli, noi giovani dovremo partire.-

- Per andare dove? –

 Kai fa un gesto vago indicando il cielo:

 - Nessuno chiede a un seme portato dal vento dove vuole an­dare…-

 Liam guarda quella bella creatura, con la lunga criniera mossa dalla brezza, che sembra invasa da una struggente nostalgia per qual­cosa che è nel suo futuro e non nel suo passato. Il terrestre leva gli occhi al cielo dove iniziano ad apparire le stelle più lumi­nose che il sole rosso non riesce a cancellare. Intorno a quelle stelle ruotano pianeti: miliardi di miliardi di mondi in attesa di un seme…

 *****

 La mattina seguente, con i tre soli di Nommo alti nel cielo, gli alieni guidano i terrestri verso il luogo in cui è caduta la loro scialuppa.

 Il pianeta Nommo ha una massa di circa 2/3 di quella terrestre e quindi i quattro astronauti si sentono più leggeri e spiccano balzi impossibili sulla Terra, cosa  che diverte particolarmente Bryan che dieci anni prima aveva partecipato ad una olimpiade di salto in alto senza arrivare ad alcuna medaglia.

 Giunti sul bordo del cratere scavato dall’impatto, la vista del relitto della scialuppa di salvataggio avvilisce i quattro naufra­ghi: non si è salvato nulla e certamente anche i loro corpi dove­vano essere a brandelli in mezzo a quelle lamiere che già ini­ziano a corrodersi per la componente di cloro che c’è nell’aria.

 - Vi dobbiamo la vita, a quanto pare…- borbotta Werner che scende in mezzo ai resti semifusi.-

  Kailolo scuote la testa:

 - Noi abbiamo solo rimontato i vostri corpi. La vita che era in voi non ve l’abbiamo certo data noi. –

- Però dovete conoscere bene la nostra biologia. – risponde Werner scostando i pezzi di ceramica cotti dal fuoco dell’attrito. Qualcosa attira la sua attenzione: c’è un dito semicarbonizzato rimasto incollato al montante di quello che forse era un seggio­lino da pilota, e ha un anello di diamante, sporco di fuliggine, ma intatto. Werner si china e con mano tremante recupera quell’anello, lo accarezza con amore, pulendolo, baciandolo.

 Jiri attira l’attenzione di Liam:

 - Werner ha trovato l’ MR… gliel’aveva dato Sheena e lei aveva quello di lui.-

 Il Grande Saggio li guarda con aria interrogativa e Liam spiega, sottovoce:

 - Si chiama MemoRing. Molti di noi lo portano. Registra tutto quello che uno vede e sente. I pensieri e le sensazioni. C’è un software nell’anello che mantiene il costrutto della personalità. Quando il suo portatore muore l’anello prende il posto della persona: lo si può interrogare, parlarci, ragionarci, come se la persona registrata fosse ancora viva.-

-         Interessante… - sorride il vecchio – Così potete parlare con i vostri grandi pensatori come se fossero vivi. -

- Sì, è una specie di immortalità sociale. Va benissimo per con­sultare le menti migliori della Terra dopo la loro morte, ma è negativo se usato per parlare con i familiari scomparsi. Impe­disce di elaborare il lutto…

 Infatti Werner sta singhiozzando mentre davanti a lui, alta ap­pena trenta centimetri, c’è l’immagine olografica di Sheena che gli parla:

 - Non devi piangermi. Ci siamo scambiati gli anelli per essere una sola cosa e se siamo una cosa sola io sono viva in te, Wer­ner.-

 Kailolo prende per un braccio Liam e lo distoglie da Werner in­camminandosi. Liam fa cenno agli altri di seguirlo e lasciare Werner solo.

 - Non siete mica speciali: possiamo capire anche noi il dolore per la perdita di una compagna. -

- Non solo non siamo speciali, ma mi sembra che siamo uguali in un modo quasi imbarazzante. Ci aspettavamo di incontrare forme di vita molto diverse da noi, invece…-

- Tutta la vita che noi abbiamo incontrato finora è basata sulla chimica dell’elemento sei.-

- Su Terra lo chiamiamo “carbonio”. -

- Va bene, carbonio. L’elica genetica è sempre la stessa sui mondi che abbiamo visitato, probabilmente la vita si è tra­smessa da un pianeta all’altro con le polveri, le comete, gli aste­roidi e  i meteoriti. Oppure è un processo automatico in tutto l’universo. Voi avete un po’ più di carbonio e un po’ meno dell’elemento numero 21… no, un momento, sto contando in ottale, per voi, che siete decimali, è il numero 17. –

- Cloro. Per questo avete una sfumatura verde.-

- Sì, e in certe circostanze emaniamo anche una lieve fluore­scenza. -

- Abbiamo la stessa genetica? – chiede con interesse  Liam su­scitando il sogghigno di Bryan che da di gomito a Jiri.

 - Sì.- annuisce Kailolo facendo ondeggiare la criniera. - Molti dei nostri geni sono identici ai vostri, molti sono alleli perfetta­mente compatibili e le diversità negli introni non sono tali da renderci aspecifici.-

- Anche le vostre basi sono adenina, guanina, citosina e ti­mina?-

- Noi abbiamo dato loro altri nomi ma, dai confronti fatti coi vostri corpi, una delle nostre basi è diversa, però voi l’avete nella molecola che funge da messaggero, e codificano per gli stessi aminoacidi, quindi formiamo proteine quasi sempre uguali. -

- Potrò dare un’occhiata in un laboratorio? Forse la vostra base diversa è quella che noi chiamiamo uracile.

- Quando vuoi. I nostri laboratori sono il miglior luogo per fare amicizie.-

- E’ stupefacente. Un viaggio nell’infinito per trovare le stesse cose che ci sono a casa…-

- Non capisco il tuo stupore: la vita sembra essere  una sola in tutto l’Universo perché è soltanto l’atomo sei, come dite? Car­bonio, giusto? Solo il carbonio ha facilità nel creare lunghe catene molecolari. La vita intelligente poi ha bisogno di gambe per spostarsi, di mani prensili per maneggiare gli oggetti e i sensi di input collocati in alto e vicino al cervello.-

- Mmh. Sì, però avreste potuto essere polpi… - sorride Liam.

- Oh sì. Prima di noi si stava evolvendo una specie di polpi in­telligenti, ma ci fu una catastrofe che prosciugò il nostro oceano e i polpi morirono tutti.  Si salvarono alcuni anfibi semplici e noi discendiamo da essi. Polpi o umanoidi la vita è una nell’universo e noi siamo e vogliamo stare in armonia con essa. Per questo il vostro sistema è stato isolato. Ho rievocato l’accaduto nella nostra memoteca. I nostri avi atterrarono sul vostro pianeta tra le  otto e le dodicimila orbite prima che voi lasciaste il vostro mondo.-

- Anni…-

- Sì, fra gli otto e i dodicimila dei vostri anni fa. Eravate primi­tivi ma ci accoglieste bene in una piccola città che si chiamava Eridu. Vi insegnammo la rotazione delle colture agricole, a fondere il rame e farne bronzo. Ma subito ne faceste armi per uccidervi tra di voi. E non solo: anche alcuni dei nostri vennero sgozzati e vi ornaste con le nostre criniere poste sugli elmi da guerra.-

- Parli di tempi primitivi. Qualcosa è cambiato in questi mil­lenni, non credi?- tenta Liam per scusarsi. Kailolo scuote la cri­niera.

- Avevamo lasciato degli osservatori nel sistema Mosh. Siete arrivati a sterminarvi fondendo e trasmutando il primo atomo nel secondo. –

- Tu dici l’idrogeno in elio. No. Le bombe atomiche a fusione non sono state mai usate contro nessuno. Purtroppo abbiamo usato quelle a fissione, spezzando l’ultimo atomo esistente allo stato naturale… ma anche questi avvenimenti sono lontani nel tempo, ormai.. -

- Tutto quello che è accaduto, accade. Il passare del tempo è un’illusione della termodinamica. Abbiamo dato un’occhiata ai vostri motori, usate anche voi i circuiti distorsori, sia pure pri­mitivi, quindi sapete che lo spaziotempo non esiste, ma esistono solo i campi gravitazionali e li distorcete per muovervi in essi.-

- Sì, sì…- sbuffa Liam – ma questo vale per la fisica di base, noi siamo esseri termodinamici e per noi il tempo passa. –

- Vero. Però passa in modo diverso a seconda dei diversi si­stemi inerziali. Non c’è un “adesso” che ci possa collegare con il vostro pianeta. “Ora qui” non è “ora là”. Ve lo insegnano a scuola, vero?-

 Liam annuisce. Il vecchio alieno, cambiando argomento, gli dà un colpetto su una spalla:

 - Andiamo – gli dice sorridendo - Dobbiamo affrettarci perché si avvicina la notte della ri­produzione e le nostre astronavi devono essere pronte. –

 - Non farlo… - gli dice l’icona di Sheena, come se gli leggesse nel pensiero.

- Tu sei morta per questa esplorazione e con te tutti gli altri. Terra deve sapere, Sheena, non ho il diritto di fare altrimenti- Werner spegne l’anello prima che l’icona della donna possa re­plicare.

 *****

 Gli Oannes guidano veicoli anfibi in grado di correre sia sulle strade asciutte che di immergersi nelle acque del mare.

Kai ride, criniera al vento, sfiorando le onde con il grande ovale trasparente privo di comandi e di meccanismi evidenti,  che ri­flette e rifrange le luci dei soli di Farakai in marcia verso l’orizzonte.

Liam, seduto accanto a lei, la guarda incantato, con un sorriso da innamo­rato.

 - Peccato che non ti posso far visitare il nostro museo storico! Tu respiri solo aria purtroppo…- esclama Kai mentre la perla che ha incastonata sul volto muta varie volte di colore.

 Liam ha notato che quando la perla traduce le parole, le emo­zioni di chi parla si riflettono balenando sulla sua superficie.

Il mezzo uovo vola rasente al suolo e rallenta avvicinandosi ad alcuni grandi edifici dalle linee dolci e curve, com’è nello stile architettonico degli Oannes.

 - E quelli che fanno? – Liam indica un centinaio di alieni seduti in grandi poltrone con grandi caschi calati sulla testa e sulla cri­niera. Liam ride:

- Va bene che avete la criniera, ma come mai tutti insieme dal parrucchiere? –

- Par-ruc-ciere…? -  ripete sillabando Kai.

- No, parrucchiere, quello che pettina i capelli… il pelo.. in­somma le criniere…il crinierologo o come voi lo chiamate!-

 Liam fa un gesto per dire che non importa.

Kai gli dà un’occhiata, esita, poi dice in tono leggero ma sotto cui si avverte una certa paura:

 - I saggi dicono che voi potreste essere ancora pericolosi. Loro hanno trovato nel vostro DNA un particolare concerto di geni che si esprimono insieme, diverso da tutti gli altri esseri viventi che conosciamo. –

- Un concerto? –

- Sì, insomma alcuni geni che abbiamo anche noi, in voi a volte “suonano” insieme e aumentano l’adrenalina e alcuni neurotrasmettitori. Quando succede questo, vi massacrate e massacrate chiunque abbiate davanti…-

 Liam ride.

 - Non siamo mica tutti assassini! – e, punto nell’orgoglio, continua la difesa della propria razza – Voglio dire, forse lo siamo anche stati, però adesso siamo personcine civili! – cerca di girarla in scherzo ma negli occhi di Kai rimane un’ombra di preoccupazione.

*****

 Jiri si sente scuotere e apre gli occhi. La faccia di Werner è china su di lui, con un dito sulle labbra. Jiri apre la bocca per parlare ma Werner gliela chiude con l’altra mano. Ha un bigliettino e, accertatosi che Jiri abbia capito, glielo mo­stra.

 “Vieni fuori fra cinque minuti, in silenzio.”

 Jiri legge e Werner stropiccia il bigliettino nel pugno e se ne va.

 Cinque minuti dopo Jiri esce dal dormitorio: il cielo è nero e pieno di stelle. La scia bianca della via Lattea è l’unica cosa  uguale al cielo terrestre in quel caos di soli scintillanti.

Werner lo prende sottobraccio e gli sussurra in un orecchio:

- Ho scoperto dove  tengono le astronavi. Non c’è nessuno di guardia. Possiamo prenderne una e tornare a casa.-

- Con un’astronave aliena che non sappiamo guidare?-

- Vieni con me. Andiamo a vedere se ci capiamo qualcosa.  Una volta nello spazio trove­remo le coordinate di casa.

 Jiri è incerto, vorrebbe avvisare anche Brian e Liam, ma Werner lo trattiene e gli sussurra che è meglio prima che verifichino loro due se è possibile.

Jiri si lascia convincere e segue Werner.

 *****

 Le astronavi non sono immense come quelle che Terra monta nel punto di Lagrange, vicino alla Luna. Sono navi che devono vincere la gravità di Nommo, che, per quanto più debole di quella di Terra, rende illogiche dimensioni troppo grandi.

Però sono decine di migliaia. Tutte già puntate verso il cielo stellato, come boccioli d’argento in attesa di fiorire.

Jiry si ferma stupito. Werner ridacchia:

 - Non male, eh?- e si dirige verso una delle astronavi della prima fila.

Jiri lo segue, preoccupato. Avvicinandosi ai grandi fusi argentei, si avvede che hanno delle sezioni trasparenti. Non ci sono giun­zioni di alcun tipo, sembrano coltivate più che costruite. Ac­canto ad ogni astronave c’è lo scheletro di una torre con un montacarichi.

Werner fa cenno a Jiri di salire e poi sale anche lui. Il montaca­richi parte e li innalza verso una bocca ovale che si sta aprendo nell’astronave. E’ talmente violenta la sensazione che sia viva e che quella bocca si appresti a ingoiarli che Jiri grida. Werner lo zittisce furioso:

 -  E’ solo uno sportello! –

 Tutto rimane silenzioso. Nessuno sembra aver udito il grido di Jiri. Il montacarichi si ferma davanti alla “bocca” e l’interno dell’astronave si illumina di una debole luce verde.

Spinge dentro l’astronave Jiri, la cui pelle nera sta diventando grigia in quella luce spettrale.

 - Ma tu ci sei già stato…? –

- Sì. due volte. Voi vi fate menare per il naso ma io non ci casco e mi son dato da fare. Non credi che sulla Terra debbano sapere che qui ci sono questi ranocchi sapienti? –

-  Ce l’hai con loro? Perché?

- Non ce l’ho con loro. Ce l’ho con voi. Ecco, guarda lì: quello dev’essere un comando warp. E quello là, con quella nicchia per 4 dita dev’essere il comando manuale di qualcosa. Forse l’accensione dei motori.-

- Ah. Forse, dici? O forse è un congegno di autodistruzione… Senti Werner, mi sa che sei diventato matto. Se loro non ci spiegano come si fa non potremo certo gui­dare questi cosi. -

- Giusto. Infatti me ne sono procurato uno. - Werner batte le mani tre volte e si apre una porta, prima invisibile, nella parete della cabina di comando. Dentro, legata e imbavagliata, coi grandi occhi sgranati di paura, c’è Kai!

 Jiri si precipita verso l’alieno per liberarlo. Leva il bavaglio a Kai che resta con le mani legate da un nastro adesivo.

 - Kai! -

 Jiri cerca qualcosa per tagliare il nastro che serra gli esili polsi di Kai :

 -  Werner è matto… -

 Jiri si blocca:  qualcuno gli ha puntato un coltello contro la gola. E’ Wer­ner:

 - Non voglio far del male a quel ranocchio, Jiri. Voglio solo che ci dica come si guida l’astronave. Dev’essere semplice. Qui tutto è semplice. -  

- Werner, per favore. Libera Kai. –

 Werner annuisce e con un colpo di lama taglia il nastro che lega le mani dell’alieno.

 - Spiega come si parte. – ordina.

 Jiri ne approfitta per buttarsi addosso a Werner e fargli perdere l’equilibrio. Urla:

 - Kai, scappa! –

 L’alieno esita e poi corre verso il montacarichi. Werner colpisce brutalmente Jiri dietro il collo e il nero crolla sulle ginocchia.

Werner cerca di fermare Kai ma ormai il montacarichi sta scen­dendo. Furibondo si volta e vede Jiri che si sta rimettendo in piedi, fuori controllo per la rabbia, Werner lo colpisce al volto. Grida: 

- Tu sei un bastardo traditore! Ma io non mi arrendo… io, piuttosto…- Werner si aggrappa al comando manuale e lo aziona. 

Tutta l’astronave inizia a brillare e a vibrare. La vibrazione fa oscillare la torretta del montacarichi.

Jiri colpisce a mani unite Werner alla nuca che crolla a terra come un toro al mattatoio e rimette il comando manuale nella posizione di stop. Con un ultimo scossone la nave torna buia e silen­ziosa.

Werner si rialza a fatica e vede Jiri inginocchiato sull’orlo dello sportello che singhiozza. Alza un pugno per colpirlo, ma Jiri volta verso di lui un volto rigato di lacrime:

 - Guarda cos’hai fatto… - grida e indica il buio davanti a sé. La torretta è caduta e a terra si intravede il corpo senza vita di Kai.

 *****

 I saggi di Nommo sono in riunione. Si tengono per mano e tac­ciono, immersi in meditazione.

Viene l’alba.

 Werner è in piedi davanti a Liam. L’ira ha lasciato il posto allo sgomento.

Liam, gli occhi rossi per il pianto, guarda il compagno. Sussurra:

- Proveniamo tutti da frammenti di stelle scomparse.-

 Lo fissa, poi lo scuote:

 - Sono come noi, Werner, meglio di noi. Se uno di loro fosse venuto sulla Terra ad ammazzare un essere umano adesso sa­rebbe in una cella forse in attesa di una condanna a morte. Tu invece sei qui, come se nulla fosse…-

- Vuoi che mi uccida? – risponde Werner, restando immo­bile, insensibile come una statua.

 - Abbiamo deciso! – annuncia la voce di Kailolo. I terrestri si voltano a guardarlo.

 - Kai era tuo figlio. Qualunque decisione sarà accettata.-

- Abbiamo deciso di non decidere nulla - conclude Kailolo. Poi guarda Liam: stiamo riregistrando Kai e tra poco sarà di nuovo tra noi. Però la sua ultima registrazione risale a prima del vostro incontro, quindi non si ricorderà né di te, ne degli altri, né… - da un’occhiata a Werner - …dell’incidente…-

 Liam fatica a capire. Werner si avvicina a Kailolo:

 - Avevi ragione tu. Noi siamo ancora pericolosi. Perché non mi condannate?-

- Ti abbiamo condannato. Devi restare qui con noi. Non puoi tornare sulla Terra.-

- Non ci voglio più tornare. – sussurra Werner.

- Kailolo, portami da lei! Credo di amarla… – dice Liam.

 Il corpo nudo di Kai è immerso in una sacca  come un feto nel liquido amniotico. E’ bellissima, integra, nuova.

 “ …nuova…” non riesce a impedirsi di pensare Liam. Kailolo gli sfiora un braccio:

 - Anche tu sei nuovo, adesso. Eppure sei sempre tu.-

 Il liquido viene drenato e la bolla si affloscia e scompare a un battere di mani di Kailolo.

Kai apre gli occhi, pieni di stupore, come quelli di un neonato. Due alieni la trasportano verso una macchina formata da una poltrona con un casco che calano sulla testa di Kai, simile a quelli che Liam ha veduto in città.

 - Non erano parrucchieri… - sussurra Liam, affascinato. Il ca­sco si illumina per pochi secondi e si spegne.

 - Kai! – la chiama il padre e di nuovo l’alieno apre gli occhi e sorride a Kailolo.

 Dice qualcosa nella sua lingua dai toni acuti e Liam guarda verso il vecchio per avere una spiegazione. Kailolo prende una delle perle traduttrici e la fa aderire alla fronte di Kai:

 - Padre! – guarda intorno – che mi è successo? Chi è quello…?

- Kai…- sussurra Liam prendendole una mano. Gliela bacia e l’alieno è per­corso da un brivido di piacere:

 - Non so chi sei ma… ma… -

- Mi chiamo Liam. Vengo da Terra un pianeta a otto anni luce da qui. E…- voleva dire “ti amo”, ma si blocca.

 Kai scende dalla poltrona e si stiracchia. Chiede al padre:

 - Quanto ho perduto?-

- Non molto. Ti avevo raccomandato di non mancare all’appuntamento mensile della registrazione, ma era arrivato que­sto… questo diversivo…- e indica Liam che sorride impacciato.

 Kai torna a guardare Liam: i suoi grandi occhi diventano di velluto e i loro sguardi si fondono.

 *****

 I tre soli sono molto vicini uno all’altro, alti nel cielo. Il sole Pitolo entra nel disco di Farakai e la somma della luce cala. An­che la piccola stella rossa sta lambendo il bordo della gigantesca Farakai.

 Gli Oannes stanno celebrando quello che chiamano “il primo pranzo” e le tavolate si estendono per la pianura a vista d’occhio. I quattro terrestri siedono ad una di esse, senza che nessuno dedichi a loro particolari attenzioni.

 Liam e Kai sono uno accanto all’altro e mangiano da un piatto comune colmo di alghe azzurre. Liam le mastica con qualche perplessità, poi il suo volto si illumina:

 - Mmmh, ma sono buone… sanno, sanno di… di acciughe! –

- “Acciughe”? Che cos’è? – chiede Kai e Liam, masticando con gusto – un cibo molto saporito.-

- Li-am, poi mi racconti tutto quello che abbiamo fatto insieme e che io ho perso nella riregistrazione? –

 Liam annuisce, sogghigna e fa un gesto a significare “cose grosse”, poi smette di masticare e chiede:

 - Una cosa non ho capito, Kai. Quella che chiami riregistrazione è durata si è no sei o sette secondi….-

-         Oh sì, i caschi sono veloci. Dopo tutto si tratta solo di circa 88… voi contate per dieci… non so come dirlo…-

 Liam fa schioccare le dita:

 - Se questo è un bit, otto di questi – e prende le due mani di Kai – sono un byte.

 Kailolo, che  siede quasi di fronte ai due, interviene:

 - Cento terabyte, Liam. Voi direste cento terabyte. Centomila miliardi di byte. E’ tutta la memoria che in media sta in un cer­vello nostro, struttura compresa. Più o meno dovrebbe valere anche per i cervelli vostri. –

- Quello di Bryan non arriva a un giga. – scherza Jiry. E Bryan di rimando:

- Il tuo farà sì e no un mega…  infatti dici sempre megacretinate…-  Ridono.

 L’unico che mangia in silenzio e non partecipa al divertimento dei compagni è Werner. Siede accanto a Kai che non osa guar­dare, sopraffatto dai sensi di colpa.

Kai prende dei filetti quadrati da un grande vassoio e ne porge uno a Liam:

 -  Assaggia questo, è molto gustoso. - Liam lo infilza col tridente che usano come forchetta e lo assaggia. Kai si volta e ne offre anche a Werner, che le siede accanto.

 - Assaggia Werner. Credo proprio che ti piacerà.-

 Werner  lo accetta e lo mastica annuendo. E’ imbarazzato.

Kai si gira verso Liam con uno sguardo interrogativo e Liam le sussurra in un orecchio:

 - Voleva guidare l’astronave e per poco non ti ha ucciso.…-

- Ah!- dice Kai – E’ stato un incidente, vero?. Mi hanno raccontato tutto. Non l’hai fatto apposta.- 

Werner la guarda, poi abbassa gli occhi e si china a baciarle una mano. Kai si sottrae ridendo:

 - Non ti sembra la zampa di un ranocchio? – gli chiede ironica,  aprendo bene le quattro dita in modo da evidenziare la delicata mem­brana verde che le unisce fino alla penultima falange.

 Werner vorrebbe negare, ma poi scoppia a ridere e annuisce, semisoffocandosi col boccone che sta masticando.

Gli Oannes si ridicono l’un altro l’accaduto e la risata scuote, come una chilometrica ola, le tavolate che rigano la pianura.

 *****

 I tre soli di Nommo volgono al tramonto e il piccolo sole rosso entra anch’esso nel disco di Farakai, avvicinandosi a Pitolo. In cielo si sta componendo una gemma splendente.

 Suoni acuti e melodiosi fanno voltare Bryan che si trova di fronte a un alieno sorridente che gli indica qualcosa che brilla sotto l’acqua dell’oceano. L’alieno fa il gesto di man­giare e poi lo guarda interrogativo. Bryan si tocca la perla che ha attaccata alla fronte e l’alieno annuisce, ne estrae una simile dalle pieghe del velo ricamato che lo avvolge e se la mette in fronte.

 - Ciao. Mi chiamo Eosin e ti dicevo che quello laggiù, sott’acqua, è il miglior ristorante della città, ma tu non ci puoi pranzare…- Bryan sorride e mostra i suoi 32 denti:

- Però posso mordere…-

L’alieno si ritrae fissandolo sospettoso coi suoi oc­chi stellati, poi si tuffa nelle acque trasparenti nuotando verso le luci subacquee. Bryan, intrigato, segue le flessuose movenze di quel corpo da sirena.

 - La festa sembra essere là… - fa notare Jiri indicando un enorme anello pieno d’acqua che scavalca la città come un arco gi­gante e in cui guizzano miriadi di animaletti di ogni colore e fosforescenza. Luci cangianti lo illuminano e, sotto di esso, ca­pannelli di giovani scherzano e ridono chiassosi passandosi dei “narghilè” da cui succhiano una sostanza inebriante.

Uno degli alieni si avvicina a Jiri, è allegro, ogni tanto aspira ebbrezza dalla cannula del suo “narghilè”, e canta.  Il suono che giunge alle orecchie dei terrestri è simile a quello di un violino. L’alieno si ferma davanti a Jiri e gli offre la cannula affinché aspiri una sorsata.

Jiri nota la piccola stellina nera che l’alieno ha in mezzo ai grandi occhi, quasi un neo e lo sfiora con un dito. L’alieno si ritrae ridendo, si tocca il petto e dice:

 - Pìrìsì - 

 Jiri si tocca la perla del traduttore che all’altro manca . L’alieno alza le spalle in un gesto talmente umano che Jiri resta a bocca aperta per la sorpresa e Pìrìsì riesce quasi a infilarci dentro la cannula del suo “narghilè”.

Jiri scuote la testa facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli bruni, Pìrisì sembra estasiato da quella criniera nera e allunga la sua delicata mano palmata per toccarla. Jiri lascia fare ma quando quella mano passa ad accarezzargli il volto sente un brivido di eccitazione.

L’alieno lo guarda incuriosito e poi guarda gli altri tre terrestri. Sfrega delicatamente, con una delle sue quattro dita, la guancia color cioccolato di Jiri che ride e gli blocca il polso. L’alieno ha una smorfia di dolore per la stretta troppo energica dell’astronauta che si scusa e lo lascia.

Pìrìsì scuote la criniera verde e, con una certa fatica, riesce a trovare nelle pieghe della sua veste ricamata il trasmettitore e lo fa aderire sulla stellina che ha in mezzo alla fronte.

 - Non sei tinto. Tu sei proprio così. La tua pelle ha davvero que­sto splendido colore…- sussurra Pìrìsì reso comprensibile dal traduttore. Jiri si sente illanguidire dal piacere.

- Sì…- sussurra Jiri  – sono un bellissimo sporco negro….-

 Pìrìsì non capisce e ripete:

 - Sporco? Perché, se ti lavi questo colore andrà via? –

 Jiri scoppia a ridere e il candore dei suoi denti spicca sulla sua faccia di ebano come l’orlo della schiuma di un onda illuminata dalla luna.

L’alieno emette uno squittio di ammirazione e poi  allunga di nuovo un dito a sfiorare quei denti bianchi.

 - Che belle zanne bianche hai…-

 Jiri spalanca la bocca e afferra quel dito con le labbra, per scherzo, ma l’alieno, spaventato, arretra e Jiri deve sorreggerlo mentre il suo “narghilè” rotola a terra.

 La stella rossa entra in Pitolo. Adesso nel cielo brilla un gioiello di luce: la grande Sirio, che tende al cremisi per il tramonto, e, al suo centro, il diamante Pi-tolo che manda raggi arcobaleno in ogni direzione avendo a sua volta, al centro, il rubino rosso cupo del terzo sole.

 E’ il segnale per l’inizio del rito della fecondazione. Una mu­sica lenta e profonda fà vibrare l’oceano.

La città subacquea si illumina: sembra un gigantesco albero di natale, fasci di luce colorata si intrecciano creando sempre nuovi colori come un enorme caleidoscopio liquido.

Anche sui volti dei terresti si alternano riflessi scintillanti in un’armonia artistica che induce all’estasi.

Accordi lunghi e bassi come canti di balene fanno tremare le acque tranquille mentre, dal fondo marino, alghe e coralli rila­sciano spore e uova che salgono verso la superficie assumendo tutti i colori dell’iride, trasformate in  infinite piccole lucciole di vita.

 Anche Kai fiorisce e il suo corpo sfiora quello di Liam, diven­tando più aggraziato, più sinuoso, più femminile. Emana pro­fumo intenso, come se l’essenza di tutti i fiori della Terra si fos­sero concentrati sulla pelle dell’aliena. Liam aspira con voluttà cominciando ad accarezzarla. Perché Kai è certamente femmina ora, e le sue mani delicate scorrono lievi sulla pelle dell’astronauta, eccitandolo come mai gli era successo prima.

Liam la stringe a sé mentre esplora il suo delicato corpo senza peli, dalla pelle vellutata come una pesca e quando arriva al sesso di Kai, il desiderio esplode in lui con violenza.

 E’ la grande notte dell’amore universale, quando il sesso è il grido sacro della vita.

 Bryan con Eosina, Jiri con Pìrìsì.

 Werner è rimasto solo e il Grande Saggio  lo consola: tra un anno tornerà a ripresentarsi la stessa configurazione stellare e potrà tentare l’accoppiamento. Werner alza le spalle, poi si blocca:

 - Un anno di Nommo? Ma… sono centinaia dei nostri anni ter­restri! –

- Tutto è relativo, figliolo, non te l’hanno insegnato nel tuo mondo? – i vecchi occhi del Grande Saggio brillano di ironia e di affetto.

 *****

 E’ l’alba dei tre soli.

 Sulla pianura di un verde intenso, le astronavi d’argento sem­brano gusci pronti a schiudersi.

Gli Oannes camminano due a due, mano nella mano, in lun­ghissime colonne, diretti alle navi: un maschio e una femmina.  I montacarichi salgono e scendono senza sosta mentre i grandi gusci si schiudono e ognuno di essi ingoia centinaia di coppie.

 Liam, Jiri e Bryan  devono decidere: possono partire o restare, ma se restano obbligheranno anche Kai, Pìrìsì e Eo­sina a rimanere, perché solo coppie fertili possono intraprendere il viaggio.

 Il Grande Saggio incoraggia Liam che stringe fra le sue le mani di Kai che lo guarda, innamorata, con occhi sognanti:

 - Il tuo seme sta già germogliando dentro il ventre di mia figlia. Avrete una splendida progenie unendo la parte oannes e quella umana. Un giorno potranno tornare sul pianeta Terra e porre fine all’isolamento di quel sistema. – poi solenne declama - L’isolamento è cosa orribile, poiché solo la collabo­razione e l’armonia fra i viventi dà un senso all’universo. Giorno verrà in cui l’Intelligenza ingoierà il cosmo invertendo la barriera dell’entropia: quel giorno si saprà tutto ciò che si può sapere, e spazio e tempo non avranno più il significato di sepa­razione. L’intelligenza sarà dovunque e quandunque. Quindi è già qui e adesso, ed è già là sulla Terra.-

- Questa è l’idea di immanenza. Da noi, molti lo chiamano dio.-

- Dio è la sua personificazione puerile, ma un nome vale l’altro. Nei popoli primitivi nasce dalla paura e si troveranno sempre preti o stregoni che la sfrutteranno. Tu ormai sei oltre, e il tuo futuro l’avevi già scelto, tra le stelle.-

 Anche Jiri e Bryan hanno sentito le parole del vecchio alieno e si stringono a Pìrìsì e a Eosina, tuttavia aspettano la decisione di Liam, che guarda Werner, solo, al fianco di Kailolo.

 - Se è per me che vi preoccupate, potete andare. Sono certo che Kailolo ha da insegnarmi tante cose. –

 Liam guarda Kailolo che annuisce e sorride, passando un brac­cio sulle spalle di Werner:

 - Sì, fratello. Tutto quello che so. -

 Liam è incerto: qualunque pianeta gli è estraneo e, al contempo, è la sua patria. Il giorno in cui decise di viaggiare fra le stelle, scelse di diventare cittadino dell’Universo. Guarda Kai che lo fissa con occhi umidi di pianto represso. Ora, da femmina fertile, gli sussurra:

 - Vuoi venire con me e continuare il tuo viaggio? Mi hai detto che il nome della tua nave significava: “Esploratore dell’Universo”. -

 Kai leva un dito al cielo. Tra le lacrime che brillano nei suoi bellissimi occhi, sussurra:

 - L’Universo è là. -

 Liam si decide, prende per mano Kai e s’incammina. Dietro a lui, felici le altre due coppie: Jiri con Pirisì e Brian con Eosina.

 Uguali agli altri, in fila con gli altri, vanno incontro al destino.

 Le astronavi si illuminano, vibrano un poco, poi si staccano dalla pianura sollevandosi come se avessero perso peso. Nessun suono, nes­sun segno di fuoco, nessun motore apparente. Salgono nel cielo come le spore dei coralli nell’acqua.

 E’ uno sciame argenteo che brilla alla luce dei tre soli, sempre più in alto fino a fondersi in quella luce, e sparire alla vista di Werner e di Kailolo, unici due rimasti ai bordi della pia­nura verde.

 - Vieni, Werner. Si stanno schiudendo le uova. Hai ancora molto da scoprire. – gli sussurra il Grande Saggio. 

Werner ha un sorriso amaro:

 - Questa frase mi ricorda il finale triste di un vecchissimo film del mio mondo. Diceva all’incirca: è la fine di un’avventura, speriamo almeno che sia l’inizio di una grande amicizia. –

 Il vecchio alieno sorride e guarda in alto. Anche Werner alza di nuovo lo sguardo: adesso il cielo di Nommo è di un terso tenue verde e senza un segno.

 
 

La supernova 

Portata dal vento stellare, l’astronave stava proseguendo la sua corsa.

Alnylam ed Andro erano intenti a controllare, in sincrono come di consueto, gli strumenti.

La donna stava leggendo sulla plancia i dati ad Andro, che li confrontava sui display dei suoi innumerevoli macchinari, quando apparve sullo schermo un puntino azzurro che attirò la loro attenzione. Il pianeta era sovrastato da una nube bianca perché ruotava intorno a una stella di spettro F .

 -  Se non fossimo tanto lontani, si potrebbe scambiare per la Terra. Facciamo una deviazione, voglio dirigermi verso quel pianeta, è straordinaria la somiglianza! Lo spettrometro di massa segna la presenza di metano nell’alta atmosfera e anidride carbonica. Dovrebbe ospitare la vita.-

  Proprio in quel momento, lo spazio intorno, s’illuminò di un bagliore accecante: una supernova era scoppiata milioni di anni prima nelle profondità del cosmo e la sua luce, come un fuoco d’artificio, avvolgeva ora l’astronave. Si accesero i sensori di allarme all’ondata di raggi gamma che investì l’astronave ma gli schermi ressero l’urto.

Lo splendore annullò la luminosità della stessa galassia a cui apparteneva la stella.

 -  Tre milioni di anniluce, oltre Bootes – disse Andro, controllando i dati – massa probabile venti volte Sol. Dovrebbe aver dato origine a un buco nero.-

- La valutazione dei raggi gamma dà un risultato diverso: solo otto volte la massa del nostro sole. Allora potrebbe essere una stella di neutroni o addirittura una nana bianca. -

 Alnylam sapeva che la morte delle stelle di massa superiore di poche volte quella del nostro sole finiva in una grande esplosione dopo che le reazioni nucleari avevano consumato idrogeno, elio, litio, carbonio, e arrivate al ferro le reazioni nucleari si fermavano, il nucleo collassava per la forte pressione, generando un’onda d’urto di rimbalzo che faceva scoppiare l’involucro esterno e la stella diventava una supernova come quella che ora Alnylam e Andro stavano ammirando. Lo scoppio di una supernova, miliardi di volte più luminosa di Sol, avrebbe distrutto la vita in un raggio di migliaia di anniluce.

Questa era molto lontana. La fortuna della razza umana avrebbe potuto finire da un momento all’altro in un bagliore di raggi gamma ma l’universo avrebbe continuato a splendere indifferente.

 - Guarda il cromogas – disse la donna all’androide - ci sono tutti gli elementi: idrogeno, elio, carbonio… c’è anche il segno della risonanza del carbonio…-

- Vedo -  rispose Andro - è chiarissima. Questa risonanza che permette alla fusione nucleare di creare il carbonio è davvero strana. -

- Potrebbe essere una prova che viviamo in un universo programmato…- pensò ad alta voce Alnylam, poi scosse il capo - E’  più probabile che gli universi siano infiniti e che, in ognuno di essi, le costanti fondamentali siano accidentalmente diverse. Noi possiamo vivere solo in un universo che permetta la vita. Ovvio.-

- C’è un grande flusso di neutrini…- commentò Andro controllando il display.

- Già. L’esplosione sta creando una massa di neutroni spingendo elettroni e protoni a fondersi. Vedi se i neutrini oscillano.-

- Sì, c’è un trenta per cento di muoni. –

- Buone probabilità, allora, per un buco nero.  Non vorrei essere stata più vicina…-

 La luce della supernova non accennava a diminuire e l’immagine del pianeta era cancellata dagli schermi.

 - Riprendi le coordinate del pianeta e leviamoci da questo fiume di radiazioni. -

 Andro comunicò al computer dell’astronave le coordinate memorizzate e l’astronave  accese i motori per qualche minuto. L’accelerazione schiacciò Andro e Alnylam contro lo schienale dei loro sedili. 

Il cielo tornò buio e il pianeta azzurro, avvolto da una bianca nebbia, era ormai sotto di loro.

 - Andiamo a verificare la composizione di questo pianeta. Segnala al computer di cercare una pianura per atterrare mentre mi metto su un’orbita bassa. -

 Il giro intorno al pianeta durò ottanta minuti.

Il computer comunicò automaticamente i dati rilevati: diametro all’equatore trenta mila chilometri, un quarto minore di Terra, raggio 9500 chilometri di media, gravità 9/10 di quella terrestre.

 Alnylam aggrottò la fronte: più piccolo di Terra ma con una gravità simile!

 - Deve avere un nucleo pesante…- mormorò -  almeno il doppio di quello di Terra…-

- Trovato. Scendiamo. – comunicò Andro.

 L’astronave accese i motori e  rallentò posandosi dolcemente su di uno spiazzo erboso.

Il prato era rossiccio. I sensori davano una buona resistenza del terreno. Il computer di bordo segnalò con voce chiara il risultato delle analisi dell’atmosfera esterna e l’assenza di patogeni.

 - Di tipo terrestre. Usciamo.-

- Metti il casco però. - aggiunse  Andro. La donna sorrise e se lo agganciò,  poi comandò l’apertura del portello e scese. Gli stivaletti che calzava affondarono di un centimetro in quell’erba rossa che, vista da vicino, sembrava più una mucillagine.

- Sembra intriso d’acqua. - commentò Alnylam chinandosi a toccare quella muffa umida.

 L’analizer  da polso  confermò: acqua, fluoro, silicio più opale. Bacillarioficee. Alghe unicellulari, crisoficee. Con silicio al posto del carbonio. Atmosfera simil-terrestre con ossigeno e una più alta percentuale di gas di fluoro ma non tale da recare danno.

 Alnylam si tolse il casco e scosse i capelli. Respirò a pieni polmoni:

 - Sarà un’impressione, come dicono, ma l’aria riciclata non ha lo stesso sapore di quella dei pianeti…-

 Erano ai margini di una giungla che ricordava la foresta amazzonica. Alnylam e Andro s’inoltrarono guardinghi. Un’intricata rete fluviale  rendeva molto rigogliosa la vegetazione.

- Se non fosse per questa costante sfumatura rossa delle foglie sembrerebbe  di stare sulla Terra.-  commentò Alnylam.

 Le foglie degli alberi erano grandi e succose. Inoltrandosi, i due astronauti calpestarono alcuni frustuli che scricchiolarono. Il loro guscio era rigido, sembrava della consistenza di una pietra ma si divideva in due pezzi sotto il peso dei loro piedi.

Alnylam si chinò e ne prese uno per analizzarlo. Sul guscio c’erano delle piccole incisioni:

 - E’ composto da due valve, una più piccola ed una più grande  che s’incastrano come una scatola con il suo coperchio. L’esaminerò meglio al microscopio. Tieni, mettilo nel contenitore.-

 Andro eseguì sollecito. Proseguirono.

 - Sembrano Diatomee. Su Terra si formano più spesso sui fondali marini. Ma qui è tutto bagnato, come una grande palude. Anche da noi vivono in colonie melmose. Possono spostarsi e moltiplicarsi separandosi in due valve che si rigenerano riproducendo la parte mancante. Chissà se lo fanno anche queste…-

 Alnylam si fermò davanti a un cumulo chiaro che si ergeva come una piccola piramide oltre la mucillagine che copriva il terreno. Ne toccò la punta che si sfaldò.

 - Incredibile. Sembra che il processo sia identico a quello terrestre. Anche da noi queste colonie possono essere rossastre come il prato in cui siamo atterrati. I residui dei frustuli di queste piante  formano depositi di diatomiti silicee, friabili, i tripoli, una specie di farina  organica fossile, una  sostanza inerte che abbiamo anche noi sulla Terra. Ma guarda….anche qui, oltre la flora, c’è anche una fauna!...- indicò una famiglia di animaletti pelosi che stavano sminuzzando con i loro denti aguzzi i frustuli che giacevano sul terreno. Un forte odore si spargeva tutt’intorno.

Alnylam indicò, eccitata, anche un grosso animale che stava scendendo da un albero: aveva il muso aguzzo ed era coperto da un mantello di setole strane che ricordavano quelle del porcospino.

 - Andro, guarda! Registra tutto! Quello che sta scendendo dall’albero, lo vedi?  Sembra un grosso topo ma non lo è.  Potrebbe essere un’echimio, su Terra è un mammifero che vive nei boschi. Fai un dettaglio del mantello prima che scappi…. è formato da setole dure e spinose… è incredibile trovare animali così simili ai nostri su un mondo così lontano! -

 Andro manovrò una minuscola telecamera che aveva estratto da uno dei contenitori che portava fissati a un braccio

 Alnylam si portò una mano sul capo,  un grande fiore pendulo si era impigliato fra i suoi capelli, lo districò e lo annusò

 - Che buon profumo!...- 

La sua fragranza era talmente intensa che la stordì. Al tocco delle loro mani per scostare i rami bassi di quella strana giungla, altri fiori sbocciavano, schiudendosi e  spargendo nell’aria l’odore delle loro essenze inebrianti.

Alnylam aspirava con voluttà, estasiata., socchiudendo gli occhi.

 C’era uno scrosciare d’acqua che cadeva oltre la muraglia vegetale e Andro, strappando un groviglio di liane,  andò a vedere.

Dopo circa cento passi Andro si trovò davanti a uno spettacolo maestoso: una cascata di una sessantina di metri, con un’acqua rosata che cadeva più lentamente di quanto un terrestre sia abituato a vedere, per la gravità minore del pianeta, creava nuvole rosa di vapori con sfumature lilla.

 Alnylam sbucò in una radura, illuminata da un raggio di sole bianco. Era una zona quasi asciutta, coperta da un tappeto scivoloso e colorato di fiori carnosi e petali olezzanti. La donna si sedette per  terra sotto un albero  immenso.

Un torpore irrefrenabile l’assalì. Si stese sbadigliando, gli occhi le si chiusero, cercò di resistere ma non ce la fece e cadde in un sonno profondo.

 Andro tornò sui suoi passi correndo:

 - Alnylam, vieni a vedere! C’è una cascata! Bellissima! E’ spettacolare ! - vide Alnylam sdraiata, immobile, sotto il grande albero. Si precipitò verso di lei:

 - Alnylam! Che succede! Alnylam!! - la scosse e vide che alcuni pampini rosa si erano avviticchiati alle caviglie della donna e altri si stavano attorcigliando sulle sue mani nude.

Si rese conto che Alnylam era in pericolo. Estrasse il laser. I viticchi l’avevano imbrigliata e la stavano imprigionando come fa il ragno con la sua preda.

Fece scattare il laser e incenerì i legami che si ritrassero torcendosi ed emettendo uno sfrigolìo, un suono lamentoso, come quello di un essere umano scottato.

Dai pezzi bruciati, caduti sul terreno, fuoriuscì un liquido denso e oleoso. I minuzzoli si contorsero spasmodicamente, poi  rimasero inerti.

 - Alnylam, svegliati! Andiamo via da qua! -

 Dopo vari scossoni, Andro riuscì a farle aprire gli occhi e a riportarla alla coscienza: ma solo per un attimo, poi la donna tornò ad addormentarsi con un lieve mugolio di fastidio.

Andro la sollevò fra le braccia e si accorse che dove si erano avvolte le spire dei viticchi, si erano create delle ustioni circolari.

 Corse verso l’astronave con la donna in braccio, evitando altri viticchi che ora si agitavano allungandosi e calando dai rami degli alberi, come se di colpo la foresta si fosse svegliata e avesse deciso di attaccarlo.

Andro fuggiva, strappando nella corsa le piccole liane che si abbattevano su di lui. Arrivò all’astronave, entrò con Alnylam e comandò la chiusura dello sportello.

La portò direttamente nell’angolo dell’infermeria e la sdraiò sul lettino. Usò uno spray antistaminico sulle mani della donna e le fissò sul volto la maschera dell’ossigeno.

 Alnylam si riprese a fatica. Spalancò gli occhi. L’ossigeno, a pressione forzata, la costrinse a un lungo respiro. Andro gliene fece fare un secondo e poi  le tolse la maschera.

 - Che cosa è successo?- disse la donna, trasognata, grattandosi furiosamente le mani.

 - Ferma, sono bruciature urticanti ! Fra poco starai meglio. Le tue care piante non sono proprio come su Terra. Ti stavano succhiando la vita.  Ti senti meglio, ora? -

 Alnylam annuì ma aveva ancora un’aria assente.

 -  Credo di si….Sono tanto stanca!-  richiuse  gli occhi e si abbandonò sul lettino.

 - Prima prendi questa pillola -  Andro gliela cacciò in bocca a forza  e continuò - La linfa di quell’albero doveva essere velenosa.-

- Ho sonno, lasciami dormire…- Si assestò meglio nel lettino.

- Stava rubandoti la vita! Non sai il pericolo che hai corso…-

- Va bene, ne parliamo dopo. -

 Andro le accarezzò una guancia, le distese i capelli scompigliati e, con dolcezza, glieli sistemò sul cuscino. Quando Alnylam si fu addormentata, la baciò, lieve, sulla bocca. Poi si accovacciò vicino per vegliarla.                                                                                                          

                                                                                                                                                                                               
 

I cristalli splendenti 

Prima di arrivare sul nuovo pianeta segnalatole dal centro spaziale su Europa, Alnylam doveva studiare quale fosse la causa del ritardo temporale del segnale luminoso.

Una piccola variazione di un centesimo di arcosecondo apparsa sullo schermo che aveva davanti.

Sicuramente doveva esserci un corpo massiccio che ne rallentava la misurazione  spazio-temporale.

Aveva calcolato anche l'influsso gravitazionale e il segnale radar di andata e ritorno che poteva essere stato  dilatato dall'attrazione subita.

Sapeva che una pulsar binaria impiegava più tempo a tornare indietro quando sfiorava la sua stella compagna. Lo poteva dedurre considerando la regolarità temporale della pulsar confermata dalla teoria della relatività generale di Einstein.

Andro la distolse dalle sue considerazioni, portandole il cocktail di proteine e vitamine.

Si stropicciò gli occhi arrossati. Gli sorrise, grata.

La sollecitudine con cui si occupava di lei , la intenerì.

 - Ah!....Grazie. Non so come farei se non ci fossi tu! -

- E' un privilegio, per me, occuparmi di te....-

 Chissà se lei si rendeva conto che lui l'amava. Poteva un’umana dimenticare che lui era  un androide ?

Gli uomini gli avevano dato i sentimenti che provavano loro e una formidabile intelligenza artificiale ma non avevano capito che tutto ciò lo avrebbe reso vulnerabile per la sensibilità esasperata che ne sarebbe scaturita?! Non poteva piangere, è vero, ma soffrire, si!

 Quando lei lo abbracciava, come quella volta che lo aveva tirato fuori dal fango e l'aveva accarezzato per aiutarlo a ripulirsi, aveva capito cosa intendevano gli uomini per felicità!

Se fossero stati loro due soli, in un mondo alieno, era certo che lei lo avrebbe amato per sempre.

La dolcezza con cui Alnylam lo guardava, a volte, gli faceva sperare che avesse capito.

Si sarebbe lasciato distruggere, smontare pezzo per pezzo, pur di salvarla, se ce ne fosse stato bisogno. Quando, come ora, poteva starle accanto, in silenzio, mentre lei pensava, era appagato. Gli piaceva guardarla quando lei non se ne avvedeva.

Sollecito di soddisfare ogni suo muto desiderio, sempre in attesa, come un cane fedele.

Non poteva averla fisicamente, nel senso umano, ma avrebbe potuto donarle un amore infinito, eterno come quell'universo  in cui  navigavano.

 - Devo risolvere questo problema .....- disse a se stessa Alnylam,  passandosi una mano fra i capelli.

Dopo qualche tempo, Andro la interruppe di nuovo.

 - Devi nutrirti, ne hai bisogno. -

- Hai ragione. - prese il bicchiere e bevve tutto d'un fiato. - Ma ora che mi sono rifocillata, mi si sono schiarite le idee. Credo di aver capito. Penso di essere vicina alla soluzione. – Poi, rivolta ad Andro, disse : - Il moto alternato di una carica elettrica che oscilla, diminuisce di energia e, mano a mano che emette radiazione, rallenta il suo moto.-

 

Andro la guardò preoccupato: questo lo si studiava nel primo corso di fisica. Ma il pensiero di Alnylam non era tutto in quelle parole, perché stava pensando che un muone,  invece,  non disperde energia come un elettrone pur essendo, in qualche modo un elettrone pesante… e forse il mistero della massa…  

°°°°°°°

Il lungo viaggio nel silenzio siderale continuava.

Atomi spazio-temporali concentravano materia ed energia distorcendo ed attirando raggi di luce provenienti da fonti sconosciute.

Alnylam calcolò la distorsione dello spazio prodotto dalla gravitazione delle galassie e dai buchi neri, puntando dritto verso quei bagliori improvvisi.

Le increspature delle onde, distorte dalla deflessione,   avvolgevano l'astronave e si allontanavano in cerchi concentrici.

Scoppi improvvisi saettavano bucando, veloci, l'oscurità.

Mano a mano che si avvicinava la luce si suddivideva  nello spettro di fantasmagorici colori.

Le  particelle  in movimento nello spazio infinito,  si accumulavano quando la luce si propagava nelle lunghe distanze.

Era possibile rilevarle  anche se erano lontane miliardi di anniluce.

Alnylam doveva raggiungere un punto dell'universo dove accadeva un evento preciso: la presenza di anelli dello spazio-tempo, in quel particolare punto, cambiava con il movimento della materia e dell'energia.

Grandi circoli luminosi apparivano  intorno al vortice verso cui era diretta.

Bagliori improvvisi scintillarono dalla superficie del pianeta che faceva nucleo al vortice stesso, spostandosi per inquadrare l’astronave che lo stava circum-navigando.

 - Forse ci stanno segnalando il luogo migliore per l'atterraggio.- disse ad Andro che non si era mosso. Anche lui controllava la manovra  sul display.

Alnylam ridusse la velocità, planando silenziosamente . Spense il razzo. Rimase in attesa. Si sganciarono dal seggiolino e uscirono.

Non videro nessuno. Il silenzio era totale.

S'incamminarono guardandosi intorno.

Dalle rocce circostanti sfavillavano, abbacinandoli, enormi cristalli.

Passando vicino ad essi,  suoni indescrivibili li riempivano di gioia.

Li pervadevano ammaliandoli, incantandoli con la loro armonia.  Penetravano nella loro mente che riuscivano, inspiegabilmente, a comprendere.

- Noi siamo la perfezione, la bellezza estrema.

Oltre la Materia  ci siamo noi: la Conoscenza.

Siamo il Tempo e lo Spazio.

L'Universo Infinito.

Il Presente, il Passato,il Futuro contemporaneamente.

La Sublimazione della Materia.

Il Desiderio, la Felicità, l'Estasi.

Siamo Tutto ciò a cui voi aspirate.

Siamo l'Amore che unisce per sempre.

Frammenti di stelle che nascono, ingigantiscono, collassano e, morendo, creano nuovi mondi.

Siamo Idrogeno, Ossigeno, Elio e tutti gli atri elementi. Soprattutto: Carbonio, l'inizio di tutto.

Siamo l'Acqua e il Fuoco.

Siamo la Fine e il Principio.

Siamo l'Eternità

Siamo la Vita!-

  

L’istante infinito 

Alnylam aveva cominciato a viaggiare nello spazio siderale per arrivare ai margini del grande buco nero intergalattico, in  cui avrebbe potuto cambiare total-mente il corso della sua vita, rallentando il tempo e, tramite l'entanglement, trasferirsi nel passato.

 Voleva tornare in quell'Istante Infinito dove, il destino di suo figlio, avrebbe potuto prendere un'altra direzione e sovvertire la sequenza degli avvenimenti.

Si portava dentro una tale pena che aveva congelato i suoi sentimenti in una capsula di dolore non più compatibile con la voglia di vivere.

Continuava ad errare nell'universo per giungere nel punto in cui  sapeva che era possibile cambiare la realtà e prendere una biforcazione temporale che l’avrebbe portata in una catena di avvenimenti casuali diversi da quelli vissuti.

 Solo Andro conosceva il suo tormento perché era, ormai,  in grado di percepire i suoi pensieri.

Aveva anche intuito che Alnylam perseguiva uno scopo ben preciso, congelare, per sempre, la sua vita quando lo Spazio e il Tempo si sarebbero completamente annullati.

I suoi occhi arrossati scrutavano, ipnotizzati, la concentrazione della materia e l'energia che si alternavano con i canali di vuoto attraverso cui la navicella spaziale s'inoltrava, diradando la massa delle molecole. Era l’imbocco di un wormhole, un cunicolo che buca gli universi. Passare per quei corridoi significava accorciare le distanze dello spazio-tempo.

 La presenza dei loro anelli confermavano che la meta era stata raggiunta.

E ora, mondati, purificati dalle esperienze passate, entravano in un universo parallelo dove una nuova vita li attendeva, senza ricordi. “Tabula rasa”, pronta per essere impressa nuovamente da altri collegamenti neuronali, nuovi avvenimenti, questa volta non dolorosi ma felici, perché interrotti proprio in quell’Istante Infinito, prima del loro verificarsi.

 La sua determinazione era tale che, imperterrita, proseguiva senza riposo controllando la gravitazione.

Totalmente immersa nei suoi calcoli, in quel momento stava annotando la distorsione dello spazio curvato dalla presenza del mostruoso buco nero che, avendo ingoiato ammassi di galassie, non dava segni della sua esistenza ma cambiava la geometria dello spaziotempo.

 Adesso l'astronave procedeva sobbalzando tra le curve delle increspature, stavano per uscire dal loro universo.

Il flusso dell'energia che fino ad allora era rallentato, attratto da un universo diverso, ricominciava ad accelerare.

Alnylam e Andro erano al massimo della tensione.

Si stavano muovendo in mezzo ad una luce che si defletteva, distorta, come un oggetto nell'acqua, suddividendosi nello spettro dei suoi colori.

Le particelle-onda in movimento si accumulavano propagandosi tra i grani di spazio, facendo brillare trilioni di loop gravitazionali per le onde di gravità compresse.

 Fontane luminose, gravità visibile,  scoppiavano come eruzioni vulcaniche e si propagavano in un mare rossastro di fuoco, zampillando in supernove abbaglianti.

 Poi il nero del nulla. Non lo spazio, non il tempo. E subito dopo, (se si può dire “dopo” in assenza di tempo) ecco galassie rotanti che ingoiavano le più piccole inglomerandole, avide, nella loro scia.

Mondi pulsanti di energia per creare nuovi soli, nuovi pianeti.

 Nubi colorate di gas, trasformate in culle stellari per fornire sempre nuova materia per mondi dove avrebbe potuto svilupparsi ancora la vita. O dov’era nata la vita miliardi di anni prima.

 Ciò che spingeva Alnylam era l'indescrivibile disperazione del suo insostenibile dolore. Andro la guardava e soffriva insieme a lei.

Avrebbe voluto aiutarla , ma sapeva di non potere.

Lei viveva in un'altra dimensione, cristallizzata nella sua solitudine.

 Poi una stella gialla, una fra le tante, ma il suo terzo pianeta era azzurro e bellissimo.

 Alla fine, erano giunti a quell' Istante Infinito che era il suo traguardo e Alnylam, ne era certa, non sarebbe più tornata indietro.

 Un’altra casualità era possibile.

 

 

 

Fine

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