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pubblicato con lo pseudo di James Duffy il 15 marzo del 1957

  seconda edizione 2008

(acquistabile sul sito Lulu:   http://www.lulu.com/content/5123881)

 

Ricordando il mio grande amico   Giacomo Miglietti, soprannominato Jack, da poco  scomparso

Dove muore la grande città degli angeli, sorge l’infame bastione dell’inferno: Hollywood.

La notte, quando il bianco crudele dei riflettori squarcia le tenebre innalzando alle stelle il nome degli idoli, la morte insieme alla lussuria inizia il suo giro di ronda. Poi quando dal deserto viene l’alba allora anche il sole si vergogna di illuminare quella infame città maledetta.

CAPITOLO I

 Helen  non sa dire quanti sono e non lo saprà forse mai.

Un cameriere la aiuta a rivestirsi e le caccia nella borsetta un pacco voluminoso di banconote.

-  Vada a casa signorina, vada a casa..-

Helen lo guarda come trasognata.

- A casa? Io a casa? -

- Su signorina non è stato nulla di grave... le hanno

dato un sacco di soldi... vada a casa adesso.-

Helen scoppia a ridere scossa da una crisi isterica. Poi smette di colpo e, stringendosi le mani addosso, esclama:

- Ma sono nuda... Jack, ridammi i miei vestiti...

Jack!-

- Non faccia così per carità, vada a casa!- e la spinge in strada.

Helen corre lungo il meraviglioso Country’s Boulevard urlando mio nome.

 ***

Io sono Jack Migol.

Lavoro da molti anni ormai per quella vecchia tigre di Carter. Si, quello del cinema ! Però non faccio l’attore, non mi è  mai andato di fare il pagliaccio per divertire il mondo. Lavoro per Carter curando una parte dei suoi affari.

 Sono un uomo come tanti altri ed ho una moglie

molto carina. Si chiama Helen, ha i capelli biondi finissimi, occhi azzurri, una figura snella, seno sodo  e un paio di gambe da far girare la testa a un santo.

La notte è profumata d’agrifogli a Hollywood e quando ci sono le stelle sono le più belle che si possano ammirare da questa povera terra.

Chissà se Helen starà guardandole. 

 

CAPITOLO II

 Roma è bella e mi dicono anche molto antica. lo

non me ne intendo di queste cose e non riesco mai a distinguere con sicurezza le rovine che c’erano già, da quelle che abbiamo fatto noi con la guerra.

 -  Telegramma per lei, signore.– 

-   TENTATO SUICIDIO HELEN GRAVE -

STOP -  RITORNA SUBITO CARTER –

 Non so più nulla. Non ho portato neanche una valigia...

Carter mi aspetta all’aeroporto. Mi sorride ma è

turbato. Helen ha avuto un collasso, dice, ha tentato di suicidarsi. I dottori dicono che è fuori di senno.

Prendo per il bavero il dottore e comincio a scuoterlo e a urlare che non è vero. Sento di piangere. Sento di impazzire.

Due infermieri m’immobilizzano. Mi calmo: capisco che sono stato stupido. Chiedo scusa, chiedo scusa ma voglio sapere! Voglio sapere tutto quello c’è da sapere.

Il     dottore mi guarda a lungo.

-  Credo di poterle dire la verità. Lei mi sembra un uomo a cui si possono dire certe cose...-

- Dica dottore. - Mi sento freddo, pronto a tutto, ma stento a capire quello che sento.

- Mi dispiace caro Migol, ma era mio dovere dirglielo: violenza, violenza carnale e lo shock che ne è seguito… beh,  ho paura che non sparirà tanto presto. Comunque non è il caso di disperare.-

-Chi è stato? - La mia voce suona gelida alle mie stesse orecchie.

Il     dottore mi guarda sottecchi e poi rassicurato forse dal suo esame:

- Più d’uno credo. Nel delirio sua moglie parla

sempre di molti uomini nudi...-

 La mia Helen, la mia povera Helen ! Chi ha potuto osare tanto! So già fin d’ora che li ammazzerò tutti

ma questo non mi calma. Il mio sguardo è rimasto

freddo e quando saluto il dottore abbozzo un inchino: chissà che cosa pensa quel brav’uomo.

Una macchina si ferma accanto a me. Una splendida ragazza con meravigliosi capelli rossi, mi rivolge la parola:

- E’ lei  mister Migol?

Non mi fermo neppure: qui a Hollywood è pieno di ragazze così, pronte a tutto pur di ottenere un modesto lancio pubblicitario.

- Mister Migol. -  Nella sua voce trilla una risata mal frenata che mi fa voltare.

Sono furioso ma il suo sguardo dolce e il suo sorriso mi disarmano. Mi avvicino apro lo sportello della lunga macchina rossa e mi lascio cadere sul sedile accanto alla fanciulla.

- Così va meglio mister Migol. -

- Va meglio un corno - urlo - portami agli Studi di Carter. -

La ragazza ha un sorriso malizioso e avvia senza dire una parola. Dopo pochi secondi una lunga frenata mi fa tornare alla realtà. Scendo senza neppure salutare e mi dirigo verso i grandi cancelli degli Studios.

La ragazza mi prende sottobraccio. Sto per insultarla quando il portiere ci saluta:

- Signorina Carter, mister Migol.-

- Ah. - E’ tutto. Non sono in vena di chiacchiere oggi. So che Carter ha una figlia maledettamente carina ma non la conosco. Ora è qui, ecco tutto.

Carter è nel suo ufficio. Affondato nel cuoio verde

della sua immensa poltrona sembra un imperatore sul trono. Ed è un po’ così. Comanda  migliaia di persone.

E’ il padrone delle loro anime e dei loro corpi.

Quando entro so già che sua figlia si chiama Lili, che ha diciotto anni, che è sempre vissuta in collegio e che il duro Carter per lei è un agnellino. Credo che sia la sola persona al mondo che non lo teme.

Un certo rispetto lo infonde anche a me con quelle enormi sopracciglia nere e l’avana spento tra le labbra.

Carter non fuma, ma sa che quel sigaro gli da imponenza e che i suoi « schiavetti » si regolano da come esso si muove per capire se sono graditi. Cosa che ho visto capitare forse tre volte in questi dieci lunghi anni che lavoro

Lili mi ha detto un sacco di cose. Io non ho aperto bocca. Ho la bocca amara e la testa che mi martella: devo uccidere, devo uccidere... ma chi! Chi sarà stato?

Carter si alza. Non lo ha mai fatto prima, ma forse è per Lili. Da come la bacia direi che è l’amante più che il padre. La guarda e la tocca come se fosse fragile e non. finisce mai di sorridere, ed io che credevo che non ne fosse capace.

- E’ bella la mia Lili, eh? E arretra di un passo compiaciuto.

Sono costretto a guardarla meglio. Perbacco il vecchio ha ragione. Il mio sguardo le scivola addosso; le ac­carezza le punte dei seni e le scende piano piano sui fianchi per rotolare poi sulle gambe affusolate. Non c’è niente da dire, direi che è più bella di Helen. Helen…

Il mio viso torna scuro e Carter si lascia cadere sulla sua poltrona:

- Allora... come sta ? - mi sembra commosso addirittura.

- Non lo so, non lo so -  Mi sento una mano tra i capelli. La lascio cadere e stringo i denti:

- Non l’ho vista. Ma li ucciderò. Li ucciderò tutti.-

Carter mi guarda. Teme che sia impazzito anch’io .

-Chi ucciderai ? -  C’è più forza che domanda nella sua voce.

- Non so, non so nulla... L’hanno violentata... Erano tanti! -  La mia voce  è rauca.

Carter non parla. Lili deve essere uscita senza che me ne accorgessi. Carter sposta il sigaro da un angolo all’altro della bocca.

- Migol -  continua -  non fare sciocchezze-! Se proprio vuoi andare a fondo della cosa, va da Bisher, qui alla Polizia, è un mio caro amico e non farà scandali.-

La Polizia! Non ci avevo neanche pensato! Eppure sì, Carter ha ragione...

- Li ucciderò con le mie mani, ma qui la cosa ‘e diversa. Va da Bisher prima e poi fa come ti pare... Al­meno il tuo avvocato avrà qualcosa a cui attaccarsi ed eviterai la sedia... Anzi se sarà bravo, chissà che non te la cavi con una ventina d’anni.-

E’ il tono giusto. Carter è abile. Mi sento stanco ades­so. Non parlo ma Carter sa che farò quanto lui vuole e il sigaro torna nella sua normale posizione.

 Lili è fuori. Mi aspetta. Mi guarda e mi prende sottobraccio appoggiandosi a me. Anche Lili ha trovato il tono giusto.

  

CAPITOLO III 

Bisher mi è antipatico dal primo momento.

E’ piccolo, tozzo, calvo. Le nari sono enormi e si dilatano  a ogni respiro. Anche le labbra sono spugnose. E i suoi occhi sfuggono sempre.

Sembra un incrocio mal riuscito tra un topo un bue e una macchina da cucire.

Non ho più voglia di parlare, ma Lili lo fa per me:

- Io sono Lili, Lili Carter. Sì, sono la figlia di Carter. E questo mister Migol: un amico di famiglia e un collaboratore di mio padre.-

Bisher sogghigna e china il capo: ecco, ora sembra una serpe. Deve essere il nome di Carter che ha prodotto il cambiamento.

Lili parla e racconta tutto al mio posto. Forse ascol­tava da dietro all’uscio o forse urlavo, laggiù nell’uffi­cio di suo padre.

E’ destino che io non riesca a sentirla parlare. Ha accavallato le gambe e ho l’impressione che anche Bi­sher non la senta. Quest’uomo non mi piace: è il capo della polizia e non so se questo deponga a suo favore.

Bisher vuole sapere da me, vuole che io precisi.

-  Caro Migol, conosce i nomi degli aggressori ?

Lo guardo con malcelato disprezzo:

-  E crede davvero che sarei qui se li sapessi?-

-  Capisco. Ecco qua, faccia una de­nuncia contro ignoti e noi penseremo al resto.-

-  Se la faccia lei la sua denuncia.-

Lili interviene:

-  Naturalmente che la faremo. Lei non ha qual­che indizio? E’ la prima volta che succedono cose del genere nel suo dipartimento?-

-  Certo che è la prima e posso garantirle anche l’ultima, almeno finché io sarò qui. -  Eccolo adesso col petto gonfio sembra un tacchino.

Sento di perdere tempo.

La mia mano si posa pesante sulla spalla di Bisher:

-  Senta, conosco la Polizia e i suoi sistemi. Ma se lei sa qualcosa, la sputi fuori.-

Lo sguardo impaurito di Bisher segue l’altra mia mano che si è alzata a minacciarlo.

- Mister Migol! -  E’ paonazzo e la sua voce è stridula.

- Mister Migol, stia attento a quello che fa... Se non fosse per Carter, io... -

Lo lascio e mi pulisco la mano sui calzoni.

- Lo perdoni, Ispettore. E’ fuori di sé... Lei capisce...-

- Ma certo, certo. Già dimenticato signorina Carter. Anzi per dimostrarglielo darò al suo amico l’indi­rizzo di un grande investigatore, mio carissimo amico. Ecco Alex Smith, Beverly Hill, 1580. E’ molto noto. Vedrete che se c’è qualcosa da sapere, lo saprà in pochi giorni. -

Non riesco a spiegarmi il perché, ma tutte le volte che costui parla mi viene voglia di fargli ingoiare i denti,  mi trattengo e sono quasi gen­tile con lui:

- Io credo che ci sarà fin troppo da sapere,  Ispettore. Quando avrò i nomi di quei porci che hanno osato toccare mia moglie, chiunque essi siano, vi giuro che se ne pentiranno.-

- Calma, calma giovanotto Quando si ha una moglie carina come la sua….-

- Conosce Helen?-

E’ imbarazzato e si dimena sulla sedia. Mi viene il dubbio che ne sappia  più di quello che dice.

- Io ? No, ma.. Insomma deve essere carina se sono giunti a questo e...-

- Già, deve essere carina... Andiamo Lili.-

Sono già all’uscio, quando mi volto di scatto. Gli occhi di Bisher mi fissano in un modo strano. Sorride ma è un tentativo pietoso. Sbatto la porta dietro di me. Non so che cosa pensare, tuttavia mi pare di aver fatto un passo avanti e sento che qualcuno da oggi comin­cerà ad avere paura.

Gli occhi di Bisher erano preoccupati. Forse solo per le mie minacce, forse per qualcosa di più.

-  A che cosa pensi Jack ? -  Lili mi guarda. I suoi occhi sono puri e meravigliosi. Il mio nome è bello e strano detto dalle sue labbra.

-  A nulla.-

- Allora smettila di torturarti. Io ti aiuterò a scoprire i colpevoli, ma non voglio che tu ti avveleni la esistenza. Mi piaci Jack.-

E’ ingenua e tanto cara. Le passo un braccio intor­no alle spalle e sento il calore del suo corpo infondermi nuove energie.

Ha acceso la radio prima di avviare la macchina. I suoi capelli rossi si alzano al vento. Ho voglia di ba­ciarla tutta...- Ma è tanto bello guardarla questa meravi­gliosa bambina: sciuperei tutto.

Mi sorride. La macchina scivola lenta e silenziosa tra vialetti di Beverly Hill: uno dei quartieri più lussuosi di tutta la California.

-  La casa di Alexis Smith, per favore ?-

-  Quel cottage laggiù, tra gli alberi, signorina.

-  Grazie.-

Non sento nessun desiderio di affidarmi ad un investigatore privato, ma non credo che possa nuocermi e dato che Lili vuole fare così, ho piacere di accontentarla.

Il     cottage, piccolo ma molto carino, sembra chiuso e deserto, ma il ringhiare di un grosso ma­stino, ci avverte che non deve essere così. Infatti poco dopo, un uomo sui due metri si affaccia al cancello del  viale interno.

- Desiderate? -  Ha un lieve accento straniero di indefinibile provenienza.

- Il signor Smith. Ci manda Bisher.-

Questo mezzo gigante ci fa strada, Scendiamo dalla macchina e gli andiamo dietro.

- Accomodatevi qui. Il signore verrà subito.-

- Sarà meglio per tutti -  Non ho più riserve di pazienza. ma questo strano tipo deve avere la forza di un elefante. Credo anzi che questo sia il motivo prin­cipale per cui è stato assunto.

Arriccia le labbra in un sorriso di superiorità e scompare dietro una porta. Io e Lili ci guardiamo at­torno. La stanza è semibuia ma ben arredata. Ci se­diamo su di un piccolo divano. Estraggo due sigarette, le accendo e ne passo una a Lili, che mi accarezza con uno sguardo di dolce riconoscenza.

I minuti passano e nessuno si fa vivo.

M’innervo­sisco sempre di più.

- Adesso basta. Lo farò venire io! -  Mi sfogo con­tro un enorme vaso cinese buttandolo a terra. Il fra­casso sorte l’effetto voluto.

- Se ne pentirà signore -  Il gigante è riappar­so minaccioso.

- Tieni giù le mani gorilla e mandami il tuo pa­drone.-

Prima che abbia il tempo di reagire mi è addosso, mi solleva come se fossi una piuma e mi butta sul di­vano. Lili grida e si rifugia in un angolo.

- Non aver paura piccola. Sta a vedere. -

Il gigante mi è ancora addosso. Mi scanso con un balzo mentre col taglio della mano lo colpisco alla gola. Vacilla appena.

- Bravo -  dico -  avrebbe ucciso un toro.

Scuote la testa. Ha gli occhi iniettati di sangue.

- Non ne hai abbastanza eh? Vieni, vieni piccolo.-

Si avvicina piano. Mi siedo su di una poltrona e mi aggiusto la cravatta. Il bestione intanto allunga le mani. Non mi muovo ancora. Anzi infilo le mani in tasca. Aspetto che mi abbia afferrato per la gola, poi di scatto mi attacco ai suoi pollici e glieli storco fino a che il rumore delle ossa spezzate e disarticolate gli mozza in gola l’urlo di dolore. Allora mi appoggio tut­to sullo schienale della poltrona e tiro a me le gambe.

Le suole delle mie scarpe si imprimono con violenza sul volto del poveraccio che si affloscia al suolo con un urlo di dolore. Gli sono addosso per prevenire ogni sua reazione, ma non ce n’è più bisogno. E’ svenuto.

Mi riordino mentre Lili mi si avvicina.

- Sei terribilmente pericoloso Jack -  E sento di piacerle di più così.

Un applauso mi fa voltare. Un tipo piccolo, occhialuto, coi capelli neri, lisci e appiccicati al cranio che sembrano dipinti è apparso da una piccola poi che avevo scambiato per un armadio a muro.

- Molto bene. Fino ad oggi nessuno è mai riuscito a battere Joe!-

Si avvicina, mi tocca i muscoli delle braccia e:

- Tanto meno con muscoli così piccoli!

- Se vuole assaggiarli...-

- No, no caro signore, mi basta quanto ho visto. Sono Alexis Smith.-

- Molto lieto. Mi chiamo Migol e questa è la signorina Carter.-

- Vi ha mandato quella vecchia volpe di Bisher?-

- Si, quella vecchia volpe!-

Ho rifatto il tono della sua voce. Smith mi guarda di traverso. Intanto il disgraziato Joe si sta riavendo.

- Servici qualcosa Joe. -  L’omone si rialza brontolando. Mi dispiace quasi di averlo picchiato. In fondo deve essere un poveraccio che fa quello che vuole Smith, per mangiare tutti i giorni! E’ il padrone che dovrei picchiare ! Ma perché poi ?

- Allora a cosa debbo l’onore di questa vostra visita signori?-

- Semplicissimo. Mia moglie è stata violentata da un gruppo di ignoti. Voglio soltanto sapere i loro nomi. Lei non deve far altro, capito? Se riuscirà, avrà un sacco di quattrini a patto però che io sia il solo a sapere il risultato delle indagini. Se lei informerà la Polizia.. beh dipenderà dal mio umore in quel momento, ma l’avverto che in questi giorni sono sempre intrattabile!-

Si liscia la punta del mento come se avesse la barba. Si fissa le punte delle scarpe e dice:

- Ma... e Bisher?-

- Meno che meno. Intesi?-

Il mio uomo sembra aver deciso.

- Va bene signore come lei vuole. Però i miei onorari saranno molto cari.-

- Non si preoccupi per il denaro -  interviene Lili -  Io sono la figlia di Carter e garantisco per lui. Faccia il suo dovere.-

- Bene, bene... Vi farò la prima relazione tra una settimana. Vostra moglie non ricorda proprio niente?

- Perbacco -  penso -  che imbecille sono sta­to. Forse Helen... Ma certo potrebbe darmi un indizio...-

- No signore -  dico -  niente. E’ pazza.-

- Non sarà facile allora. Siamo nel buio più assoluto e senza l’appoggio della Polizia...-

- Ho detto senza Polizia!-

- E va bene, come vuole, ma non le garantisco nulla. Chiaro?-

- Chiarissimo. Anzi per essere ancora più chiari le dirò che sono quasi sicuro che non riuscirà a combinare un bel niente. Ma in fondo non ha importanza.-

- Onorato da tanta fiducia, signore. Sembrare insignificante è un’arma molto forte nel mio mestiere.-

- Non volevo dire insignificante veramente, ma fa lo stesso. Arrivederci tra sette giorni.-

- Perché lo hai trattato tanto male? -  mi chiede Lili appena in macchina.

-  Perché sono sicuro che adesso starà già parlando con Bisher per ricevere istruzioni. Però non riesco a capire che diavolo serva a Bisher, questa specie di poliziotto personale, con i tanti che ha già a sua disposizione. Mah ! ... Avrà dei fatterelli privati che non vuol far sapere.-

- Oh Jack! Tu vedi delinquenti dappertutto!-

Ha bloccato la macchina. Il vialetto è silenzioso e deserto.

Le metto una mano sulla nuca, intrufolando le di­ta tra il rosso dei suoi capelli. La mano mi scivola sul suo esile collo, che stringo con dolce violenza­.

- Come sei bella! Come sei.. nuova ecco!-

- Per oggi può bastare caro. Altrimenti domani e dopo non saprai più che fare con me! -  ride in un modo infantile e mi sento sporco per aver pen­sato di trattarla come tutte le altre.

- Ti porto a casa, vuoi?-

- A casa, già, non ci sono ancora tornato... Andiamo.-

 

CAPITOLO IV

 Non dovevo tornarci. Qui dentro tutto parla di Helen e a me sembra che sia morta... Che me l’abbiano uccisa!

Ecco la poltrona preferita dalla mia piccola Helen... e il suo grosso cane di pezza col quale giocava per ore come una bambina e le tendine pietosamente rica­mate ma di cui era tanto orgogliosa.

Cara, cara Helen.

E adesso...

Devo rivederla, devo rivederla subito. Esco senza neppure infilarmi la giacca. Attraverso il piccolo giardino e corro in strada. Poi mi fermo a guar­dare per un attimo la mia casa che ora mi sembra estranea.

Immerso in questi pensieri, fermo in mez­zo alla strada, non sento il rumore di un'auto che si avvicina. Lo stridìo dei freni e il lampeggio dei fari mi fanno sussultare. Sto per chiedere scusa quando:

- Pezzo di cretino ubriaco, credi che sia tutta tua la strada? Fatti da parte se non vuoi che ti schiacci come un topaccio da fogna!-

Questo è il tono sbagliato per ottenere qualcosa da me.

La macchina si apre. Sono in tre, ma non mi fanno paura:

- Ah, sono tre i grugni da riempire! Avrete gli straordinari ragazzi!-

Il primo mi è addosso, ma il mio piede è lesto e lo ferma a mezza aria mandandolo a ruzzolare lontano. Mi sento improvvisamente allegro: era proprio quello che ci voleva!

- Vi siete confessati? -  chiedo ai due che si avvicinano un po’ più cautamente del primo.

Nella mano di uno di loro vedo luccicare un revolver.

- Meno chiacchiere e mani in alto -  la voce sem­bra decisa.

- Ah... non vi piace lo sport vero?-

- Non ci sporchiamo coi tipi come te. Alza le mani se non vuoi crepare subito.-

Affondo le mani in tasca.

Già,  l’altro si è sporcato troppo -  e guardo la sagoma nera ancora distesa per terra. Uno dei due si avvicina all’amico che sembra morto. Si china e poi si rialza piano. La luce di una torcia elettrica mi abbaglia all’improvviso.

- Ah mi pareva che trovare due uomini che picchiano come lei, in un solo giorno, fosse troppo, caro Migol!-

E’ Smith, lo conosco dalla voce sempre un po’ beffarda.

- Metti via la pistola Charlie, è un amico, anzi un cliente addirittura! -  Si avvicina.

- Ci scusi mister Migol, non potevo immaginare che lei venisse a trovarsi proprio di fronte alla mia macchina! Questi due lavorano per me e tutti e tre stiamo lavorando per lei! Dove va? Vuole un passaggio?-

- Grazie, anch’io ho una macchina! Voglio far due passi per calmare i nervi prima di andare a letto.

- Se è così spero di avere contribuito al suo sfogo -  è il primo aggressore che si sta rialzando. Sorrido

- Certo, mi sento molto meglio ora!-

- Io non posso dire altrettanto, ma pazienza. Ci sarà forse un’altra occasione adesso che ci siamo conosciuti.

- Bene. Abbiamo da fare. -  Taglia corto Smith e tutti e tre risalgono in macchina.

- Arrivederci illustre. La macchina si allontana veloce.

 Il portiere non voleva farmi entrare. L’infermiere neppure. Il dottore poi lo escludeva nel modo più a soluto: sono accanto al lettino di Helen. Mi guarda con gli occhi sbarrati ma non mi riconosce:

- Erano tanti, tanti, tanti, tanti, tanti... -  cantilena con voce atona e priva di senso.

- Helen, sono Jack, sono il tuo Jack! Guardami bene, Helen!-

 

Non c’è nulla da fare. Mi chino su di lei per baciarla.

-…tanti, tanti… ooh che bella villa... mi piacerebbe tanto andare a fare quattro salti innocenti... Ma il mio Jack è lontano, lontano... E io sono sola mentre loro.. oh, loro sono tanti, tanti, tanti, tanti...-

Ho ascoltato con attenzione tutto ciò che Helen ha cantilenato: una villa, ecco un indizio dunque final­mente! Ma quale? Quaggiù ce ne saranno due o tremila…

Intanto la poveretta continua la sua cantilena. La guardo ancora: è tanto bella anche se non è più lei. E’ pallida, quasi trasparente e non si muove, non sbat­te neppure le palpebre, lei che era tutta un soffio ar­dente di vita!

Sento le lagrime salirmi agli occhi. Le prendo una mano: è fredda, bagnata di sudore.

- Povera Helen! In che stato ti hanno ridotta! Ma ti vendicherò, ci vendicheremo, vedrai, dovesse es­sere l’ultima cosa della nostra vita!-

Le lancio un ultimo sguardo e me ne vado.

 

Un’ora più tardi sono di nuovo a casa. Seduto al buio sulla veranda, sto cercando di stabilire una zona entro la quale Helen poteva fare una passeggiata la sera.

Non credo che si allontanasse molto da casa. Forse la villa maledetta è proprio accanto alla mia, forse è una di quelle che intravedo tra gli alberi...

Il telefono interrompe le mie meditazioni. E’ Lili che mi augura la buona notte e che mi prega di passare il mattino dopo nell’ufficio di suo padre che vuole parlarmi.

Prometto e riaggancio.

  

CAPITOLO V

 Verso mezzogiorno arrivo, sbarbato e ripulito, agli Studios di Carter. Sono subito ricevuto. Carter mi sem­bra di buon umore, cosa che gli accade di rado e che di solito non lascia trapelate, ma oggi invece lo porta scritto in faccia.

- Caro Jack, come va ? -  Sì, è proprio allegro, deve aver concluso un affare terribilmente vantaggioso.

- Non c’è male, grazie. -  Nessuno parla per un momento, poi riprendo io:

- Perché mi ha fatto chiamare?-

- Voglio che tu torni in Europa a concludere quell’affare.-

- Lei sa che ero già a buon punto quando ho ricevuto il suo telegramma.-

- Certo caro Migol, per questo devi tornare lag­giù e concludere al più presto prima che si muova qual­cun altro.-

- Mi dispiace. Io non mi muovo.-

- Cosa? Suvvia ragazzo mio. Lili ti accompagne­rà: non è mai stata in Europa e mi pare che tu sia la persona più adatta per fargliela conoscere.-

- Mi dispiace. Io non mi muovo.

- Ma perché! Ormai le cose sono in mano alla polizia e tu non hai più nulla da fare qui. Lili verrà con te e…  mi pare che non ti dovrebbe dispiacere.-

- Io non mi muovo.-

-  Testardo cocciuto! Vuoi capire che ho bisogno che tu torni a Roma? Vuoi capire che se ti affido Lili è perché mi fido dite e voglio... sì, insomma mi pia­cerebbe che tu... che voi... uffa, mi hai capito!-

Carter è buffo così. Non l’avevo mai visto imbarazzato. Mi dispiace davvero.

- Io non posso muovermi, prima li ucciderò tutti.-

Carter non sa più che dire. Aspetto che sbotti da momento all’altro in una di quelle sue terribili sfu­riate invece resta calmo. Credevo di conoscerlo bene ormai,  ma ha del recupero.

- Sei proprio fissato. Ti vuoi rovinare. Te l’ho già detto: padronissimo!-

- Lei lo sa quanto amassi mia moglie: sono... mi hanno rovinato, non le pare? Ora tocca a me!-

- E va bene non partire. Ma che farai? Io qui non ho nulla adesso per te...-

- Non si preoccupi per me: troverò anche i quattrini ­che mi serviranno in qualche modo e comunque grazie.-

Faccio per andarmene. Non credevo però che il vecchio mi avrebbe liquidato.

- Aspetta!

Mi volto: gli occhi di Carter sono scuri, pieni di collera e di preoccupazione. Non se la prende mai per nessuno, è un uomo duro il vecchio! Possibile che si sia rammollito tutto un tratto tanto da non soppor­tare la vista di un impiegato che se ne va per sempre? Ci deve essere dell’altro: forse lo zampino di Lili.

 - Lili non vuole che tu lasci me e gli Studios. Credo che quella sciocchina si interessi di te. Resterai qui.-

- Grazie ma sarò molto occupato per le mie cose. Lili mi vedrà di rado ugualmente. Peccato perché vostra figlia mi fa sentire terribilmente giovane e felice.-

Il  volto di Carter si spiana: l’avrei giurato che era tutto per la sua Lili il dolore che aveva dipinto sul volto. Io avrei anche potuto buttarmi da un ponte che non avrebbe battuto ciglio, ma di colpo sono diventato prezioso ai suoi occhi, come tutto ciò che piace a Lili!-

 

Lili è al cancello con l’auto. il motore è acceso: Mi aspetta. Vuole andare a fare un giro.

Lili è l’unica che può distogliermi dal mio lavoro. Lo sento e devo stare in guardia. Ma per oggi mi dico che posso perdere ancora tempo. Qualcosa sta maturando nell’aria: non mi sbaglio mai in queste co­se io. E poi ho deciso di attendere la prima relazione di Smith. Non si sa mai, comincio a ricredermi sulle sue effettive possibilità.

Lili preme l’acceleratore e punta in direzione della campagna. Ci siamo in poco più di mezz’ora.

- Ti piace questo posto? -  mi sussurra fermando la macchina.

Siamo sulla sponda di un meraviglioso laghetto sorgivo, circondato da boschetti di agrifogli profuma­ti. La giornata è calda ma il sole non penetra attraver­so i rami fitti dei cespugli e dal lago sale una deliziosa frescura.

- E’ stupendo, fresco come te. -

I complimenti non sono il mio forte e me ne dispiace in questo momento.

Lili scende e si mette a correre lungo la riva del lago. La inseguo ridendo e la raggiungo in poche de­cine di metri. L’afferro per la vita e lei si lascia andare. Scivoliamo per terra ridendo come bambini. La guardo: i capelli sono sparsi tra il verde dell’erba. I suoi occhi rispecchiano il cielo. Il petto si alza e si abbassa per il lieve affanno della  corsa e forse per un affanno più profondo, più intimo.

Risalgo in macchina di mala voglia: oggi ho respinto una cosa che sarebbe stata tra le più belle della mia vita, e non l’ho fatto per Helen, anche se cerco di convincermene, no, l’ho fatto per Lili, perché non dovesse piangerne dopo...-

- Guida tu. -  

Lili mi cede il posto ed io prendo il volante.

La strada è deserta. Tutto sembra melanconico e soddisfatto. Il sole scende dietro agli alberi contento di aver dato tutto se stesso per quest’altro giorno di vita, gli uccelli fanno i loro ultimi voli stanchi ma felici, e tutto il creato sembra mollemente esausto.

Volto a U e mi rilancio sulla strada che già ho percorso. Lili mi guarda sorpresa e poi sorride: ha capito ed è felice.

 Il laghetto è sempre là, appena un p0’ più scuro, po’ più discreto.

Lili si stringe a me, in modo più completo, fiducioso. Anche i suoi occhi sono meno brillanti ma più dolci, meno maliziosi ma più adorabili.

La lascio sulla soglia della sua villa dopo averle dato un lungo bacio.

-  Addio piccola, forse un giorno, chissà... adesso devo compiere un dovere. Addio!-

-  Non dire altro amore! Ti amo e aspetterò. Ma non dirmi mai addio, non dirmelo mai più, mai più...-

 

Accelero bruscamente e solo quando sono già lontano mi ricordo che la macchina è la sua.

 

 CAPITOLO VI

 La mia piccola casa è tutta immersa nel buio e come mi appare tra gli alberi, sento un nodo alla gola.

Eppure devo vincermi, devo vivere in quella casa devo aspettare lì che Helen guarisca, dopo forse ce ne andremo, lontani da questo porcaio e lontani da

Lili che sta diventando troppo importante.

Io amo Helen, Lili non è che una ragazza viziata che vuole avere tutto ciò che desidera.

In parte soddisfatto da questo mio ragionamento, mi alzo per andare a letto, quando un urlo lacerante attraversa l’aria.

Mi fermo ad ascoltare: più nulla.

Mi era parsa una  voce di donna.

Mi distendo sul letto ma il sonno non viene.

Mi alzo, fa caldo per questo non mi riesce di dormire. Ripenso a quell’urlo. Forse anche Helen ne lanciò uno simile quella notte. Forse...

 Sdraiato sulla veranda mi lascio andare nella ricostruzione minuta e straziante dei particolari che de­vono aver indotto Helen alla follia e sento in me centuplicarsi l’odio per i suoi carnefici.

Non ne posso più. Lunghe gocce di sudore mi ri­gano il volto... Devo uscire, devo ucciderli tutti...

Apro la porta e scendo lungo il vialetto del giardino. Al cancello c’è qualcuno. Mi è parso di vedere un’ombra.

Mi avvicino con cautela. In tasca sento il peso rassicurante della Colt 45 che ho preso prima di uscire.

Apro il cancello di colpo e balzo fuori: appoggiata al pilastro di centro c’è una donna. I suoi abiti sono a brandelli e sanguina da più parti. Larghi lividi le macchiano la pelle che si intravede in più punti. Ha gli occhi chiusi e lunghe lacrime silenziose le solcano il volto.

La prendo in braccio e la porto dentro in casa.

Non apre neppure gli occhi. Cerco di curare le sue ferite, tutte superficiali, graffi, e di farle in­goiare qualcosa di forte.

Alfine mi guarda. Ha un lampo di terrore ma poi guardandosi attorno si rassicura:

- Dove sono?-

- A casa mia signorina. Mi chiamo Jack Migol.-

Vuole alzarsi. L’accompagno su di una poltrona.

uscita da una gabbia di gatti arrabbiati!

- No, non gatti... -  Il suo accento è stanco, rassegnato.

- Qualcuno l’ha assalita, l’ha...

- Sì, mi hanno presa mentre passavo davanti alla villa dei Barison. Mi hanno fatto annusare qualcosa per cui ho perso i sensi e quando mi sono riavuta... -

L’afferro per le spalle:

- La villa dei Barison, ha detto? E l'hanno violentata? Erano tanti uomini nudi?-

- Sì, si, mio Dio, che schifo.

- Mi aspetti qui e non si muova per nessuna ragione. Non lo faranno più a nessuno. E’ stata la ultima loro vittima, può esserne certa!-

 Fuori è buio. Forse saranno le tre.

La villa dei Barison non dista dalla mia più di un chilometro: è compresa certamente nella zona in cui io immaginavo potesse aver passeggiato Helen quella notte...

Conosco i Barison. Circolano qui ad Hollywood certe storielle sul loro conto da far accapponare la pelle...

Sono tra i più ricchi d’America e questo permette loro di fare tutto ciò che vogliono impunemente. Ma con me non sarebbero valsi tutti i loro milioni di dollari.

Gentaglia!

Intanto cammino a passo svelto. A quest’ora non passa nessuno da queste parti. Estraggo la 45 e continuo più veloce.

Non vorrei non trovare più gli amici. Li prenderò

Tutti in una sola volta. Ho dodici colpi: basteranno. Ecco la villa! Maledizione: tutto è buio. Devono es­sersela filata...

Mi accontenterò di uno! Canterà, dovessi torturarlo tutta la notte...

Così arriverò agli altri...

Il cancello è chiuso. Faccio passare una mano tra sbarre: sono fortunato il chiavistello è solo a mano, temo. Lo tiro e il cancello si apre senza il minimo rumore.

Un cane mugola ma sembra alla catena perché non muove.

Tutto il resto è immerso in un silenzio profondo. Non vorrei che la piccola si fosse sbagliata...

Non mi resta che andare a vedere. Avanzo con passo deciso verso la porta d’ingresso e m’attacco al campanello che squilla a lungo.

Una voce si fa udire dalla griglia un portavoce:

- Chi è ? - Mi fingo ubriaco:

- Vieni aprire.. ho... ho dimenticato una cosa...

- Chi siete signore?

- Un amico... non riconosci più gli amici... i vecchi amici...

- Ma... non vi conosco!-

Il mio uomo cerca di richiudere. Infilo un piede tra i battenti e con una spallata spalanco la porta. La Colt che impugno terrorizza il cameriere che balbetta:

- Io sono pagato, signore... Per carità, io non c’entro!-

- Dove sono quei porci? -  sibilo, avvicinandomi.

- Non c’è più nessuno, sono andati via tutti. Vi prego signore,  io...-

- Lo so, lo so... tu sei pagato eh? Sei pagato correre anche questi brutti imprevisti. Mi dispiace amico, cercherò da me!-

Il calcio della pistola lo colpisce sotto l’orecchio. Si affloscia a terra senza un gemito.

Mi guardo intorno. Tutto è tranquillo. La grande hall illuminata è deserta e tutto parla di rispettabilità qui in giro. Ma ormai sono sicuro di essere capitato giusto.

Sopra è tutto immerso nel buio. Cerco un interruttore. Un largo corridoio si inonda di luce. La porta sul fondo è aperta.

Mi avvicino. Un pesante respiro viene di là. Deve essere il mio uomo che smaltisce l’orgia della notte. Faccio correre la mano sullo stipite e accendo la luce.

Un lungo tavolo pieno di bottiglie, piatti, bicchieri in un caotico disordine mi dice che sono sulla giusta strada. Cuscini, poltrone, divanetti sono sparsi nel resto della camera. Ma non c’è nessuno.

Una pesante tenda di velluto rosso chiude il fondo della camera. Mi fermo un attimo ad ascoltare: il respiro rauco si fa di nuovo sentire.

Tiro  la tenda. Seminudo, sdraiato in una tempesta di coperte c’è Barison. Tutto intorno alle pareti, quadri e statue pornografici.

Mi avvicino a questo monte di grasso e gli lascio are una pedata in uno stinco. Non si sveglia, ma un lamento mi dice che ho colpito giusto. Una seconda pedata lo sveglia e cerca di alzarsi in piedi. Un calcio nel basso ventre lo fa desistere e lo manda a mugolare un po’ più in là. Metto via la pistola, per ora non serve.

Barison mi guarda con i suoi occhietti porcini, pie-di terrore.

Gli metto un piede sul collo e comincio a premere.

- Scusate se non adopero le mani, ma mi fate schifo, mister Barison!-

- Cosa volete? -  riesce a domandare. Aumento la pressione.

- Vuoi saperlo eh? i nomi dei tuoi amici che erano qui stasera!-

- Toglietemi questo piede di dosso, vi dirò tutto... -Mi faccio indietro impugnando nuovamente la pistola. Si rialza.

- Prima però ditemi chi siete voi e che cosa fate a casa mia! -

Il suo tono è arrogante, sento un desiderio matto di premere il grilletto. Il clik della sicura fa indietreg­giare il grassone.

- Non fate sciocchezze. Se volete del danaro ve lo darò...-

- Si dà il caso, caro Barison, che a me del vostro danaro non freghi proprio niente...-

- Vi siete divertito abbastanza?-

- Non ho ancora incominciato. Voi invece state per finire... Lurido porco vi è piaciuto torturare quella povera ragazza per soddisfare il vostro sadismo, dimmi i nomi dei tuoi sozzi compari prima che mi stanchi vederti vivo...-

- Ma che ragazza d’Egitto! Era una sgualdrina e l’ho pagata profumatamente! Le ho sempre pagate io le donne e bene anche!-

- Guardami bene in faccia verme schifoso, guardami in faccia... Lo sai chi sono? Lo sai? -  ho perso il controllo, vedo Helen al posto di quella poveretta.

- Non... non la conosco signore... ma stia attento con quella postola... Per carità.., non può uccidermi... non posso morire così...-

- Sì che puoi vigliacco e te lo dimostrerò... Hai osato toccare la donna migliore del mondo... hai osato insudiciarla con le tue mani... Ti ucciderei anche se avessi soltanto osato guardarla...-

- Migol, pietà! Non sapevamo che fosse tua mo­glie. Lo giuro... era buio nella camera... l’abbiamo saputo dopo... Ferma!!!-

 

Il rombo della 45 ha scosso la casa. Gli ho pian­tato un proiettile da qualche parte.  Barison è tornato per terra, copioso sangue gli esce dal ventre e si me­scola rosso al rosso del vino che bagna il pavimento.

- Dimmi i nomi degli altri.-

Raccoglie le sue ultime forze e ride, ride convulsamente, mentre le lacrime gli si raccolgono sotto gli occhi per lo spasimo.

- Non saprai mai...-

Le sirene della polizia mi hanno sobbalzare. Forse

lo sparo ha attirato la loro attenzione o forse è il ca­meriere che si è riavuto e l’ha chiamati.

Devo far presto. Fortunatamente la cinta è poco alta. Mi isso sulle braccia per saltare dall’altra parte quando vengo illuminato in pieno da un fascio di luce.

- Fermo o sparo! E’ qui, venite!-

Mi lascio cadere dall’altra parte del muro mentre due spari rimbombano alle mie spalle.

Ringrazio me stesso di non aver preso la macchina altrimenti ormai saprebbero con chi hanno a che fare.

Un’ora dopo sono a casa. Ho fatto un giro vizioso per arrivarci ma credo che nessuno mi abbia visto.

Ma la prudenza non è mai troppa. Non accendo la luce all’ingresso e corro a vedere come sta la piccola che ho ricoverato.

Si è messa in ordine e adesso, ben pettinata, è davvero carina.

Due violenti colpi alla porta mi fanno sussultare.

- Qualcuno mi ha riconosciuto... Senti piccola, spogliati ed entra nel mio letto!-

- Ma... io...

- Su non fare storie, devono credere che sono stato con te tutta la notte, capito?- 

 Mi svesto in fretta: non c’è tempo di badare all’educazione. Per fortuna è una ragazza sveglia e si toglie tutto di dosso. Non posso non ammirare le

sue forme. M’infilo il pigiama e scendo ad aprire.  Stanno bussando per la terza volta.

- Vengo, vengo!-

- Aprite, Polizia!-

- E chi altri poteva essere con questi modi? - penso ma mi fingo stupito aprendo la porta:

- Cosa volete da me a quest’ora?-

- Sei sicuro Sam di averlo riconosciuto?-

- Beh... Mi è parso...-

- Che c’è? Chi mi deve riconoscere?-

-Senta non faccia domande, è solo in casa?-

- Beh -  mi fingo imbarazzato -  solo no... insomma c’è una donna!-

- Dobbiamo interrogarla. Ci faccia strada!-

Fingo di protestare ma intanto li accompagno sopra.

Spaurita, con le coperte tirate fin sopra il naso i capelli sciolti sembra davvero un alibi credibile. E’ furba questa ragazza: ha fatto sì che un pezzo di  fianco nudo s'intraveda tra le pieghe del lenzuolo Così la s’indovina tutta nuda, senza vedere i grossi lividi che ha sul corpo.

- Credo sia inutile interrogarla. Buona notte mister Migol. Vecchio Sam, questo stanotte non saltava muri di sicuro!-

- Ma scusi, tenente, cos’è successo? -  chiedo interessato e un po’ impaurito.

- Niente, niente... Continui le sue cose -  e strizza l’occhio -  sulla sua sicurezza vegliamo noi!-

- Grazie tenente, grazie!-

La porta si richiude alle loro spalle appena in tempo per impedir loro di sentire la mia irrefrenabile risata.

Torno su in camera. La ragazza non s’è rivestita.

Sta guardandosi i lividi quando io rientro e non fa il gesto di coprirsi.

- Cara signorina, a proposito come si chiama?-

- Mi chiamo Susanna e lei? Jack? 

 

CAPITOLO VII

 E uno. Stamattina mi sento bene. Uno di quei porci ha pagato fino in fondo. Gli altri subiranno lo stesso trattamento prima o poi.

Questa volta sono capitati proprio male. Salto sulla macchina di Lili e vado da Carter. Nel suo ufficio il vecchio sta confabulando con Crisle, un altro dei grandi di Hollywood. Sulla grande scrivania c’è una copia del Motion Picture News. Un grande titolo in prima pagina annuncia:

 UN EFFERATO DELITTO TOGLIE LA VITA A GEORGE BARISON.

 Carter me lo spiega davanti agli occhi:

-  Hai visto la novità? La Parson avrà di che scrivere per un mese!-

-  Perbacco -  fingo -  Barison era uno degli uo­mini più ricchi di Hollywood!-

-  Dica pure d’America!-  E’ Crisle che ha parlato.

Crisle lo conosco di vista. E’ un pezzo d’uomo sul­la cinquantina, alto e muscoloso che non denuncia l’e­tà che ha.

-  Ti presento Jack Migol, il migliore dei miei collaboratori. Jack questo è Crisle.-

Ci scambiamo una stretta di mano potente che mi lascia il braccio indolenzito.

- Qualcuno che lo odiava. Aveva tanti nemici e,  detto tra noi, ne ha fatte di tutti i colori !-

Lo sguardo di Carter mi penetra dentro. Forse sospetta di me.

Crisle anche mi fissa.

- Legga, legga l’articolo.-

- Bah, non m’interessano queste cose! E giornali ne raccontano delle storie! Vedrà che quanto prima si scoprirà tutto e sarà la più banale delle cose,  come al solito!

- Ma caro mio -  dice Carter -  Non è di Barison che m’interesso, ma la sua morte è molto importante! Non ha figli e tutti si butteranno come sciacalli per rubargli i migliori contratti!-

- E con questo? -  mi ostino a non capire.

- E con questo, voglio che tu ti occupi de e che i migliori contratti glieli rubi tu!-

- Okay Carter! Ma lei sa quanto sia occupato questi giorni e...

- Sì, Lili mi ha parlato. So che siete molto occupati. Ma la cosa è urgente.-

- E va bene, vedrò quello che potrò fare.

- Crisle è socio con noi in questo affare -  precisa il vecchio.

- Vada subito alla Metro, Migol, al teatro n. 15   girano “A man alone”, ci troverà Carl Ustin: lo faccia firmare per noi, a qualunque prezzo.

- Vado. -  Esco con la sensazione dei loro sguardi inchiodati addosso.

 Carl Ustin è un bravo ragazzo. Non mi è difficile convincerlo a firmare.

Sto per andarmene quando mi prende per un braccio.

- Non è sorpreso che abbia firmato subito per lei, Migol ?-

- Beh... Le condizioni che le ho offerto sono piuttosto vantaggiose, no ? Cinquecentomila al mese... mi pare che..-

- Guardi: questa è l’offerta di Goldsee... -  e mi fa vedere un offerta di contratto del doppio.. Fischio per lo stupore.

- E allora perché diavolo ha accettato la mia offerta?-

Mi guarda furbescamente, ammicca e poi mi sussurra:

- E’ per Susanna. E’ mia sorella.- Fingo di non capire.

- Susanna ? Non la conosco o forse si... Conosco due o tre Susanne… quale dice lei? -

- Capisco mister Migol. Ma di me si può fidare. Comunque ora sa il perché.-

- Ustin in scenaa! -  urla una voce.

- Arrivederci Migol, e se avrà bisogno di qualcosa venga da me: ho discreto mucchio di dollari che sudato con Barison!-

- Grazie Ustin. Spero di non averne bisogno. –

 

Esco dai cancelloni della Metro senza rispondere

al saluto del portiere. Insomma mi pare che sappiano che io ho ucciso Barison

Tutti... Se così fosse gli amici di quel porco si sentiranno correre dei brividi lungo la schiena...

Forse se mi  facessi un p0’ di pubblicità, si scoprirebbero, spinti dalla loro stessa paura.

Sì, credo davvero di averli tutti in mano  anche se ancora non so chi sono.

 

Non so che fare. Gironzolo un po’ per i quartieri alti Beverly Hill. Chissà se Smith ha già concluso qualcosa!

Spinto dalla curiosità suono al cancello del piccolo cottage.

Joe viene ad aprirmi. Mi guarda senza rancore.

- Il padrone verrà subito.  -

- Scusami Joe per l’ultima volta... -

- Lasci andare! Mi congratulo con lei. Mi piacciono gli uomini decisi e... Sì, insomma lei mi piace mister Migol!-

E’ davvero un bravo gigante. Lo seguo in casa. Alexis non si fa attendere molto.

- Caro Migol, è l’impazienza o qualcos’altro che la  spinge da me?

Perbacco che anche questo sappia?

-  Che altro mai se non la curiosità di sapere ciò che ha scoperto ?-

- Mi dica invece quello che ha scoperto lei.-

- Sono io o lei che paga ? -  Sorrido ma le mani cominciano a prudermi. Non mi piace essere apostrofato in questa maniera.

- Lei, lei. Ma non credo che sia stato con le mani in mano in questi giorni.-

- No, le ho usate per grattarmi la pancia.-

- Ecco, credo di aver qualcosa che la sorprenderà.-

Sogghigna come una volpe.

- Caro mister Migol - riprende sempre beffardo mentre io mi riprometto di spaccargli i denti un giorno o l’altro -  si tratta di Barison! – mi guarda per vedere l’effetto che fa.

Nessun effetto, continuo ad ascoltare

- Barison, buon’anima, era abituato a riunire in casa alcuni suoi amici, per lo più gente legata a lui da interessi o da contratti solidi come il marmo, come Ustin, Temple e altri, coi quali si intratteneva in lunghi conversari... Ora ho buone ragioni per credere che sua moglie... Beh, che sua moglie sia passata di là, quella sera.-

- E’ tutto ? -  chiedo con la massima flemma.

-  E’ tutto. Vedo che non ha più tanta smania di

vendetta oppure...-

-  Oppure? -

- Niente: idea da investigatore. Segreto del mestiere. Stia tranquillo. Ha saputo immagino della morte tra­gica che Barison ha fatto stanotte.-

-  Si, stamattina... Me l’ha detto Carter.-

 Smith ridacchia sempre. Credo che riderà anche quando lo prenderò a calci.

-  Lei ha nominato Ustin, se non sbaglio.-

-  Già Ustin era uno dei pilastri del giro del povero Barison.-

 Non so se crederci. Ustin mi è parso un giovane onesto. Forse un debole ma incapace di certe azioni.

Debbo però ammettere che Smith non ha dormito, tuttavia non ne sono contento.  Ustin, il fratello di Susanna... possibile ?

- Devo continuare le indagini. -  

La voce ironica dell’investigatore interrompe il corso dei miei pensieri.

-  No, mi pare che tutto sia esaurito e il colpevole non è più punibile ormai.-

-  Lo è già stato, non le pare ? Una pallottola nel ventre, contusioni su tutto il corpo e la bocca sfracellata da un calcio... -  mi guarda le scarpe con allusione e poi continua:

-  Un calcio come quello che lei ha dato mio povero Joe! Ricorda ?-

-  Perfettamente. E’ un colpo assai comune di box thailandese.-

-  Come vuole mister Migol. Il mio onorario è di ventimila mila dollari. -

-  Mi avevate avvertito che sarebbero stati tanti.  Vi staccherò un assegno dal libretto di Carter. Io non ho tanti quattrini.-

-  Con vostro comodo signore. -

Joe mi accompagna alla porta e vuole ad ogni stringermi la mano. Stringe forte quel gigante.

 

Salto in macchina e avvio. Quando sono fuori vista del cottage, mi fermo a leggere il biglietto che il buon Joe mi ha passato. 

Dice: Non paghi. Lo hanno già fatto altri e certo non nel suo interesse. Purtroppo non so chi sia stato. Ma cercherò di saperlo. Diffidi. 

Avvertimento inutile. Io diffido sempre.  Però una cosa è certa: qualcuno ha comprato Smith per sviarmi dalle mie indagini. Qualcuno che ha la coscienza sporca e ­che la morte di Barison ha spaventato. Ho bisogno di raccogliermi per pensare. Corro a casa.

 Non ho più rivisto Lili ed ho ancora la sua macchina.

Entro in casa fischiettando. Ma smetto di colpo.

Mi è parso di udire dei rumori al piano di sopra.

- Sei tu Jack ? -  E’ la voce di Susanna. Non è andata via.

- Sono io ? Come mai sei ancora qui ?-

- Ti dispiace Jack ?-

Mi dispiace e molto perché potrebbe essere una prova           contro di me. Però nessuno oserà accusarmi sulla base di questo perché chi lo facesse si accuserebbe di aver partecipato alla  violenza.

- Non mi dispiace! -  e salgo.

- Senti Susanna. Oggi ho parlato con tuo fratello

Era al corrente di tutto... Ma se tu non ti sei mossa di qui, chi ha potuto dirglielo ?-

Scruto gli occhi della donna. Non mi mentirà, c’è amore nel suo sguardo.

- Amore, hai un telefono! Ma gli ho detto solo ero da te e... di stanotte dai Barison. Non gli ho detto che mi hai lasciata sola per più di due ore e che sei andato...

- Dimentica piccola Susanna, dimentica tutto o ti metterai in guai grossi. -

- Stanotte sono stata fra le tue braccia come una

bambina: è stato tanto bello. Se potessi non me ne andrei più di qui.-

- Non puoi. -

  

CAPITOLO VIII

 Trilla il telefono. E’ Lili. Me l’ero quasi dimenticata. Quante cose sono successe dall’ultima volta  l’ho vista ! Mi pare un secolo e sono poche decine di  ore.

-Cara Lili, come va?-

- Brutto orso, vieni almeno a rendermi la macchina, ti pare ?-

- Volo. Tra cinque minuti sarò casa tua con una magnifica macchina che non esiterò a regalarti per sempre! -

Sono allegro e il merito deve essere di Susanna.

 Lili indossa una gonna grigia aderentissima che fa risaltare anche l’orlo degli slip e i suoi occhi prendono misteriosi riflessi dalla maglietta verde acqua che la fascia in modo meraviglioso.

- Bella ! -  Non posso trattenermi dall’esclamare

- Brutto! -  e mi tira fuori un palmo di lingua.

 La bacio prima ancora di avviare la marcia, proprio davanti a casa sua. Tanto, anche se il vecchio mi ha visto mi pare che non gli dispiaccia!

- Come sarebbe bello se potessimo stare così, amore! Mio padre mi ha detto che non ci ostacolerebbe  se noi due...-

- Lo so. -

- Perché non partiamo insieme Jack ! Se non  vuoi tornare in Europa andremo da un’altra parte, al polo magari.. ma via di qui.-

-  Ti piace così poco Hollywood? -

- Il posto è meraviglioso ma è la gente che ci vive che mi fa ribrezzo.-

 Cade un lungo silenzio. Lili butta nelle placide acque del lago, un sassolino alla volta e larghe onde concentriche fuggono verso le rive.

- Vedi Jack, anche mio padre è tanto buono con me ma è mosso solo dal denaro e coi suoi maledetti dollari crede di risolvere tutto... Quante volte l’ho visto comprare perso­ne anima e corpo! Anche oggi con un certo Smith... Sembrava una persona seria, eppure dovevi vederlo strisciare dopo che mio padre gli buttò sul muso un assegno!-

Naturalmente non mi sono mosso: Carter ha pagato Smith! Carter agiva per conto degli aggressori di He­len! Ma Carter non agisce mai per altri! Dunque.. per se stesso!!

Lili parla ma non la sento più. Anche Carter... Ma che c’è poi di tanto strano ? Carter è come gli altri ed era molto amico di Barison.

Naturalmente lo ucciderò

Stringo Lili e vorrei uccidere anche lei,  per far soffrire Carter.

- Mi fai male ! -  Lili si divincola -  Jack, che ti prende? Stai male ? Non guardarmi così... Mi fai

paura! -

L’afferro per la gola, la scuoto le straccio i vestiti di dosso. Piange ma non si ribella. La butto per terra. Odio e desiderio lottano in me.

Lili non urla, piange dal dolore.

Infine mi calmo. La bacio piano e a lungo sulla

bocca. Le ricompongo i capelli, l’accarezzo tutta e mi metto a sedere accanto.

Mi sento  male. Una gran mano mi ha afferrato lo stomaco e stringe.. Ma se saprò andare fino in fondo a questa storia so che avrò momenti  peggiori.

Devo vendicarmi di Carter in modo più terribile

perché più degli altri mi pare colpevole.

Povera Helen... erano tanti, tanti, tanti.. ma quando sarai guarita non ce ne sarà più uno, neanche uno!

Freno, ecco la casa maledetta di quel traditore!

Lili mi fa cenno di cederle il volante. Non ha ancora parlato da quando siamo saliti in auto.

- Addio -  mi dice e mi lascia con le lacrime agli occhi e tanto odio nel cuore.

Mi avvio verso casa. Così Smith si è fatto comprare

Sarebbe il caso di andargli a fare una visita, ma prima voglio proprio sentire che cosa ha da raccontarmi in proposito il caro Bisher.

Allungo il passo perché voglio passare a prendere

la mia auto.

 - Ebbene ? -  I due sobbalzano.

- Stavate preparandomi un fuoco d’artificio? -

I due tipi indietreggiano verso il fondo del garage.

- Chi vi manda ? -  Estraggo la  pistola e mi metto a sedere sul parafango anteriore della mia Cadillac.

I due tremano, sono mezzi morti di paura.

Che razza di gente mi mandano! Continuano a sottovalutarmi.

- Allora? – il tono della mia voce è conciliante. - Nessuno signore... -  riesce a biascicare uno dei due.

Sparo su di loro, deviando all'ultimo  momento il tiro con un impercettibile movimento della mano.

Adesso sono più pallidi che se li avessi colpiti.

 - Smith, ci manda Smith... ma ci lasci andare.-

- Ah il vecchio Smith eh ? Molto bene ! Stavo proprio andando a fargli una visitina. Beh, che ne direste di andarci insieme? Salite. – e accenno alla macchina. Senza dire una parola uno si avvicina alza il cofano del motore ed estrae un candelotto di dinamite collegato ai fili dell’accensione.

- Così va bene! Andiamo!-

Li faccio sedere tutti e due davanti. Io salgo dietro porto da Bisher.

Il poliziotto di guardia vorrebbe fermarmi: non è lecito entrare negli uffici della Polizia con una Colt in pugno, ma io dovevo tenere a bada i miei due.

- Sono un amico di Bisher. Vado da lui con quel regalino! -  accennò ai due.

- Venga -  il poliziotto è ancora sospettoso.

Spingo nell’ufficio i due malcapitati ed entro. Solo adesso  metto via la pistola.

- Caro Bisher, li conosce? -

- No. Mai visti. –

- Eppure lavorano per il suo caro amico Alexis Smith.-

- E perché me li porti qui, pistola in pugno? -

- Guarda, guarda... Perché stavano mettendomi  questo nel motore della mia macchina. Metto sul tavolo il candelotto di dinamite.

L’Ispettore fa un balzo indietro:

- Aiuto...

Due poliziotti mi immobilizzano.

- Ma non può scoppiare così

- Portatelo via, buttatelo fuori, è pazzo !! - strilla Bisher, ma mi sembra soltanto che non sappia liberarsi di me e in altro modo.

- Ci rivedremo ispettore. –

 E’ povero di idee il vecchio Bisher. Sono certo che c’era qualcosa di più esplosivo della paura dei suoi occhi smorti.

In pochi minuti sono da Smith.

Suono e un altro gigantesco servo viene ad aprirmi.

- Non c’è più Joe ? -  domando.

- No -  è una laconica risposta.

- Voglio parlare col padrone.-

- Chi debbo annunciare ?-

- Non c’è bisogno, sono un vecchio amico –

Abbiamo attraversato tutto il giardino quando nuovo gigante si volta di scatto col pugno teso. Mi aspettavo qualcosa del genere. Gli afferro il pugno e con la punta della scarpa lo colpisco al mento.

-  E’ un colpo che riesce sempre con le persone troppo grosse. -

Ma non mi sente. E’ crollato su un cactus e non sente neppure i graffi delle spine sulla faccia.

 Entro nel cottage. A pian terreno nessuno. Salgo in punta di piedi  la piccola scala di legno.

Da una porta vengono dei lievi rumori. La tento e non fa resistenza. Piombo su Alexis come un uragano e lo tempesto di calci, pugni schiaffi. Volevo farlo da tanto tempo.

- Toh, stronzo, ridi, ridi adesso! -  Picchio con un furore che neppure io avrei sospettato.

Dopo alcuni alcuni minuti mi fermo. Lo afferro per il bavero e lo alzo da terra con una sola mano.

- Schifoso, chi ti paga?- Che  sai di questa sporca faccenda ?-

E’ intontito. Non ha cercato di reagire. Ha perduto quell’aria beffarda che mi dava tanto ai nervi.

- Mi lasci andare…- piagnucola.

Lo schiaffeggio ancora. Perde sangue dal naso e dalle orecchie. Lo scaravento sopra una sedia:

- Parla, eroe. –

- E’ stato Carter. Ho scoperto che anche lui era da Barison  quella sera... Non sapevo come fare... Carter è un pezzo grosso, se l’avessi denunciato mi avrebbero ritirato la licenza e lui mi avrebbe fatto ucci­dere. Nessuno può mettersi  contro gente simile...Nemmeno Bisher. E’ stato lui ha consigliarmi di ricattarlo: una volta sola, come paga per il mio silenzio.

- E gli altri nomi? Fuori gli altri nomi!- -

- Mi uccideranno se sapranno che ve li ho detti!- piagnucola ancora.

Quando lo sapranno non potranno più far male a nessuno! O preferisci che ti tratti come ti meriti?-

- Non posso... non posso...-

- E va bene... -  Un pugno pesante gli cade sulla bocca spaccandogli le labbra.

E’ svenuto l’eroe. Ma io devo sapere... Mi guardo intorno. Forse quella porta laggiù porta al bagno.

La apro con un calcio a scanso di sorprese: è il ba­gno infatti. Mi avvicino alla vasca per bagnare uno straccio e vedo Joe: legato come un salame, immerso nel suo sangue

Mi riconosce e cerca di sorridere. Lo libero dai legami e lo porto di là. Lascia dietro una scia di sangue.

- Chi è stato, Joe ? -

Non riesce ad aprire la bocca. Cerca di muovere le mani ma ha un mugolio di dolore. Respira a fondo, poi riesce a parlare senza muovere le labbra gonfie e spezzate:

- E’ stato Smith... Ha saputo che io vi avevo avvisato... Mi ha fatto legare su di una sedia e poi mi ha ferito a coltellate…- sviene.

Balzo su Smith, lo ucciderei, ma mi trattengo:

- I nomi carogna, i nomi... -

- Goldsee... Galish... Decents... -

- E poi ?

- ...Crisle... -

- Sono tutti, assassino?-

- Tutti - soffia sangue ma non mi fa certo pena. Mi scosto da lui disgustato. Joe si riprende e vede Smith. I suoi occhi hanno un lampo d’odio. Con un salto gli è addosso. Lo strappa dalla sedia, lo alza e lo butta fuori dalla finestra spalancata.

Poi ricade a terra. Mi avvicino per aiutarlo ma è inutile. ­Erano le sue ultime forze e le ha usate per vendicarsi.

 Mi affaccio: il corpo di Alexis Smith,  è andato a conficcarsi sulle lance di ferro della cancellata che circonda il cottage.

 Esco di corsa. Avvio l’auto e sgommo via.

  

CAPITOLO IX

 La villa di Goldsee è all’estremità ovest di Be­verly Hill. Seminascosta da immensi pini a ombrello è una delle più lussuose del quartiere.

Goldsee non ha niente a che fare con l’ambiente cinematografico: non ha società, non teatri di posa, non contratti da sfruttare, eppure domi­na gran parte dell’industria del cinema.

Le “major” non fanno un film se lui non lo approva, nessun attore o attrice lavora se lui non dà il suo il suo okay.

E’ una specie di misterioso nume che in virtù di chissà quali meriti fa diventar legge per tutti ogni sua parola.

Quaggiù si dice che le strade che portano al successo sono tante, ma che tutte prima o poi passano per il letto di Alfred Goldsee.

Insomma Goldsee pur essendo un’ottima persona, con fama di essere caritatevole e di buon cuore (regalò un milione di  dollari in occasione della sottoscrizione per la costruzione della casa di ricovero dei vecchi artisti cinematografici) ha un piccolo neo: la lussuria. 

La sua casa stasera è tutta piena di luce. Anche il parco è tutto illuminato con palloncini e foto-flood nascoste nei cespugli. Ci sarà una grande festa.

Non è frequente in casa Goldsee, dove tutto si risolve senza chiasso e senza attirare l’attenzione dei cronisti.

Tre orchestrine piazzate nel buio dei boschetti suonano canzoni allegre anni Cinquanta.

Si balla nei piccoli viali, sulle aiuole, in mezzo a fiori profumati e sotto un cielo pieno delle meravigliose stelle della California.

Qualcuno ruba un bacio alla sua dama, forse qualcosa di più approfittando del complice buio di un albero, ma tutto intorno aleggia un’atmosfera strana per Hollywood: affabilità, dignità, cortesia.

Capannelli di foto-reporter si assiepano intorno alle cancellate, curiosi e arrabbiati che proprio nulla di interessante succeda. Poi, annoiati dell’eccessivo perbenismo della festa, cominciano ad allontanarsi mentre nell’interno tutto procede sotto l’insegna dei più banale buon gusto.

Verso le due del mattino gli invitati se ne vanno. Le luci si spengono. Giardino e villa diventano bui.

 Solo dal seminterrato, sul retro, alcune finestre strette e lunghe sono  illuminate: Goldsee, Carter, Decents, Crilse e Calish commemorano la scomparsa di Barison.

La festa era in suo onore anche se pochi lo sapevano. Ora hanno inizio le esequie vere e proprie.

Tutta la sala è tappezzata di nero con ampie decorazioni in oro. Quattro maestosi gruppi di candelabri illuminano con luce tremula tutto l’ambiente.

In mezzo troneggia un gigantesco tavolo a forma di cassa mortuaria.

Una dozzina di donne dai corpi perfetti sono in  piedi su di esso. Sono coperte di scuri veli vedovili. La loro immobilità sembra ispirata al più schietto dolore.

I cinque uomini vestono un nero smoking bordato in oro e tengono le mani sul pomo di una canna. Hanno il capo abbassato. Tutto è silenzio.

Piano, quasi venisse dall’oltre tomba, una musica triste e macabra si diffonde per la sala.

A quel ritmo pesante ma che si va facendo via via più prepotente, le dodici donne cominciano a dime­narsi.

Ad uno ad uno i veli cadono ed esse sorgono nude sul macabro tavolo.

E’ uno spettacolo allucinante.

Tra i cinque convenuti circola una tabacchiera di oro massiccio. Tutti ne traggono un pizzico di polve­re bianca e l’annusano con religiosa compostezza.

L’effetto della droga non si fa attendere.

L’orgia ha finalmente inizio dopo un lugubre discorso di Gol­dsee inframmezzato dalle oscenità volgari.

 

E’ quasi l’alba. Tutti sono esausti, e Carter lancia la solita proposta: prendere la prima donna che passa per strada.

Un cameriere viene incaricato di andare a far posta fuori del cancello.

Pochi minuti dopo una voce avverte che la “signorina” è stata catturata. Attende nella solita camera buia, ammanettata e imbavagliata al solito divano.

Uno dopo l’altro i cinque, nudi, tutti entrano nella camera buia e violentano la donna che si dimena e mugola di rabbia e di dolore. Non si  limitano alla violenza sessuale ma si divertono a picchiarla durante la violenza.

 -  Vediamo  che gattina ha pescato stasera! -  Carter ha gli occhi iniettati di sangue e ride sguaia­tamente. Prima che lo faccia lui qualcuno accende la luce.

Carter si guarda intorno socchiudendo fino ad incon­trarsi in quello della disgraziata che giace legata sul divano!

Carter crede di impazzire. La camera comincia a girargli intorno, mentre quello sguardo terrorizzato continua a fissarlo.

I capelli rossi di Lili sono madidi di sudore, il suo corpo meraviglioso porta i segni della terribile violenza subita.

Carter non riesce a parlare. Lili è lì e lui non riesce crederci poi si rende conto dell’atroce delitto che ha commesso e qualcosa si rompe nel suo cervello.

La sua risata è terrificante: si porta le mani al volto e vi conficca le unghie lasciando lunghe linee rosse di sangue.  Sua figlia! La sua cara Lili... è troppo, è troppo anche per una carogna come lui…

Si precipita fuori urlando. A testa bassa,  vuole distruggere se stesso e il mondo…

Una sola cosa può inchiodarlo nella sua rabbia e farlo tornare in sè: il freddo sorriso che ho sul volto. Mi guarda inebetito. Stenta a realizzare, a riconoscermi. Sgrana gli occhi come un pazzo:  forse è la divisa da cameriere che ho indosso a fargli dubitare di avere un’allucinazione.

Ma è un attimo:

- Tu... tu... maledetto...- mi si lancia contro. Potrei ucciderlo. Potrei fracas­sargli la testa come una noce con una di queste pesanti sedie di ebano. Ma la mia vendetta è più crudele: sarà l’unico a sopravvissuto, l’unico a desiderare di morire. Il suo castigo è terribile:  molto più di qualsiasi morte. Torna alla carica e lo afferro per il collo nudo. Lo schiaffeggio forte.

- Vecchio porco eccoti ripagato... Credevi che non avrei saputo eh? Tieni, questo è per Helen, questo è per quella povera Lili... -

Un gemito soffocato. Il rumore di un corpo che cade.

Lascio il vecchio e mi volto: troppo tardi, Lili giace sul pavimento  con un coltello da tavolo immerso nello stomaco fino all’impugnatura.

- Ecco, guarda Carter e non dimenticare... Ti lascio la vita intera per pensare a questa notte. Ricordati di Helen e di Jack Migol...-

Carter non si muove. Guarda il corpo straziato della figlia  con aria stupita e curiosa. Dondola il capo e trema. Poi sorride.

Le sirene della polizia rompono la quiete dell’alba incipiente. Sempre in tempo questi piedi piatti... Tuttavia devo fuggire e questo maledetto basement ha finestre troppo strette.

Ho un’idea. Con un colpo sulla nuca metto a dormire il vecchio Carter accanto al cadavere di Lili, che non posso guardare senza odiarmi e mi precipito verso l’ingresso della villa.

Nel passare infrango tutte le lampadine che riesco a vedere. Forse ce la farò: non mi riconosceranno.

Ho appena il tempo di arrivare alla porta che due colpi potenti mi avvisano che sono arrivati.

Guardo l’ora: Le quattro e trentacinque, perbacco avevo calcolato male... Contavo di riuscire a filarmela prima delle quattro e mezza... Susanna invece è stata puntualis­sima e li ha chiamati esattamente all’ora che le avevo detto...

Ormai non mi resta che aprire e sperare.

Bisher irrompe senza degnarmi di uno sguardo. Dallo spiraglio della porta vedo un ingente schieramento di polizia: devono aver circondato la villa! Non hanno dormito stavolta!

Intanto Goldsee sta scendendo le scale ma inebetito com’è non può costituire alcun pericolo. Piuttosto non bisogna che frughino il giardino altrimenti troveranno il vero cameriere.

-  Signori vi faccio strada. -  Prendo la torcia elettrica di Bisher e mi incammino. Sento le bestemmie dei poliziotti ai loro tentativi di accendere le luci...

Arrivo al macabro salone: tutti si fermano stupiti.

I candelabri stanno quasi per spegnersi e la loro luce è fioca. La fortuna mi assiste. Bisher ha visto il corpo di  Lili e di Carter e si china su di loro. Poi si alza e va verso la porta della camera attigua.

Sto per entrare quando mi sento venir freddo: non ho rotto la lampada in quella camera! Mi riconoscerà subito.

- Andiamo! - L’ordine è perentorio se non ob­bedisco lo insospettirò.

- Di qui non c’è nulla signore... -  tento.

- Ehi voi, non toccate niente ma piantonate tutte

 le porte! Andiamo!-

Forse ho una speranza. Tutti gli agenti sono rimasti nel salone.

Entro nella camera inondata di luce, chiudendo la porta alle mie spalle. Sull’altro la­to della camera Goldsee ci guarda con occhi assenti. Ma dietro a lui si apre una piccola porta: è la salvezza!

Bisher si volta, mi guarda in faccia  e sta per urlare quando con un colpo sotto il mento lo metto knock-out. Mi butto su Goldsee e lo colpisco allo stomaco. Si piega in due sen­za un gemito.

Strappo la giacca della divisa di dosso a Bisher che per l’occa­sione s’è messo in ghingheri, gli sfilo le brache e fuggo attraverso la piccola porta.

Un lungo corridoio sfocia in una  ve­randa. Mi infilo la divisa dell’ispettore, scavalco il da­vanzale e con un salto sono in giardino. Nessuno mi ha visto. Avanzo veloce per un vialetto.

- Ispettore? -  Ecco un blocco di agenti.

- La mia macchina! Subito! -

L’agente mi precede quasi di corsa. E ancora troppo buio perché possano distinguere il mio viso. Una decina di macchine coi fari spenti blocca la strada.

Salgo su quella che viene verso di me. Mi lascio andare sul sedile posteriore con un respiro di sollievo. L’autista avvia.

- Dove andiamo capo - l’autista domanda senza voltarsi, mentre la luce del giorno schiarisce il cielo.

- Fuori dallo Stato e non ti voltare.-  e gli punto la Colt alla nuca.

Il poveraccio si irrigidisce e guarda nello specchietto retrovisore che mando in frantumi con un colpo di pistola.  Ora preme sull’acceleratore.

 Hollywood è abbastanza lontana ormai. Gli ordino

di fermare e di scendere. Siamo in aperta campagna. Mi metto al volante e lo abbandono sul ciglio della strada.

Mi sento un po’ meglio. Mi viene da ridere pensando alla bile di Bisher quando scoprirà il giochetto. Però da oggi è meglio che Jack Migol cambi aria oppure...

Mi è venuta un’altra idea! E’ strano come la necessità renda pronti e geniali!

  

CAPITOLO X

 La villa è sempre circondata dalle auto della Polizia

- A tutte le auto della polizia, a tutte le auto della polizia... - La radio fa udire la sua voce metallica.

- A tutte le auto della polizia... Accorrete alla villa di Goldsee,  a Beverly Hill! Un certo Jack Migol è sospettato di omicidio e si trova dentro la casa…

A tutte le auto della polizia Accorrete... Accorrete e aspettate altri ordini! Tutti alla villa di Goldsee, Abbassate le tendine e spegnete i fari. Che nessuno si muova prima di ricevere altre istruzioni!-

Il comando viene ripetuto tre volte.

 Una trentina di auto, tutte quelle in dotazione nel distretto, convergono sulla villa e si dispongono intorno ­ad essa dietro quelle portate da Bisher. Nessuno osa muoversi. Gli agenti abbassano le tendine e impugnano i mitra...

Alcuni giornalisti sono giunti sul posto, ma nessun flash viene scattato: ordini superiori, dicono.

Dopo cinque di minuti la voce alla radio si fa risentire:

- A tutte le auto della polizia... A tutte le auto della polizia... Potete rialzare le tendine e riaccendere fari... Io ormai sono fuori dello Stato... invece il vec­chio Bisher deve essere tramortito da qualche parte nel­la villa... Andate a cercarlo e poi tornate a letto... Gra­zie infinite... Vostro amatissimo Jack Migol!-

La voce tace. Passano alcuni secondi prima che un urlo di rabbia e uno scoppio di risa metta fine a questa ridicola attesa.

 I poliziotti si precipitano all’interno della villa, do­ve trovano Bisher tra le braccia di un agente che sta tentando di farlo rinvenire.

- Non lo vedevo più uscire e... sono andato a vedere. Il cameriere non c’era più e c’era invece mister ­Goldsee e…. e l’ispettore, tutti e due stesi a terra senza sensi...-

- Imbecille, perché non hai dato l’allarme?-

- Lo stavo per dare adesso...

Bisher sta rinvenendo. Apre un occhio e poi l’altro, infine vedendosi circondato da agenti in divisa tira un sospiro di sollievo, ma è un attimo. Balza in piedi e grida:

- Dov’è???-

- Chi? Il cameriere, capo? –

- Sì. No, cretino! Era Jack Migol! E lui l’assassino...- schiuma di rabbia. Il silenzio dei suoi scagn­ozzi è una risposta più che esauriente.

- Ve lo siete fatti scappare eh? -  gracchia col sangue agli occhi il povero Bisher.

- Ecco... -  interviene un agente -  veramente credevamo che foste voi che... Si insomma: è fuggito con la vostra divisa!-

Solo adesso Bisher s’accorge di ostentare dei poco meravigliosi mutandoni di cotone.

- Cosa??? -  urla -  Ve lo siete lasciati scap­pare con la mia divisa?-

- E... con la vostra auto signor...-

- Porc... -  gonfia le gote, sta per scoppiare. Tutti gli agenti fanno un passo indietro istintivamente.

- Venite qui... Venite qui -  adesso il suo tono è tra l’ironico e il minaccioso -  Venite qui... Le mani gliele avete battute eh?-

- Capo... Ormai è fuori dello Stato!-

- E che ne sai tu?-

- Ce l’ha detto per radio lui stesso capo...-

- Cosa?? -

Nell’angolo più buio un reporter, entrato non si sa come, sta annotando tutto con cura.

- Non si faccia parola di questo in giro. Saremo la favola di tutta Hollywood... Ma che dico, di tutta l’Unione... di tutto il mondo!-

- Certo capo.-

- Se lo acchiappo quello...-

- Avverto le polizie degli Stati confinati, capo?-

- OvviO! Sbrigarti! Ma non una parola sul mo­do in cui ci è sfuggito! Capito idioti? E lei tenente mi ceda i suoi calzoni!-

 Il     giorno dopo tutti i giornali dell’Unione riporta­vano in prima pagina la cronaca della beffa giocata da un certo Jack Migol a un certo Bisher, ispettore capo del dipartimento di Los Angeles, di stanza a Hol­lywood.

Adesso un solo pensiero occupa la mente  dell’ispettore: vendicarsi di Migol!

  

CAPITOLO XI

 La casa di Decents sorge in prossimità degli enor­mi capannoni della Metro. E’ passato un mese dal brut­to tiro di Migol e a Hollywood qualcuno vive nel ter­rore.

Decents, Calish e Crisle sanno il motivo del­la vendetta di Migoi. Sentono che egli tornerà per sal­dare. anche con loro il suo debito di odio.

Non usano più violentare le passanti adesso, non osano più far nulla. Di rado si fanno vedere fuori di casa e sempre accompagnati da molte persone.

In casa di Decents si tiene un’ennesima riunione. Manca Goldsee, che non reputa prudente trovarsi coi complici. Ha assoldato un piccolo esercito e si fa pian­tonare la casa giorno e notte. Il suo predominio sul mondo del cinema vacilla: la gente ha capito che non è  un dio o se un comune mortale può fargli tan­ta paura!

-Così non si può continuare! -  Calish si asciu­ga il copioso sudore.

- Non riesco più a combinare niente -  geme Crisle.

- Andremo tutti in rovina! -  rincara Decents.

- Finiremo come il povero Carter! Sono stato og­gi alla clinica: fa proprio pena!

- Ma... resterà sempre così? -

- Il dottore dice che è poco probabile che si rimetta!-

- Certo… con quello che è successo!

- Che demonio quel Migol! Solo il diavolo poteva architettare un’atrocità simile!-

- Forse non oserà più tornare... Oggi ci sarà la sentenza: lo condanneranno alla sedia in contumacia.

- Dicono che amasse Lili... eppure non ha esi­tato a...-

- Sembrava. -  Calish si asciuga di nuovo la faccia -  Lo so ben io che stavo spesso con Carter negli ultimi tempi!-

- Allora non c’è speranza... Uno così mostruoso…tornerà!-

- Se già non è qui!-

- Sarà in Europa invece! Con la caccia che gli stando l’FBI  e la rabbia di Bisher avrà preferito cambiare aria!-

- Può darsi, ma state tranquilli che appena noi saremo convinti di questo e smetteremo di guardarci le spalle ci sentiremo battere una mano sulla schiena e...sarà troppo tardi!-

- Uffa! Alla fine è pur sempre soltanto un uomo! -  ruggisce Decents

- Lo cercano anche in Europa. Da domani entrerà in funzione l’Interpol. Quelli te lo trovano in quattro e quattro otto, vedrete!

Il suono del telefono interrompe la conversazione.

-Hallo? Sono Decents!... Oh buon giorno ispettore! Come? Ah, meno male!-

- Che c’è?-

- Ssst! Ok, condannato! sì... sì.. sono qui: Calish e Crisle.. Sì ora metto in viva voce…ecco…-

- In nome.., eccetera.., ah ecco  condanniamo alla pena capitale il latitante Jack Migol, eccetera.... mediante sedia elettrica. L’ese­cuzione avrà luogo non appena il condannato verrà tratto in arresto.

L’imputazione a suo carico, desunta da una lunga istruttoria e appurata da questa Corte Federale il... eccetera... è di assassinio contro la persona della signorina Lili Carter, senza alcun movente.

Registrato... eccetera, eccetera... Eh? che ne dite signori?

Bisher gongola. Vede già accendersi i contatti elettrici della sedia.

- Congratulazioni, ispettore! Lei sa quanto questa notizia ci giunga gradita ma... nessuna notizia di Migol?-

- Nessuna ancora -  il sorriso è scomparso dal volto di Bisher -  Ma vedrete che presto lo arrostiremo, perdio!!-

- Ce lo auguriamo tutti caro ispettore!-

Bisher attacca il ricevitore. La gioia è già scompar­sa dal suo volto.

- Lo prenderò quel porco... Dovessi impiegarci tutta la vita! Voglio esserci quando arrostirà con ventimila volts in corpo!-

- Capo il solito vecchio per la solita sbornia!

- Ma va al diavolo! Ho altro a cui pensare io che ai tuoi randagi!-

Il    tenente prende per un braccio il povero vecchio barbuto e lacero:

-Vieni nonnino! Andiamo a smaltire la sbornia! Dove li prenderai tutti questi soldi per il whisky poi! Su andiamo!-

- Una notte ancoraaaaa, per aimartiiiii!!! -  

Il vecchio barcolla. Avrà  una cinquantina d’anni, ma l’alcool lo ha consumato presto. La lunga barba grigia incolta gli pende sul petto, coperto da una camiciola lacera e sporca.

Nessuno sa come e di che vive. Si aggira nei teatri di posa, rimediando una comparsata qua e un’altra là. Dice di aver sempre fatto così... ma che sperava di diventare un grande attore.

Lo chiamano « the Queer». Non ha casa e non ha nessuno, anche se tutti dicono di conoscerlo. Quasi tutti i giorni finisce nelle celle di qualche dipartimento di polizia a smaltire la sbornia. Il tenente del dipartimento di Bisher, l’ha preso quasi a ben volere e ha cercato di fare una piccola indagine sulle origini del vecchio. Ma nonostante che tutta la gente degli Studios alla domanda se lo conoscono rispondono di sì, nessuno sa andare oltre.

  

CAPITOLO XII

 Le corsie della clinica sono illuminate da una fioca luce violetta. Lunghe file di lettini bianchi contengono corpi di altrettanti disgraziati che la vita ha portato nei modi più diversi a dimenticare se stessi nei meandri ignoti dei loro cervelli malati.

Il dottore è contento di Helen: nonostante che parli poco e pianga spesso, il trauma dello shock sta scomparendo.

Forse tra un mese potrà ritornare nel mondo e mescolarsi tra la gente...

Non così è per Carter. Egli non è in una corsia ma in una lussuosa camera privata, come si con­viene ad un uomo che ha i suoi milioni. E’ tragico pensare all’inutilità dei suoi quattrini che tutto ciò che sanno dargli è una camera privata in una clinica per alienati! Eppure il vecchio ha dedicato tutta la sua vita ad accumularli ed è sceso a mille compromessi, a commesso decine di delitti, milioni di soprusi.

Carter è seduto sul letto. Avvolto in un camicione bianco passa i suoi giorni ad accarezzarsi le mani, per ore senza interrompersi, poi senza segni premonitori esplode in una crisi isterica. Corrono infermieri e lo serrano in una camicia di forza per impedirgli di autodistruggersi con le unghie e con i denti.

I nomi di Helen, Migol, Lili sono i soli che urla o sussurra. Non fa più paura a nessuno ormai: la sua poltrona di cuoio verde si è coperta di polvere e i suoi servitori sono i primi a rallegrarsene.

Il dottore dice che è finita per il vecchio Carter Non riuscirà mai a tornare in sè: ogni giorno che passa sprofonda sempre più nelle tenebre della pazzia. Soffre terribilmente pur non conoscendo più la causa del suo dolore. E’ veramente un inferno che avrà fine solo con la sua morte.

 Helen è quasi guarita, ma col tornare della razionalità, aumenta la sua disperazione. Non sa nulla di Jack, nulla di quanto è successo fuori da quelle mura. Non ha alcuna colpa ma si sente rovinata per sempre. Sente che non potrà più essere una donna come le altre, non potrà più far felice il suo Jack!

Non vuole neppure rivederlo: preferisce che egli la ricordi  come era prima che lui partisse: bella, calda, sana, innamorata! 

Stasera c’è un brusio per le corsie che va crescendo di tono. C’è un parlottare sommesso, uno scambio di ordini.

A causa di questi pensieri stanotte Helen ha finito di soffrire.

Il dottore preferisce scrivere sul referto che la paziente era fuori di sé e per tanto non responsabile delle proprie azioni, ma egli sa con quanta coscienza Helen abbia preferito un pezzo di corda attorno alla gola alle conseguenze di una colpa di cui era  la prima vittima.

E’ morta senza maledire e senza sapere che una terribile macchina ha cominciato da tempo a maciul­lare sua vendetta.

Gli infermieri parlottano a bassa voce: sanno tutta storia. Ma ormai chi non la conosce nell’Unione? E’ stata raccontata su tutte le riviste di gossip sugli scandali hollywoodiani.

La notizia del suicidio di Helen esce dalla clinica e rimbalza di villa in villa, di studio in studio... Entra nei teatri di posa dove la lavorazione viene sospesa per qualche minuto ed infine arriva alla stampa: sono trascorse poche ore e in qualche parte del mondo due occhi avidi ancora di vendetta la leggono con doloroso stupore.

La morte di Helen è  il fatto nuovo  di cui parlano i giornali e che forse porterà Jack Migol a scoprirsi.

Bisher invece ha un sussulto di gioia: la morte di Helen porterà forse Migol a Hollywood e da lì alla sedia elettrica ce lo porterà lui.

-Una notte ancoraaaa, per amartiii! –

Il solito vecchio già ubriaco nonostante l’ora ancora mattutina viene  condotto alla sua solita cella dal tenente Ashli.

Bisher  telefona alla clinica per avere tutti ragguagli circa i funerali della povera Helen.

- Vi vedo allegro capo, stamani!!! Buone nuove?-

la voce querula del vecchio fa voltare l’ispettore.

- Buono, non disturbare.-

The Queer cachinna e strizza l’occhio al tenente Ashi:

- E’ allegro, è allegro…. Ho han preso quel tizio là, come si chiama, Micol…Migol o è morto qualcuno…-

Ashi sorride e lo aiuta sdraiarsi sulla brandina dentro la cella.

- Buona nanna.-

- Non voglio dormire, dammi un giornale!-

- Da quando leggi ? -  risponde Ashli tendendogli una copia del Motion Picture News.

Ma il vecchio non vuole leggerlo. Lo arrotola a tubo e  mastica della carta che estrae dalle sue tasche sfondate. Usando il giornale come una cerbottana, manda con forza le palline masticate contro il muro della cella di fronte alla sua. Il tenente lo guarda divertito. Ad un tratto il vecchio punta su di lui la sua rudimentale cerbottana e lo colpisce proprio in mezzo agli occhi.

- Ah, ah! -  ride Queer -  ho ancora l’occhio di una volta!! -  felice come un ragazzino alla sua prima prodezza del genere.

Ashli scuote il capo e si allontana.

Dopo un paio d’ore Bisher è di ritorno. Accaldato, rosso come un pomodoro ma  soddisfatto:

- Tenente, stavolta se viene non ci sfugge!-

- Chi capo?-

- Come chi! Idiota! Jack Migol no? Ci sarà la sepoltura di sua moglie domattina alle dieci, io credo che ci sarà anche lui e noi lo scopriremo!-

- Forse ci sarà... ma ci sarà anche mezza Hollywood. Dovrete sospettare di tutti... magari sarà travestito da donna... o chissà forse da pastore, oppure…-­

-  Tenente! Per favore!- L’urlo di Bisher avverte il subalterno ha superato il limite.

- Dicevo per dire, ispettore…-

- Uccello del malaugurio. Se viene al funerale  domattina l’avremo in cella!-

- In fondo poi, non fu mai accertato che sia stato proprio lui a uccidere la Carter, anzi pare che l’esperto si fosse pronunciato per un suicidio...

- Ashli! Difendete quell’assassino? -

- No, però in giro si mormora che qualcuno pagò e Jack Migol fu incriminato.-

 

CAPITOLO XIII

 La cerimonia è  breve. Nel cimitero a mezza collina è già scavata la fossa. In silenzio, di fronte un a piccola folla e a una moltitudine di agenti, non tutti in divisa, ha luogo la cerimonia dell’epilogo di una vita.

E’ stata una bella vita finita male: ma ora non ha più importanza per nessuno.

Solo il vecchio alcolizzato che sta seduto accanto al pilastro d’ingresso del cancello del cimiero, si asciuga una lacrima.

Ashli vede il gesto e aggrotta le sopraciglia.

 Sì, sono io, io e piango... Ashli forse mi ha riconosciuto ma io non posso trattenere le lacrime.

La mia Helen, la mia bionda Helen, non mi stringerà mai più sul suo cuore. Mia dolce Helen,  non mi parlerai più dei tuoi sogni e dei figli che avremmo avuto... Il tuo corpo è freddo, chiuso tra quattro assi scenderà sotto terra fra infiniti altri: uguale, inutile, spaventoso.

Ci hanno preso anche la casa, sai, Helen, ci hanno preso tutto... Ma tu dormi in pace: li ucciderò tutti,

non uno, non uno si salverà.

La bara viene calata nella fossa. Il pastore benedice. Due inservienti portano una corona e la gettano sulla bara. Su di essa, una scritta che manda in bestia Bisher. Dice:

 

Chi ti sarà sempre accanto . Il tuo amato Jack.

 

Ashli sorride nel vedere l’ispettore osservare una per una le persone presenti alla sepoltura, senza notare  The Queer che piange con la testa fra le mani accanto al cancello del cimitero.

- Che vigliacco... Ha avuto paura... Sa che ci sono qua io ad aspettarlo... – mormora Bisher tra i denti e se ne va passando davanti al vecchio che ora alza gli occhi umidi su di lui.

Ashli gli sorride e tira dritto.

 Sì, sono io. Sono tornato? No, non mi sono mai mosso. L’Interpol mi sta cercando in tutte le città del mondo. Non è stato difficile, anzi era la cosa più semplice da fare. Lasciai l’auto di Bisher ai limiti dello Stato e sono tornato indietro con l’autostop.

Mi sono nascosto e dopo quindici giorni avevo già una discreta barba. Qualche straccio e un po’ di trucco del vecchio Brown, truccatore in pensione, ed ecco nato The Queer.

Quando sono stato certo che non era facile riconoscermi mi son fatto vedere da tutti a  Hollywood, e nessuno sa più dire da quanto tempo mi conosce.  Senza età e senza volto. Mi trattano più come una cosa che come una persona, per questo non sanno dire quale fu il primo giorno che mi videro.

Sono rimasto per finire la mia vendetta, io sono rimasto, tu Helen hai preferito morire, andar­tene  per sempre

 Il viottolo del cimitero è deserto. Il sole di mezzogiorno è alto nel cielo e non fa ombra.

E’ tempo di agire. Ho già indugiato troppo. So che Goldsee si fa guardare a vista e che a giorni partirà per l’Europa.  Se me lo lascio sfuggire adesso, la farà franca e chissà quando avrò un’occasione per fargliela pagare.

Non ho mai camminato tanto in vita mia. Non posso prendere una macchina perché sarebbe strano per un barbone.

Dopo un’ora arrivo davanti alla mia casa. Anzi alla mia ex-casa. Me l’hanno espropriata dopo la condanna. Voglio distruggerla, e con essa distruggere anche parte del mio passato. Non posso continuare a vivere ricercato dall’FBI e dall’Interpol.

So che il cancello ha il chiavistello debole. Basta una piccola spinta e sono nel mio giardino. Un’ondata di ricordi mi assale ma cerco di ricacciarla indietro...

Faccio tutto un giro: credo che brucerà facilmente e poi al mio scopo serve che bruci l’interno almeno ed è tutto rivestito di legno dolce.

Scende la notte. Per Helen non c’è più questa distinzione.

Goldsee l’ho legato al frigidaire con dei fili di acciaio. Nè gli uni, né gli altri bruceranno...

- Caro vecchio porco, credo proprio che tu ab­bia finito di buttare giù alcool, ma se permetti l’ultimo te lo verserò io. -  Mi guarda con gli occhi fuori dalle orbite mentre lo cospargo di whisky, inzuppandogli gli abiti.

- Chi... sei... Dove sono... Cccccccosa fai? -  Non ha ancora capito il vecchio.

- Una cosa per volta: con calma. Sono Jack Migol, spiacente di non poter togliermi la barba perché non è finta. Sei a casa mia, mio graditissimo ospite tra poco ospite della povera Helen: mia moglie come ben ricordi. Cosa faccio? Semplice: intendendo bruciare la casa e fingermi morto. Ho deciso di farmi sostituire da te che  non mi negherai questo piccolo favore, ma siccome sei piuttosto brutto e diverso da me credo che sarà bene che bruci tutto in modo che non ti possano riconoscere e dato che per tutti sei partito per l’Europa nessuno starà in pensiero. Ecco, questo è il mio passaporto, te lo metto in tasca in una busta ignifuga, magari resta leggibile… ma vedrai che quelli scientifica si faranno in quattro per decifrarli. Vedrai, è un modo di dire. Tu non vedrai mai più niente. -

- Sei pazzo! Slegami... Ti darò tutti i miei soldi, farò di te l’uomo più invidiato del mondo...  Jack, ti supplico !!!-

Trema, la paura gli è entrata nelle ossa.

 - Bene, mi pare che tutto sia pronto, ah no, manca una cosa... -  con un tubo di rossetto scrivo sulla porta  del frigidaire:

 Muoiano per mano privata gli assassini non giustiziati dalla legge!

 - Ecco fatto: penseranno che il morto sia io.-

- Mister Migol... -  Non dice altro. Il mio sguardo gli ha detto che per lui è finita davvero.

Butto un paio di latte di benzina sul pavimento e sul rivestimento dei muri.

- Mentre vai all’inferno pensa a Helen,  vigliacco ! -  Il fiammifero acceso cade nella pozza di benzina che s’infiamma, raggiungendo in un attimo ogni angolo della stanza.

Esco di corsa.

A quest’ora deve essere già arrivata la mia lettera a Bisher e tra un attimo sarà qui.

 

CAPITOLO XIV

 Il volto di Bisher si è illuminato dal riverbero dell’incendio.

Squadre di vigili del fuoco stanno vomitando dalle loro pompe getti di schiuma, ma non è facile vincere le fiamme.

Accoccolato a neppure venti passi dal caro ispettore, ci sono io, o meglio quello stupido ubriacone vecchio che chiamano Queer e a cui nessuno bada.

Ashli mi sorride: non so che cosa sappia e fino a che punto io possa fidarmi di lui. Comunque se finora non ha parlato tanto vale andare fino in fondo.

Di tanto in tanto Bisher legge un biglietto che tiene in mano: è quello che gli ho mandato io. Sorride, e pensa che se davvero ero in casa... final­mente qualcuno mi ha dato il fatto mio.

Una troupe di giornalisti accerchia l’ispettore, che si finge seccato ed è tutto gongolante di tanta pubblicità.

- Dica Ispettore: davvero dentro c’è Jack Migol?-

- Lei come lo ha saputo ? E’ la polizia che ha dato fuoco alla casa per farlo uscire ? Lo ha ordinato lei? Qual­cuno lo ha visto? C’era ai funerali stamattina? Crede che lo troveremo morto? 0 preferirà uscire ...-

 Molta gente si è riunita intorno al cordone di agenti che circonda la casa. Sono tutti curiosi e divertiti di questo spettacolo di nuovo genere che rompe la monotonia delle loro giornate.

Ma quello laggiù... toh, è Carl Ustin, l’attore! E’ scarmigliato e sembra terrorizzato. Non credo che si preoccupi così tanto per me... No, deve accadergli qualcosa di grave per correre il rischio di farsi vedere in quello stato. Ci sono le telecamere, non può farsi vedere in giro spaventato quando dallo schermo appare sprezzante del pericolo e della morte... Qualcuno lo ha notato. Si voltano nella sua direzione. Evidentemente anche lui se n’è accorto. Se ne va corsa.

Lo inseguo. Ormai non ho più nulla da fare qui.

 -Carl ! Carl !-  lo chiamo. Si volta. Mi guarda e fa per riprendere a correre.

- Fermati Carl!-

- Chi sei?

Mi avvicino e io prendo per un braccio.

- Ah, senti Queer, non ho tempo da perdere stasera...-

-Carl! -  la mia voce non è più stridula e mi erigo la persona -  Carl... Mi voglio fidare di te... Sono Jack Migol. Qualcosa non va? -

- Oh Jack! Sei tu!  Ma… Susanna è scomparsa!

- Cosa ? Susanna...-

- Sì, da stamattina... Nessuno l’ha vista, nessuno sa dove sia... Ho paura che si siano vendicati ! Oh Jack! aiutami a ritrovarla.-

- Così non vogliono smetterla eh ? Come avran­no fatto a sapere che è stata lei a dirmi il nome di Barison?-

- Ma... sai com’è Susanna... impulsiva, lei stessa può…- fa un gesto vago.

- Già, lei stessa. Lo sapevano solo io, lei e…tu!-

- Che vuoi dire?-  Arretra di un passo.

- Non voglio dire niente. Ho detto che mi voglio

fidare lo farò ! Andiamo.-

 Accompagno Cari a casa. Intanto sto pensando a Susanna. Devo salvarla. Se è caduta nelle mani di quel­la gente... la faranno pentire di essere nata! Con la bile che hanno in corpo ! Povera Susanna.

Goldsee non c’entrava: me lo avrebbe detto prima di morire se avesse saputo qua!­cosa, era una carta importante, se la sarebbe giocata. Non restano che Crisle, Calish e Decents. Forse sono tutti d’accordo. Ma chissà dove l’hanno messa, se è ancora viva.

Carl m’invita dentro. Entro e mi siedo su di un divano.

-   Questo è per lei, signore. Dicono che è urgente.- Il cameriere porge un biglietto a Ustin.

Scommetterei che riguarda Susanna e non bisogna essere troppo intelligenti per vincere.

Ma Ustin è terribilmente sorpreso: mi tende il biglietto.

- Caro mister Ustin. Ci risulta che lei e sua sorel­la, ora in nostra mano, abbiate aiutato quell’assassino di Migol. Non ci rivolgiamo alla polizia perché prefe­riamo le maniere spicce e certo non vorrà rivolgersi lei anche per un altro evidente motivo.

Se lei vuole che sua sorella viva, ci dica dove si nasconde Migol. Lei lo sa. Ci troverà al teatro n. 21 della Century, stasera dopo mezzanotte.

Nessuna firma. Chiamo il cameriere e con la voce querula da barbone, gli chiedo:

- Quando l’hanno portato ? E chi? -

- Un ragazzo. Subito dopo la posta delle quattro.-

Guardo l’ora. Mancano pochi minuti a mezzanotte. Forse non ci sarà nessuno adesso che avranno saputo della mia presunta morte tra le fiamme.

Comunque è meglio andare. Però non voglio farmi riconoscere: credo che sia il caso di tornare al vecchio sistema del cappuccio.

- Carl,  mi serve un cappuccio scuro col buco per gli occhi e questa. -  Tiro fuori da una delle tante tasche sdrucite la mia vecchia Colt.

- Oggi l’ho portata con me ! Non avevo inten­zione di andare in cella e per le altre cose avrebbe po­tuto servirmi...-

Mi guarda stupefatto.

- Io queste cose le faccio nei film... -  mormora con ammirazione.

- Su vecchio Carl. Salverò Susanna e li sistemerò, ma non voglio che mi riconoscano nelle vesti di Queer.

- Ma perché non ti togli quella barba?-

- Ma perché è vera.-  e la tiro con una certa forza.

-  Fai come mi grandi attori che rifiu­tano il trucco, facendosi tagliare o crescere i capelli, barba o baffi per immedesimarsi di più nella parte.-

- C’è l’hai un  cappuccio ? -  taglio corto perché il tempo passa: è quasi mezzanotte.

- Credo di sì. Ho sempre tenuto come ricordo la roba di scena e qualcosa di simile ci sarà. Eduard!-

- Comandi signore.-

- Cercami un cappuccio scuro. Di quelli dei settari o qualcosa di simile.-

- Vengo anch’io ? -  Nella sua domanda non c’è entusiasmo.

- No. Se ne vedessero due si insospettirebbero subito . -

- Quella è gente che non scherza.-

- Già. Io invece sono portato allo scherzo.-

Mi guarda con ammirazione. Credo che darebbe dieci anni di vita per aver il coraggio di andarci lui. Ma si nasce con le gambe che piegano sotto e non c’è niente da fare.

Non che la paura mi sia sconosciuta. Ma c’è modo e modo di sentirla.

-  Ecco signore.-

- Va bene Eduard!-

- Oh, coi bordini di velluto pure! Farò un figurone. Arrivederci Carl.-

- Auguri Jack! -  E’ commosso. Mi spiace di aver quasi dubitato di lui.

 E’ la mezza. Scavalco la cinta che racchiude i teatri della Century e mi dirigo al 21.

Li conosco a memoria, quei teatri. Proprio lì cominciai a lavorare nel cinema una quindicina d’anni fa. Com’ero ingenuo allora! Ma non è il momento per lasciarsi andare ai ricordi.

Ecco il 21!

Certo mi hanno visto. Tanto vale fare i furbi.

- C’è nessuno? -  ci metto anche un po’ di apprensione. Crederanno più facilmente che sia Carl. Intanto m’infilo il cappuccio ed estraggo la Colt.

- Non hai bisogno di vederci. Noi ti vediamo. Non  muoverti e dicci quello che devi.-

- Ma... mia sorella... dov’è ? -  devo guadagnare tempo.

- Sono qui Carl... Non parl... -  le hanno messo una mano sulla bocca.

Le voci sembrano venire da destra. Ma hanno una risonanza metallica. Se sapessero che sono io non avrebbero usato quei trucco così elementare in uso tra i macchinisti per divertirsi.

Sono alla mia sinistra., ecco pressappoco in questa direzione a giudicare dall’angolo della rifrazione.

-  Non mi piace parlare al buio con gente che mi vede e io no... e poi lasciate venire qui mia sorella prima…-

- Non fare storie ! Sei sotto la mira di tre fucili se ti interessa saperlo.-

 Corro il  quadro di distribuzione e attacco i coltelli dei contatti elettrici: e il teatro si inonda di luce. Sono a tre passi da me. Uno solo ha un fucile a pompa. Non ho mai visto queste facce, devono venire da fuori.

Approfitto del loro stupore per sradicare il fucile dalle mani del primo e spaccargli la testa col calcio del­l’arma. Un fiotto di sangue sprizza verso l’alto. Imbraccio l’arma e lascio partire una raffica.

I due revolver cascano dalle mani dei malviventi che adesso sono impegnati a tenersi le budella che vo­gliono uscire dai forellini che ho fatto loro nel pancino!

Susanna è legata sotto un’enorme chiocciola a pale. L’afferro e la prendo in braccio.

-  Attento Carl! – grida Susanna.

Mi volto di scatto con la gamba tesa colpendo in un occhio uno dei due che cercava di raggiungere la pi­stola.

- Tu non sei Carl... -  balbetta Susanna davanti a questo spettacolo.

- No. -  le dico quando ormai siamo ambedue oltre la cinta.

- E chi allora ?-

Mi tolgo il cappuccio. Non mi riconosce. E’ anche troppo buio.

La bacio.

- No. Non è possibile ! Jack !!-

- Proprio io.  Solo che per il momento ho una bella barba che ho tinto in grigio perla e metto un po’ più vecchio.-

Mi circonda il collo con le brac­cia, mentre termino di scioglierle i piedi.

 

CAPITOLO XV

 Bisher gongola. Migol è stato trovato carboniz­zato dentro la sua villa. I giornali non parlano d’altro. Mille ipotesi, mille supposizioni. Ma finalmente è morto

- Caro Ashli, te lo avevo detto che lo avremmo pescato nella giornata di ieri! La scientifica ha identifi­cato i documenti che aveva in tasca quel maiale! Car­bonizzato! Così doveva finire o in un modo o nell’al­tro! Ci ha fatto risparmiare la corrente.-

- Io al vostro posto non sarei così sicuro...

- Taci idiota! Non capirai mai niente tu! Vo­leva parlarmi, voleva cercare chissà quale scappatoia o quale ricatto... Ha avuto il fatto suo! Adesso non darà più noia a nessuno.-

Bisher sprizza gioia da tutti i pori. Spera di poter vivere in pace adesso. Chiama al telefono la casa di Decents.

- Caro Decents ! Ecco fatto. E’ tutto finito nel migliore dei modi. Grazie a me s’intende.-

- Come dite? Avreste giurato che stanotte... Vi hanno ucciso tre uomini ? Me ne occuperò. Ma non abbiate più timore per Migol: non darà mai più rogne in questo mondo.-

Decents attacca il telefono. Guarda in faccia ai due amici Crisle e Calish.

- Il cadavere di Migol è stato riconosciuto. Solo dai documenti però. Sembra che dovremmo rallegrarci...-

- Eppure non può essere stato quel coniglio di Ustin a fare quel massacro stanotte. Conosco solo un uomo capace di tanto: Jack Migol.-

- Forse stanotte non è stato un uomo solo! Che ne sappiamo ?-

- Se fossero stati più d’uno avevano l’ordine di sparare. -

- Peggio per loro.-

-Credo che si potrebbe risolvere tutto sequestrando ancora Susanna.-

-  Lasciamo perdere una volta per tutte amici.- E’ Calish che ha parlato. Ma non sembrano tutti di quel parere.

- A che pro?-

- Se Migol è morto stiamo tranquilli... Se no... E’ meglio saperlo che vivere nel dubbio -

- E va bene ! Riprenderemo quella dannata ragazza. Parlerà.-

- Perché non prendiamo il fratello? Quello canta come vede una pistola.-

- Mmmmmh ! Troppo in vista! Se sparisce avre­mo l’FBI  alle costole.-

- E vada per la ragazza allora.-

Decents tace.

- Che ne dici vecchio porco?- chiede Calish battendogli una mano sul ventre.

- Ho anche un altro piano io! Ma vorrei tener­melo per me... se va ne vedremo delle belle, ammesso che sia ancora vivo quel...-

 Susanna è tornata a casa. E’ tranquilla. Ha letto della mia presunta morte e non teme più nè per me nè per lei.

Carl è impegnato alla Metro dove interpreta « Il Cavaliere senza paura » che sarebbe lui, povero ragaz­zo! Ma oggi non gli riesce di assumere il dovuto tono neppure sul set.

Bussano alla porta.

- Che ne dici bionda di riprendere la nostra passeggiata ?-

 Due individui robusti si fanno avanti. Uno impugna un revolver e non sembrano di aver voglia di scherzare.

-  Via gattina! Fila in macchina senza far versi.-

Susanna presa alla sprovvista non ha la forza di ribellarsi. Due minuti dopo un pesante colpo alla nuca le fa perdere i sensi.

-  Eh capo! C’è quel pacchettino per lei.-

Decents si affaccia da una grande vetrata a pian terreno.

-  Portatelo sotto. E’ andato tutto bene?-

-  Meglio di così non si poteva pretendere! -  e Nick ammicca col compare.

-  Vieni puttanella...-

Susanna viene costretta a scendere giù per una scala che  porta alle cantine.

I tre giungono in un ampia sala,  umida, senza finestre: situata a molti metri sotto il livello del suolo.

Susanna rabbrividisce nel vedere strani stru­menti che le ricordano certe storie e certe illustrazioni sui tempi della Santa Inquisizione.

I due la legano a tre pioli infissi nel muro. Le due mani in quello alto sopra il capo e le gambe, aperte fino al massimo limite, vengono assicurate una per volta agli altri due, all’altezza del pavimento.

Salutata con un ampio inchino la disgraziata, i due se ne vanno spegnendo la luce.

Il buio adesso è impenetrabile. Susanna ha paura e  sente l’umi­dità del muro trapassarle i vestiti e bagnarle la pelle.

 La scomoda posizione le dà dei crampi ai muscoli.

La paura diventa angoscia e terrore, ma non grida, sa che nessuno la può sentire.

Dopo un tempo che le sembra lunghissimo, quando già non sente più né braccia né gambe,  la luce si riaccende. E’ Decents accompagnato dal figlio. Mel Decents ha venticinque anni. Dotato di una taglia atletica e di un volto aperto e simpatico, lascia un’impressione di sgomento per il bagliore sinistro che a tratti gli illumina gli occhi.

I due uomini si avvicinano a Susanna.

- Caro Mel, ho l’onore di presentarti la signorina Susanna Ustin. Sorella del grande, grande, grande at­tore Carl Ustin.-

- Cosa volete ancora da me -  la voce di Susanna è rauca, affannata, ma riesce a non far sentir il terrore che la attanaglia.

- Una piccola informazione piccola cara Susanna.-

Mel le si avvicina e la guarda con occhio esperto.

- Inoltre se posso dirglielo, lei è un meraviglioso pezzo di fica.-

Susanna sorride più sardonicamente che può.

- E allora mi liberi e mi faccia la corte...-

- Basta così. -  interviene il vecchio Decents .

- Cosa volete ? -  la voce di Susanna è imperiosa. - - Per intanto che tu cambi tono sgualdrina! -  perde le staffe molto presto il vecchio.

- Brutto porco, schifoso pancione maledetto scor­velenoso...- sbotta rabbiosa e disperata Susanna dimenandosi.

Un pesante ceffone del giovane Mel le spezza le parole in bocca.

-  Senti, mio padre è vecchio ma io posso farti cose che nemmeno t’immagini. Se vuoi continuare a vivere è meglio che  parli e subito: chi ti ha liberata l’altra notte?-

- Mio fratello. -

- No, quello è un cacasotto. La verità. Con chi credi di avere a che fare eh?-

- Con le belve più immonde che mai...-

Un altro ceffone si abbatte sulla bocca della donna, facendola sanguinare.

- E va bene… -  il vecchio Decents ha riacquistato la  calma -  e va bene ! Mel strappale quei quattro stracci di dosso.-

Al terrore si è sostituito in Susanna un odio rabbioso. E’ decisa a non tradire Migol e a mandar fuori dai gangheri i due banditi.

- Credo che que­sto sia il vostro sistema per trattare le donne, miserabili impotenti. Certo anche le vostre madri sono stata corteggiate così per far nascere simili bastardi… o forse son bastati dieci dollari eh ?-

Mel alza il braccio per colpirla ma il vecchio lo trattiene.

- Lasciala. Presto ci implorerà di perdonarla... –

Mel si avvicina con un paio di forbici. Gliele pianta nella gonna e la taglia.

In poco tempo Susanna appare tra i resti dei suoi abiti in tutta la sfolgorante gioventù del suo corpo.

-      Parla o puoi dire addio alla tua bellezza… -  le dice Mel agitando le forbici.

- Vigliacco…- sussurra Susanna tremando di paura. Mel getta le forbici e stacca una frusta dal muro.

Comincia il supplizio.

La frusta si abbatte sul corpo della donna. Ma Susanna non grida. Serra occhi e labbra e resiste.

- Parla! – grida Mel ad ogni colpo di frusta.

La donna tiene gli occhi chiusi e non emette un gemito.

 Il     braccio di Mel è stanco. Il corpo di Susanna è tutto una piaga. Ma non ha detto una parola.

I      due si guardano perplessi.

- Non c’è niente da fare per oggi: è svenuta!

- Non parlerà mai.- Mel le dà un’occhiata di ammirazione.

La camera torna nel buio un altra volta.

 

CAPITOLO XVI

 Uno ragazzo col triciclo passa e davanti alla villa di Calish e getta una copia di un giornale contro la porta d’ingresso.

Su quattro colonne in prima pagina si legge:

 L’industriale Goldsee scompare dall’aereo in viaggio verso l’Europa.

 - Guarda Crisle ! Quella vecchia volpe di Goldsee è scappato e per far perdere le sue tracce a Migol ha trovato il modo di sparire

- Tornerà. Se  Migol è morto. –

- Già. Se.-

 Hollywood è sempre la stessa. Mi sono stufato di viverci. Non mi ero mai accorto di quanto fossero carogne da queste parti.

Ho dovuto diventare Queer per capirlo.

E’ strano come non si veda il mondo girandolo  seduti in una comoda auto!

Ma Crisle, Decents e Calish devono ancora pagare.

Sono giorni che mi sto scervellando per trovare un modo sicuro per farli tutti e tre in una sola volta.

Non posso dimenticare Lili anche se ci penso il meno possibile: era tanto bella e credeva me!

Mi sento sbollire l’odio quando la rivedo con quel coltello immerso nello stomaco. E’ stata colpa mia,   povera Lili.

Ma io ho un dovere da compiere e lo farò fino in fondo!

Solo Susanna può darmi un po’ di pace in questi giorni per questo vado da lei anche oggi. Il solo vederla mi fa svanire gli strani pensieri che mi frullano per il capo.

 

La casa di Ustin è vuota. Nessun cameriere... Sembra che qualcuno sia andato via in gran fretta: la radio è ancora accesa.

L’hanno ripresa! Che idiota sono stato a riportarla a casa. E adesso... la faranno parlare, la tortureranno. For­se sanno già che non sono morto. Se hanno toccato Susanna schiac­cerò le loro teste sotto i miei piedi come ghiande marce...

- Jack... Susanna?. -  E’ Carl.

E’ inutile parlarci. E’ stravolto. Si lascia cadere su

una sedia e si prende il capo tra le mani. Piange un bambino, a lunghi singhiozzi.

- Non dovevamo metterci contro di loro Jack sono troppo forti... Questa volta la uccideranno.-

Butta un biglietto sul pavimento. Non lo raccolgo. E’ uguale all’altro .

- Sta tranquillo Cari. Vogliono me, non credo che Susanna interessi più per loro.-

Carl raccoglie il biglietto e me lo legge:

 Non ci è piaciuto io scherzo che ci hai fatto. Se hai tanta forza e tanto coraggio perché non vieni a farci vedere come Io hai trovato ? Ti aspettiamo tutti con Susanna nella cantina di Decents. Una sola parola alla polizia e tua sorella è morta.

 -   Ci andrò io stavolta Jack. Tan­to Susanna non riusciresti a liberarla una seconda volta. -

- Non si può mai dire... Ci andiamo insieme.-

- Grazie Jack... Non so perché tu faccia questo per me, ma...-

- Tua sorella mi piace.-

Arrossisce come un ragazzino. E’ proprio un bravo ragazzo.

 - Ti aspetterò stanotte alle tre, da­vanti all’ingresso della casa di Decents. Adesso torna al lavoro. Ridi e vedi se ti riesce di far credere di non aver avuto il biglietto. Parla di Susanna, ridi un po’ di lei... Insomma convinci coloro che ti ascoltano, se ci saranno che non sai che è stata rapita di nuovo. –

-  Sono un attore. Recitare è il mio mestiere. –

Salta in macchina. Sente che la vita di Susanna dipende da lui e per la prima volta in tutta la vita la paura non gli chiu­de il cuore. Anzi è contento di potersi vendicare.

 

-  Carl, dove ti eri cacciato ! -  E’ Stanley, il re­gista del film che sta girando. Carl gli strizza l’occhio:

-  Ho visto una generica... -  e accenna alle curve di una donna con un pollice.

-  Sempre lo stesso eh Carl?-

Due uomini in tuta, appoggiati ad un enorme ve­latino si guardano.

-  Andiamo in scena -  La voce dell’aiuto richia­ma ai propri doveri Carl e la sua partner.

Per tutto il giorno Carl recita euforico e allegro.

Seguendo il consiglio di Jack, parla di Susanna e delle sue scappate amorose. Spinge la finzione ad accennare al mezzo macello fatto da lui la sera prima in un certo teatro di posa...

I due uomini in tuta ascoltano. Più volte sono andati nel camerino dell’attore: il loro biglietto è sempre là, bene in vista, ma non sembra che Carl l’abbia notato.

Chiedono istruzioni per telefono: c’è il nome di Decents sul biglietto e se cadesse in mani sbagliate potrebbe essere pericoloso.

Carl finisce il lavoro e se ne va senza prendere il biglietto.

I due lo intascano: sarà meglio consegnarlo domani  a Carl di persona.

  

CAPITOLO XVII 

Per Susanna le ore passano lente e terribili.

L’hanno lasciata legata e i muscoli delle gambe e braccia si sono anchilosati.

Sente che per lei è davvero finita. La luce si riaccende. Sono i due carnefici che tornano. Ma non sono soli. Portano a braccia un‘altra donna legata.

Alla vista annebbiata dalla sofferenza di Susanna, sembra meravigliosamente bella.

Mel le si avvicina.

- Allora, brutta stronza, vuoi deciderti a parlare? -Susanna chiude gli occhi.

- Guarda che ti farò molto male se continui a tacere.-

Susanna resta silenziosa.

Il rasoio penetra nelle sue carni e Susanna grida per il dolore.

- Non sei muta! Parla!- e di nuova il rasoio le squarcia il seno. Il sangue sgorga a fiotti e la bagna il corpo.

Il vecchio Decents guarda il figlio con un po’ di stupore. Forse non s’aspettava di aver messo, al mondo tan­to veleno.

I due si allontanano spegnendo la luce.

 -   Chi sono? -  E’ la giovane che hanno portato­ ma

Susanna non può sentire. E’ svenuta e il suo sangue forma una pozza sul pavimento.

 Intanto Bisher, seduto ai piani di sopra conversa amabilmente con i due Decents.

- Così qualcuno vi ha ucciso i tre uomini di guardia che avevate messo in un teatro?

- Sì caro ispettore e senza nessun motivo: non è mancato nulla in scena.-

Bisher sorride ironicamente.

- Ci sarà stato qualche motivo, suppongo!-

- Se non credete a ciò che vi dico…-

- No, no -  si affretta Bisher che teme la potenza dei suoi interlocutori -  non questo.-

Cade un imbarazzato silenzio.

- Vi devo comunicare una novità.-

Bisher si è alzato in piedi.

- Stamattina ho avuto il trasferimento!

- Ah ci lascia?

-   Sì... Vado a New York a cominciare dai prossi­mo mese... Qui vi manderanno un altro... spero che vi troverete bene.-

- Certo che con lei... Bah, ho degli amici influen­ti a New York... Le daranno una mano.

- Troppo gentile mister Decents!- 

Sono le tre. Carl è puntuale. E’ pallido ma mi sem­bra meno spaurito di quel che mi aspettavo. Mi mostra una pistola.

- Senti Cari. Vado prima io col cappuccio. Avevo pensato che sarebbe stato necessaria la tua faccia ma spero che non sia così. Sono qui da diverse ore e tutto mi pare tranquillo. Non credo che ci aspettino.-

- Ho lasciato il biglietto nel camerino come mi hai detto e mi sono comportato come se non lo avessi visto.-

- Bravo. E’ inutile che tu rischi: sta qui fuori e agisci solo se tra venti minuti non sono tornato.-

- Come vuoi, però bada che non ho più paura.-

- Lo vedo.  Ma non fare bravate.-

- Tra venti minuti Jack!-

Gli faccio un cenno di assenso e mi avvicino alla casa.

Il silenzio è profondo.

Conosco la topografia della villa. L’ho studiata a fondo in queste ore. E poi ci ero stato un paio di volte, alcuni anni fa.

La scala per la cantina è esterna.

Una fioca luce viene dall’angolo, dopo la prima

rampa. E’ una scala lunga e va facendosi piuttosto umida.

- Povera Susanna -  penso -  chissà se sarà ancora­

viva...-

Mi ritraggo di scatto. Appoggiato a una pesante porta di ferro c’è un uomo. Non mi sembra armato però. Sta fumando col capo basso. Non mi deve aver scorto.

Piombo su di lui con un balzo di tre metri.

E’ forte l’amico ma riesco ad afferrargli la gola.

Cinque, dieci colpi sordi del suo cranio sul cemento del pavimento mi garantiscono almeno quindici minuti di azione.

La porta è chiusa a chiave. Frugo il mio uomo.

Un attimo dopo sono dentro.

Un gemito mi avverte che sono arrivato al luogo giusto e forse ancora in tempo.

Cerco un interruttore. La luce illumina uno spet­tacolo raccapricciante appesa al muro Susanna tutta rossa di sangue con un seno squarciato e, stesa sul pavimento, c’è un’altra donna legata.

Nonostante l’orrore della scena non posso non accorgermi della straordinaria bellezza della sconosciuta.

Mi guarda con occhi pieni di terrore. Penso a come devo apparirgli con quel cappuccio.

- Non sono il boia, sono il salvatore. -

Stacco dal muro la povera Susanna che apre gli occhi. Forse mi ha riconosciuto perché tenta un sorriso.

Poso per terra la poveretta e corro a liberare la seconda e imprevista prigioniera:

- Chi sei? -

-Mi chiamo Jane, signore... grazie!-

- Via -  le dico -  corri  su per le scale! Davanti alla casa c’è un amico che sta aspettando!-

Prendo tra le braccia Susanna e mi lancio dietro a Jane che ha ubbidito senza esitare.

Sulla porta, ancora svenuto c’è lo sbirro dei Decents.­

Con tutto il peso del mio corpo gli schiaccio la te­sta con il tacco di una scarpa. Un sinistro scricchiolio mi dice che mai più si presterà a certe incombenze.

 Sto attraversando il giardino quando tuonano i pri­mi spari. Mi butto per terra con la povera Susanna che mi sta bagnando col suo sangue.

Tre quattro, cinque ombre si muovono nella casa.

Se non mi muovo sono spacciato, ma se lo faccio con Susanna fra le braccia è anche peggio!

Una sparatoria. Urla di dolore.

Deve essere quei bravo ragazzo di Carl.

Corro e riesco a oltrepassare il cancello.

Dopo cento metri mi fermo. Non si ode più nulla. Solo adesso mi accorgo che ho fatto una fatica inutile: Susanna non soffre più! Sento la rabbia annebbiarmi il cervello. Bacio le labbra di Susanna: il senso di freddo che mi comunicano è troppo diverso da quello che fino a poco prima sapevano far provare.

Impugno la mia Colt e torno indietro. Sono de­ciso a farla finita.

La villa è buia e di Cari nessuna traccia!

C’è Jane invece, mezza morta di spavento.

- Hai visto Cari?-

-      E’ stato preso... Lo hanno portato dentro al villa... Io... Non mi hanno vista.-

-      Non ti ho mai vista. Chi sei?-

-      Sono appena arrivata. Sono all’Hotel Plaza... Vicino a Romanoff, a Beverly Hill.-

- te la senti di andarci da sola?-

Sì, credo di sì. – si avvia, si volta e mi guarda con quei suoi occhi blu, caldi e pieni di fascino.

- Grazie, signor...-

- Non importa il nome. Vai. -  

 La luce che proviene dalle finestre del primo piano della villa, mi riporta alla tragica realtà del momento.

Devo agire subito se voglio salvare Cari. Con Susanna ho atteso troppo, se avessi agito in pieno giorno, forse...

Ma mi avrebbero preso.

Questi pensieri mi girano nella testa sovrastati dal ri­cordo di due occhi blu profondi e misteriosi.

Avanzo piano verso la veranda al piano terreno. E’ aperta.

Non oso accendere la luce e quasi non respiro. Sen­to delle misteriose presenze intorno a me.

Ma non succede nulla. Muovo qualche passo, urto un tavolino di vimini che scricchio­la. Mi irrigidisco. Aspetto che da un momento all’altro il piombo rovente di qualche revol­ver mi entri in corpo. Stringo il calcio della mia Colt. Ma non c’è nessuno.

Salgo le scale a quattro gradini la volta. Un urlo inumano mi paralizza.

E’ la voce di Carl. Una risataccia fa eco al grido raccapricciante. Sono sulla porta.

Due uomini stanno chini su di un terzo sdraiato sopra un divano.

Hanno in mano un trapano elettrico.

Non posso pensare. Premo il grilletto ma la Colt fa cilecca. Afferro una sedia e la spacco sul dorso di quello che regge il trapano. Il rumore del legno infranto si mescola a quello delle vertebre che se ne vanno per loro conto nella schiena del mio uomo.

Non ho potuto coglierli di sorpresa tutti e due e questo è grande e grosso e non deve scher­zare. Ma non è armato e mi sto rendendo conto che di fronte a me un uomo disarmato è veramente assai po­co pericoloso.

Lo colpisco con un tremendo calcio nel basso ven­tre. Si piega in due e sto per assestargli col taglio della mano il colpo definitivo dietro alla nuca, quando mi afferra per le gambe e mi rovescia per terra. In un baleno mi è sopra. Sento un terribile dolore al mento. Vedo il suo pugno massiccio rialzarsi e calare pauro­samente sul mio viso.

Faccio appena in tempo a pararlo. Gli afferro il braccio e con uno scatto lo punto contro un mio gi­nocchio. Un breve strattone e il gioco è fatto. Mugolan­do di dolore si alza con il braccio penzolante. Devo averglielo fratturato.

Non si arrende. Con l’altra mano afferra il trapano e fulmineo mi strappa il cappuccio:

-  Che ti veda in faccia bastardo! -  sibila.

- Morirai!! -  Impallidisce.  Si aspettava Jack Migol come più o meno lo riportano le sbiadite foto sui giornali e si trova di fronte a uno che forse ha visto cento volte per le strade di Hollywood: the Queer.

Forse intuisce il trucco: non lo saprò mai. Appro­fittando del suo stupore raccolgo la pistola di Carl che sta sul tavolo e sparo in testa all’uomo.

Tre cupi rombi scuotono la villa. Vedo il suo volto disfarsi sotto i miei colpi.

Carl è svenuto fin da quando sono entrato. Me lo carico in spalla e scappo via.

Quando torna in sé si trova sdraiato a casa sua, nel suo letto.

-  Dove... Ah Jack, che cosa orribile.-

-  Calma amico. Preparati ad una brutta notizia.-

Gli occhi gli si riempiono di lacrime.

- Allora è vero... Mi hanno detto che Susanna...

- E’ vero purtroppo! L’hanno uccisa. Mi è morta fra le braccia, dissanguata.-

Si prende la testa fra le mani. Non mi chiede come ho fatto a salvarlo.

  

CAPITOLO XVIII

 Due ore dopo, The Queer,  il solito vecchio ubriaco fa il suo in­gresso nelle celle della polizia a digerire una delle più terribili sbornie degli ultimi tempi.

- Una notte ancoraaaaa, per amartiiiii!!-

 Sono molto stanco e ho bisogno di dor­mire per alcune ore. Se il povero Bisher sapesse che faccio così da mesi ormai, se sapesse che è lui a darmi l’ospitalità di cui ho bisogno...

Ma ormai mi crede mor­to! Ahhh! Come si sta bene in una cella sicura e ben guardata! Mi lascio andare e subito casco in un sonno profondo.

Il tenente Ashli mi sbircia dubbioso.

- Si, si sta proprio bene qui...-

 Il sonno viene e mi porta due stupendi occhi blu.

 Devo rivederla! Mi sveglio di soprassalto. Ashli mi fissa ironico.

- Mi faccia uscire! -  dico con la voce querula che mi sono imposto.

- Certo,nonnino! -  E’ la solita risposta ma dà una gran tirata alla barba. Credo che abbia provato una terribile delusione nel constatare che è vera e attac­cata alla mia pelle nel più naturale dei modi.

Mi precipito dal vecchio Brown.

- Struccami. Devo andare da una signora!-

-            Sei pazzo Jack! Io ti ho aiutato a ripulire la piazza di quei porci che hanno ucciso Helen, ma non ho nessuna voglia di finire i miei giorni in galera! Se ti strucco non farai cento passi che ti riconosceranno.-

- Ma no. In fondo a Hollywood non sono molto conosciuto. Sono quasi sempre stato in giro per Carter.-

- Con questa barba e qualche ritocco, forse...-

- Niente invecchiamenti eh? Te l’ho detto che si tratta di una donna.-

Il vecchio si dà da fare Le sue mani hanno conservato inalterata la velocità e la leggerezza di un tempo.

Nel giro di tre quarti d’ora sono un altro.

Vanto adesso una meravigliosa barba corvina e i capelli  di Queer hanno dei riflessi rossi.

Non mi ha tagliato i capelli il bravo Brown perché avrò ancora bisogno di tornare ad essere The Queer, ma me li ha pet­tinati alla moda. Insomma sono un altro!

Erano mesi che non provavo più piacere a guardarmi nello specchio.

Cambio gli abiti ed esco giovane e baldanzoso col mio cappuccio nero in tasca per farmi riconoscere da Jane.

 All’Hotel Plaza mi trovo a faccia a faccia con Decents. La mano mi corre all’ascella dove ho assicurato la pistola di Carl. Ma riesco a vincermi. Egli d’altra parte mi ha lanciato uno sguardo distratto e non ha dato segno di avermi riconosciuto.

Posso andare tranquillo: anche ringiovanito, con la barba e i capelli rossi non mi riconoscerà nes­suno!

Chiedo di Jane e mi fanno salire. Entro nella e un profumo di primavera mi avvolge.

Lo scroscio della doccia mi dice dove devo andare.

Mi avvicino al bagno e:

-Si può?

- No. Chi è?

- L’incappucciato salvatore, Jane…-

La doccia scroscia. Dopo un attimo viene chiusa.

- Sempre col cappuccio?-

- No.-

Esce dalla doccia avvolta in un magnifico accappatoio bianco.

Mi guarda stupita e mi pare anche ammirata!

Tiro fuori il cappuccio e faccio per infilarmelo in testa.

- Non serve mio bel salvatore, mister…? -  Mi butta le braccia al collo e mi bacia sulle guance.

- Rob Mason! -  dico senza esitare.

- Rob Mason... -  pare cercare nella sua me­moria.

- Non ho mai sentito questo nome. Sei di Hollywood immagino.

- Non proprio. Sono un amico di Carl Ustin, l’attore. Vengo dall’Europa e lui mi ha detto che c’erano certi pasticci. Io adoro i pasticci ed eccomi dentro fino al collo!-

- Sei nei pasticci?

- Sì e non so più dove guardare se tu con­tinui a girarmi intorno con quell’accappatoio semi aperto!

Ride forte. E’ irresistibile quando ride!

La bacio d’impulso ma non contraccambia. E’ la prima volta che una donna non risponde a un mio bacio.

-  Che ti prende?-

-  Che ti prende a te direi! -  e si pulisce le lab­bra col dorso della mano.

-  Ho capito. Addio Jane!-

-  Addio Rob!-

Scendo le scale furioso. Ho rischiato di essere riconosciuto per lei e poi guarda che roba! E le pallottole di ieri sera erano caramelle forse? Ma sento che ho torto io. In fondo mi ha fatto piacere questa sua reazione.

Torno sui miei passi e prendo una camera all’Hotel Plaza. E’ giusto che il signor Mason abbia una casa! Mi dico.

Oggi ci sono i funerali di Susanna. Non mi piacciono queste inutili cerimonie ma non posso man­care a quella di Susanna.

Comincio a chiedermi se ne valga la pena! Più insisto nella mia vendetta e più persone che mi amano ci rimettono la pelle!

Anche gli altri è vero, ma che m’importa degli al­tri? Chi può ridare la vita a Susanna? Avevo io il di­ritto... Oh al diavolo i pensieri!!

Ma oggi non ci sarà nessuna cerimonia. Carl ha dovuto andare in teatro. Il contratto parla chiaro e nessuna considerazione di carattere umano o sentimentale può andare contro le clausole che rappresentano gli in­teressi di gente come Goldsee o Decents e mille altri come loro.

Vado anch’io in teatro. 

Carl sta tentando di lavorare. Ma è evidente che è giù di corda.

E’ solo in mezzo a una grande foresta ricostruita e deve recitare una monologo. Porta un costu­me che risale a qualche secolo fa e non si può negare che sia bello  vestito così ! Capisco perché milioni di donne vadano in visibilio per lui!

Una quindicina di metri più su degli operai van­no e vengono sui ponti luce, per orientare i grandi archi.

E’ interessante guardare con quanta abilità si muo­vono quegli uomini a quelle altezze! Ma che succede? Non ho tempo di urlare, di avvertire Carl. Un operaio ha spinto giù un grosso riflettore...

Un rombo e l’operaio precipita colla testa fracassata.

Carl è morto. Ridotto ad una massa informe di carne sanguinolenta sotto il peso dei due quintali che gli sono piombati addosso.

L’operaio anche è morto. L’ho ucciso io. L’ho visto io spingere giù con tutte le sue forze il grosso arco.

Non osavano far fuori Carl per la sua popolarità e hanno pensato a un incidente: niente di più facile da far succedere in un teatro di posa!

Ho sempre la pistola in mano:

-  Chiunque sia stato, la pagherà! Il mondo saprà come avete ucciso Carl Ustin!-

Esco indietreggiando. Ma tutti sono più spa­ventati di me. Probabilmente nessuno di costoro sa niente.

Infilo la pistola sotto l’ascella e mi dirigo dal vec­chio amico Bisher.

 Ormai sono sicuro che nessuno mi riconoscerà. Sto per salire su un taxi quando una raffica di mitra gracchia alle mie spalle. Mi butto a terra in ritardo ma per fortuna tirano piuttosto male.

Ho individuato da dove partono i colpi. Striscio sotto la macchina.

Una seconda raffica, questa volta assai meglio di­retta, miagola sull’asfalto a pochi centimetri dal mio corpo.

Lancio un urlo di dolore e mi lascio andare riverso. Con la destra impugno la pistola e mi preparo.

Per alcuni minuti nessuno si muove.

Il mio tassista ha la bella idea di mettere in moto e squagliarsela.

La ruota posteriore del taxi mi passa sul polpaccio della gamba sinistra e mi morde crudelmente le carni. Resto immobile soffocando il grido di dolore che mi ha contratto la gola.

A questa mia prova involontaria, convinti che sia morto, i due tipi con una tuta da macchinisti addosso si avvicinano. Intorno non c’è nessuno e il rumore de­gli spari non è certo qui che attira la folla! Si spara continuamente nei film western.

Hanno la tuta dicevo, sono i com­pari di chi ha assassinato il povero Carl .Adesso sistemo questi altri due.

Sono su di me. Mi toccano con la punta di una scarpa.

-  Questo è bell’e secco!-

 Commette l’imprudenza di scavalcarmi.

Tre pallottole: due le ho sparate in mezzo alle gambe di quello che cer­cava di scavalcarmi e l’altra, sempre da terra, l’ho piantata sotto il mento del secondo!

Devo subito trovar un dottore. Perdo sangue dalla gamba, ma come fare? Con questi due porci mezzi morti che rantolano per terra...

Non sento pietà per questa gente: uccide per quat­tro soldi: giusto che per gli stessi sia anche uccisa!

Trascino i due ai bordi della strada e poi zoppico fino al più vicino telefono.

Dopo cinquecento metri, vedo finalmente la sospi­rata cassetta gialla!

L’apro, infilo il gettone e chiamo l’Hotel Plaza.

Il sangue perso mi rende debole. Sento ap­pena la sirena dell’auto ambulanza che svengo.

  

CAPITOLO XIX

 Quando ritorno in me sento due dita fresche e morbide accarezzarmi i capelli. Non apro gli occhi:

ho paura di essere disilluso.

Le dita scendono sul viso e si fanno più lievi, più dolci.

Apro gli occhi e mi perdo nell’infinito blu di quelli di Jane!

-  Andiamo ragazzi, devo rifare la fasciatura!-  

Solo allora mi guardo attorno. Sono nella mia camera al Plaza. Vuol dire che non ho nulla di grave!

- Come sto, dottore?-

-    Non è niente.

-    Fino a quando dovrò stare a letto?-

-    Un paio di settimane-

- Cosa? -  chiedo. Jane mi bacia sul naso:

-    Ci sarò io a farti da infermiera vuoi?-

-    Allora starò qui vent’anni. – Jane sorride.

-    Cara mi cerchi un foglio di carta, una busta e una penna che scriva?-

-    Hai delle amanti in giro? -  è quasi seria la mia Jane.

Ricevuto l’occorrente, comincio a scrivere. Jane si allontana.

 Carissimo Cimice, detto Bisher,

voglio informarti con la presente che ho ottenuto dal Cielo un visto speciale, per cui torno momentanea­mente in questa valle di lacrime per finire un lavoret­to che ben tu sai...

Avendo io avuto poco tempo, ho deciso di ucci­dere i tre rimasti: Decents, Galish e Crisle, domani notte verso le due o le tre.

Sicuro di avere il tuo completo aiuto mi permetto di dirti che sei una canaglia. Certo di rivederti un gior­no o l’altro, mi firmo tuo svisceratissimo redivivo,

Jack Migol

 Chiudo e sigillo. Chiamo un cameriere e lo prego di imbucare, indirizzando alla polizia.

Certamente il biglietto verrà aperto da Ashli e i giornali ne verranno subito informati.

Jane si avvicina:

-    Te la vado ad impostare io, vuoi?

- Grazie, ma alle mie amanti scrivo senza la tua collaborazione!-

Provo a muovere la gamba fasciata. Fa un po’ male ma mi regge.

Faccio alcuni passi. Posso muovermi. Meno male! Non vorrei mancare alla parola data... anche da morto!

Torno a letto. Non voglio che Jane sappia quanto ho intenzione di fare. Me lo impedirebbe.

 Le ore passano lente sul quadrante fosforescente della grande sveglia appesa al muro.

Ad un tratto mi pare di sentire un rumore. Non saprei dire se viene dalla porta che dà sul corridoio o da quella che comunica con la camera di Jane.

Scendo piano dal letto.

Qualcuno  si sta strusciando a una delle due porte.

Metto il cuscino per traverso e tiro su le coltri. Nel buio può scambiarsi con la sagoma del mio corpo.

Fa caldo. La finestra è spalancata. Il rumore sta­volta è abbastanza forte: una mano sta premendo sulla maniglia.

Mi rincantuccio a fianco del letto. La gamba mi fa male ma non troppo.

Qualcuno è entrato ed ha rinchiuso. Il buio nell’angolo tra le due porte è profondo.

Possibile che Jane sappia fare così piano? Ah ecco finalmente i contorni dell’intruso: non è Jane! E’ un uomo. Tutto fasciato di nero come un topo di albergo. Un altro uomo dei Decents, non c’è dubbio!

Spia il letto e poi si butta sopra. Ho visto balenare un coltello!

Sono prontissimo: credo che non si renderà mai conto di che cosa sia accaduto. Lo afferro per il collo e per il fondo dei calzoni e lo scaravento fuori dalla finestra.

Mi dimenticavo di dire che la mia camera è al set­timo piano.

 Mi rimetto a letto, cerco di star veglio. Ascolto i rumori che provengono dalla finestra, ma sono lontani eco di traffico. Null’altro. Cado in un profon­do sonno.

 -  Sai caro che hanno trovato un uomo sfracellato nel parco stamani?

-  Ah sì?

-  Portava un buffo costume nero da topo di albergo! Sembra che sia caduto mentre si arrampicava sulla fac­ciata dell’Hotel. Però non si capisce come abbia fatto a cadere così lontano dal muro.-

Jane mi ha portato la colazione e sul vassoio ci sono i giornali. Ne prendo uno a caso ed apro a caso.

Ho visto in prima pagina a caratteri cubitali:

 TORNA JACK MIGOL? L’uomo che ha sfidato Hollywood non è morto?

  

CAPITOLO XX

 Lo stesso giornale è posato sul tavolo di Crisle, in ufficio, dove già si sono raccolti i tre industriali mi­nacciati.

Nessuno parla.

Decents sembra il meno preoccupato:

-  Vi dico che non è Migol, deve essere un suo

amico! Lo stesso forse che mi ha ucciso un sacco di uomini in questi ultimi giorni!-

- Non può essere Migol proprio?

- No. E’ sicuro.

- Qualcuno l’ha visto in faccia?

- Sì. Qualcuno l’ha visto. Non è Migol. E’ un certo Rob Mason che vive al Plaza. Ha osato venire in teatro a uccidere un mio uomo, in piena lavorazione! E sembra che sia molto più grosso del fu Migol e molto più forte anche.-

- Comunque non è certo che sia la stessa persona papà!-

E’ il giovane Mel, anch’egli presente che ha par­lato.

- Come non è certo! E’ mezzora che dico che non è lui!-

- No, dico che può darsi che a scrivere il bigliet­to sia stato un altro!-

- Beh... Ho buone ragioni per credere di no.

Trilla il telefono. E’ Bisher.

- Siete lì? E’ un’ora che cerco qualcuno di voi!-

- Abbiamo letto i giornali...

- Ecco, appunto ho un’idea! Non è Migol che vi minaccia.-

- D’accordo ispettore! Fuori l’idea!

- Voi tre, dico Crisle, Calish e Decents non vi muovete da lì. Manderò una scorta di agenti a pren­dervi e vi metterò al sicuro, dentro l’ufficio della po­lizia, anzi nelle celle blindate se preferite e intanto vedrò di acciuffare l’autore del biglietto riportato dai giornali. Un buontempone, magari.-

Riattacca.

 Quell’idiota di Bisher pensa che si tratti di uno scherzo!-

- Sarà ma è meglio che prendiamo le nostre misure...-

- Mi ha proposto di andare nelle celle di sicurez­za, protetti dai mitra degli agenti.-

- Mi pare una buonissima idea! Vorrei proprio vedere come farebbe un uomo venirci a colpire là!-

- Ma se sapete chi è il nemico -  interviene an­cora Mel -  perché non agite per primi e lo fate fuori? Se vi hanno promesso di uccidervi tutti e tre per­ché mai state insieme per rendere, almeno in via teorica, possibile l’assassinio?-

- Caro Mel, non sappiamo nulla delle intenzioni dell’omicida. Può darsi invece che abbia voluto divi­derci e impaurirci per meglio colpire. In quanto al col­pire prima noi, questa sì che è una buona idea!-

Decents padre interviene:

- Ci abbiamo già provato: un altro dei no­stri ha perso la vita.-

- Come?-

- Buttato giù dal settimo piano.-

-  Proviamo ancora.-

- Come volete.  Rob Mason ha una gamba tritata e non può camminare.

-  Allora non potrà  ucciderci lui no?

-  Comunque vediamo di toglierlo di mezzo. Se non è lui che vuole ammazzarci ci ha dato tante noie che se lo merita lo stesso!-

-  Facciamo saltare la camera in cui si trova!-

- Si può mettere una bomba in quella di sotto…-

  

CAPITOLO XXI

 Intanto io devo tornare ad essere The Queer.

Chiudo a chiave le due porte e scendo piano, nella hall.

Ma c’è troppa gente. Meglio la via delle cucine.

In un attimo sono in strada. La gamba va benone. Un terribile boato mi fa voltare. Dalla finestra del­la mia camera esce una grande nuvola di fumo nero!

-  Jane! -  Il grido mi resta in gola.

Sta accorrendo gente. Vorrei correre, ma non posso: non posso far nulla.

Tre ore dopo torno al Plaza: sono irriconoscibile, sono di nuovo il vecchio ubriacone che tutti conoscono come Queer.

Davanti all’hotel c’è una macchina della Polizia ma per il resto l’albergo sembra normale. La solita gente sdraiata nelle poltrone della hall, i camerieri che vanno e ven­gono senza fare il minimo rumore.

- Vecchio balordo, dove vai? -  mi ero quasi di­menticato di non poter entrare così conciato.

- Ah, mi hanno detto che qui c’è stato un bel bum, poco fa!-

- Di che t’impicci vattene! -  e mi mette in mano un biglietto da un dollaro.

E’ inutile insistere. Il mondo è fatto così. Adesso sono un vecchio stracciato e non ho più alcun diritto.

Non mi resta che andare a farmi arrestare da Bisher.

 - Una notte ancoraaaa, per amartiiii! -  intono ad alta voce, avviandomi barcollando verso l’ufficio della polizia.

Canto e barcollo per le strade adiacenti. Oggi non voglio farmi arrestare troppo in­tenzionalmente.

Vedo un paio di  agenti e mi avvicino.

- Una notte ancoraaaa, per amartiiiii...

- Vattene a casa a dormire,Queer!-

- A casa, a casa... -  mi attacco al collo di uno degli agenti.

Una coppia si  ferma e ride.

- Vecchiaccio della malora, ti piace proprio eh finire dentro? Ti accontento subito!-

Mi acchiappa per la collottola e tenta di alzarmi di peso. Purtroppo peso troppo per le sue forze e mi tra­scina via strusciandomi come un sacco sul marciapiede.

- Guarda chi si rivede! -  Ashli si avvicina.

Temo che qualcosa possa andar male. Non doveva fare il poliziotto questo. E’ troppo intelligente e non farà mai carriera.

- Proprio oggi eh? -  Faccio finta di niente.

- Una notte ancoraaaa, per amartiiiii!!-

- Il capo è fuori, ma ti rinchiudo io per benino! Lo sai che il nomignolo che hai ap­pioppato a Bisher sta attecchendo?-

Sento venirmi un sudorino freddo.  Il bi­glietto che ho mandato a Bisher, lo chiamava Cimice!

-    Sì, caro nonnino, è così! Ti dispiace se oggi ti perquisisco?-

Mi tocca minuziosamente. A questo avevo pensato. Neanche Ashli troverà qualcosa.

- Una notte ancoraaaa... -  tanto per darmi un contegno.

Il tenente si diverte. Adesso è tranquillo d’aver fat­to il suo dovere.

Mi chiude a doppia mandata e mi guarda con una faccia che vuoi dire:

-  Voglio proprio vedere come diavolo farai!-

 Stanotte finirà tutto questo! Non ne posso più! Non credevo di essere capace di tanto. Credo proprio di essere quello che si dice un uomo in gamba.

 Eccoli!

Crisle, Calish, Decents, uno dietro l’altro.

-       Una notte ancoraaaa, per amartiiii...-

Si voltano di scatto e mi guardano.

- Chi è quello lì? Tenente ci eravamo raccoman­dati di non far entrare nessuno!-

- Non vi preoccupate. E’ un alcolizzato che passa più tempo dentro che fuori.. Mica avrete paura di un barbone, no?-

- Non  è il caso di aver paura o di non aver pau­ra! Siamo qui per una certa cosa e vogliamo esser soli!

-    Una notte ancoraaaa, per amartiiii!-

-    Non posso buttano fuori -  Ashli è proprio simpatico -  è affezionato al locale e poi darebbe noia ai passanti. Comunque io l’ho perquisito stasera prima di rinchiuderlo e poi voi occuperete l’altra cella, che noie vi può dare?-

-    Suvvia non siate ridicoli! Ha ragione il tenente!- meno male che mister Decents ha un senso umo­ristico spiccato.

 Bisher entra fregandosi le mani:

-  Tutta Hollywood pullula di agen­ti. Se qualcuno osa muoversi, stanotte se ne pentirà davvero!-

Mi lascio cadere sulla brandina e fingo di metter­mi a dormire.

-    Guarda, guarda il nostro vecchiaccio! -  Bisher si avvicina alle sbarre della porta.

-    Ehi Queer, stanotte avrai una compagnia di gente per bene! -  poi rivolto ai tre -  Non gli capi­tava da anni credo!-

-    Capo -  interviene Ashli -  forse dovrei... -  esita. Perbacco quel caro tenente deve avere degli scrupoli. Se parla sono fritto.

-    Cosa vuoi tu? -  Il tono di Bisher è prepo­tente.

-    Non voglio proprio niente! -  sbotta Ashli,

-    Pezzo d’idiota!-

-    Ispettore, se stanotte fa un buco come quel­lo dell’altra volta, addio trasferimento!-

Ha toccato il punto debole di quel tacchino tronfio di boria.

- Vattene cretino! Smonta e fa darti il cambio prima che perda la pazienza. -

-  Una notte ancoraaaa, per amartiiii -  Ashli imi­ta la mia voce e infila la porta d’uscita non senza avermi lanciato una sguardo e gridato:

-  Auguri a tutti!-

Tutto ha funzionato alla perfezione.

 Eccoli proprio di fronte alla mia cella: entrano, si siedono e uno di loro comincia a dare le carte.

Non sanno che sono all’ultima partita!

 Ho tutto il tempo per pensare. Mancano ancora molte ore a quella che ho stabilito per agire. Biisher è uscito per un giro d’ispezione.

Il tempo fila via, portandomi alla memoria mille pensieri.

  

CAPITOLO XXII

 Sono le due. I miei uomini si sono addormentati da quasi un’ora.

Devo agire entro un’ora. L’ho promesso a quel su­dicio Bisher...

Tre agenti seduti a un tavolo mi voltano la schiena. Mi rivolto ruttando  sulla brandina, fingendo di essere ancora ubriaco..

Uno degli agenti mi lancia uno sguardo distratto ed io ne approfitto per lasciarmi cadere a terra.

L’agente ride mentre mi strizzo gli occhi.

- E’ brutto il vino dopo eh? -  parla a  voce bassa per non svegliare i tre ospiti d’onore addormentati su  soffici lettini di gomma-piuma.

-  Dammi un giornale... Voglio leggere...-

-  Non ti va più di dormire?-

-  Dammi un giornale!! -  strillo.

Decents si rigira sul letto.

-  Sssst! Vecchiaccio! Eccoti il giornale ma non strillare.-

-  Neanche più in galera adesso si può fare il proprio comodo... e poi parlano di libertà!-

L’agente mi ha buttato una copia del Daily News. Per me va benissimo.

Fingo di leggere, strizzando gli oc­chi sotto la pallida luce azzurrina.

L’agente si è rivoltato e non bada più a me.

Il grande orologio a pendolo segna le due e dodici. E’ l’ora!

Per precauzione volto la schiena alla porta della cella. Mi caccio due dita in bocca. In fondo, attaccato ad un molare ho assicurato una minuscola bustina di plastica.

Al bavero della giacca ho appuntato tre spilli. Non devo sbagliare neanche un colpo. Ma data la piccola distanza non sarà difficile.

Strappo un grosso angolo del giornale.

Se gli agenti si voltano ora, forse capiranno...

Ma no, non pensano minimamente a me. Mi pare anzi che il sonno stia vincendoli.

Faccio tre pallottole con la carta del giornale e le metto in bocca: le mastico una per una. Lo facevo  da ragazzo,  così diventano più rotonde e più pe­santi.

Con la massima cura stacco un angolo della bustina di plastica.

Dentro c’è acido prussico: non perdona, è questione di attimi.

Immergo la punta del primo spillo, poi del secondo e del terzo.

Tutto bene. Mi sento freddo e lucido come mai lo sono stato.

Arrotolo i giornale. Prendo gli spilli avvelenati e li fisso alle pallottole di carta. Se mi dovessi pungere, morirei con le mie stesse armi!

Ma le mani non mi tremano affatto. Non corro nessun pericolo.

Arrotolo meglio il giornale e infilo dentro la pri­ma delle tre pallottole con la sua punta mortale in direzione dell’uscita della cerbottana.

Mi avvicino alle sbarre. Devo ridurre al massimo la possibilità di errore.

L’agente si volta.

-  Che diavolo stai facendo tu? -  La sua voce è sempre sommessa ma assai meno di prima.

- Sono Napoleone... e questa è la mia artiglieria...Bum... bum!-

- Smettila Queer, torna a letto e ridammi quel giornale!

L’agente si avvicina. Mi metto a strillare:

-    Nessuno mi prenderà l’artiglieria! a me miei prodi!-

Decents si sveglia di soprassalto.

-    Che succede?-

Anche gli altri due hanno aperto gli occhi. Ma so­no imbambolati. Non capiscono niente.

L’agente s’impappina.

- No… niente.. è che… niente. Niente!- Sente già su di sé le maledizioni di  Bisher che, come evocato entra con passo bal­danzoso.

-    Cosa c’è qui, eh?-

Guarda l’orologio.

-    Le due e trenta... Lo sapevo che si trattava di uno scherzo di cattivo gusto.-

-    Ispettore, dite a quel vostro agente che cambi mestiere... Mi ha svegliato con uno strillo del diavolo.-

-    Cosa? -  Bisher si volta furente verso l’agente impacciato.

-    Ma... Capo, è stato quel vecchiaccio là che...

-    Voleva prendermi l’artiglieria... Io sono Napoleone  e Napoleone non fa rumore quando attacca -  intervengo. Comincio a divertirmi al gioco.

Sulla coperta della mia brandina le altre due pal­lottole fanno bella mostra di loro. Ma Bisher non è il tipo di notare certe cose!

- Vecchiaccio, tieniti quello che vuoi, ma se fiati ancora ti prendo a pedate! E lei agente, si vergogni di mettersi a litigare con quello stronzo ubriaco!-

Vecchio Bisher grazie tante. Penso.

Trascorre un altro quarto d’ora. Devo agire.

Il      primo lieve sibilo è l’unico rumore che sottolinea la morte di Decents. Muove una mano, come per cacciare una zanzara e il braccio gli ricade su un fianco.

Lo spillo gli si è conficcato nel collo: un colpo da maestro.

Da ragazzo ero formidabile con la cerbottana e vedo che sono ancora in forma. Due altri lievissimi sibili. Le gole di Crisle e di Calish vengono trafitte con grande precisione. Trattengo a fatica un fragoroso hurrah.

 Nessuno si è accorto di nulla e meno che mai i tre ex industriali di Hollywood.

Il grande orologio segna le tre meno cinque.

Butto il giornale fuori della cella.

Uno degli agenti  si volta, borbotta qualcosa e lo raccoglie.

Mi distendo sulla brandina. Sono stanco adesso. Una sonnolenza mi intorpidisce e mi sembra di essere tra le braccia di Jane.

Ma una parte di me rimane sveglia.

Le sfere dell’orologio compiono un altro no le quattro.

Non mi è mai sembrato più lungo il tempo, proprio come dice quell’ebreo geniale il tempo è relativo.

I tre cadaveri sembrano dormire: solo piccole innocenti palline di carta parlano della tragedia o meglio la farsa.

Le cinque. Le sei. Siamo all’ultimo atto.

 Entra Bisher.

-    Niente di nuovo? -  chiede agli agenti

-    Tutto tranquillo capo! -  è la risposta.

Bisher si avvicina alle celle.

-    Lasciamoli dormire, poveracci! Non deve essere stata una buona notte per loro.-

Mi alzo e mi stiro.

-    Che ore sono ? -  chiedo con voce assonnata.

-    Le sei. Ti è passata la voglia di fare Na­poleone ?-

-    Napoleone? E chi mai ha fatto Napoleone? Non c’è Waterloo per me ispettore. Posso uscire adesso?-

Uno degli agenti si avvicina e a un cenno di Bisher. Apre il cancello della cella.

-    Alla prossima, Queer.- mi ghigna Bisher toccandomi il culo con un piede, mimando un calcio.

-    No. Addio, ispettore. Ne ho abbastanza di passare le notti, qui dentro. Da quando ci viene certa gente non è più posto per me. - e ac­cenno ai tre della cella di fronte.

-    Sì, addio fino a domani sera -  ridacchia Bisher e stavolta il calcio in culo e autentico.

 E’ l’alba. Il mondo si ridesta dopo la notte. Qualcuno non si sveglierà mai più. Helen è vendicata.

Mi avvio alla casa di Brown. La morirà per sempre The Queer.

Il   vecchio è ancora a letto.

Busso con discrezione e poi più forte. Finalmente la porta si apre. E’ Brown ! Lo abbraccio forte e lo bacio sulle guance.

-    Tutto finito, per sempre.-

-    Vuoi dire, vuoi dire che li hai fatti fuori tutti?-

- Mmh.  Fatti dentro. Fatti fuori, dentro.-

La mia voce è cupa, ma è un attimo.

-    Su, fammi bello. Voglio andare a trovare Jane.-

Il   vecchio mi sparge la crema sul viso per togliermi quel cerone speciale che mi fa­ceva sembrare mi vecchiaccio alcolizzato e intanto vuo­le che io racconti.

-    Portami carta e matita e capirai. -

Avuto il necessario, comincio a scrivere.

 Carissima Cimice,

Come potrete constatare di persona ho mantenuto la mia parola. Vi scrivo perché voglio ringraziarvi del vostro aiuto e della vostra collaborazione senza la qua­le mai sarei riuscito a sbrigarmela così bene e così in fretta.

Non me ne vorrete se ho fatto io quello che sarebbe stato vostro dovere, non me ne vorrete anche se vi ho lasciato vivo, pur sapendo quale losca parte abbiate avuto in tutta la faccenda, non me ne vorrete perché di tanto in tanto forse c’incontreremo e mi divertirò a farvi prendere qualche attacco di bile, finché un giorno o l’altro anche voi andrete a raggiungere i vostri de­gni compari.

Caso ma,i vecchia Cimice, ancora non aveste capi­to, vi dirò che per Napoleone non c’è Waterloo finché i suoi nemici sono tutti (perdonatemi il termine) stronzi come voi

Con ammirazione ed affetto sviscerato

Vostro mortissimo Jack Migol

 Il   vecchio Brown si torce dalle risa.

-    Vorrei proprio vedere la faccia di quel porco quando leggerà questo satanico biglietto.-

- Mi fai venire un’idea! Credo che la vedrai.-

-    Non fare lo stupido tu adesso ! Ne sei venuto fuori con una fortuna più unica che rara, non andarti a cacciare nei guai, per fare lo spiritoso.-

-    Ti prometto che mi accontenterò di guardare Su, voglio tornare Rob Mason!-

Le mani di Brown sono abilissime. Mezz’ora dopo mi guardo allo specchio e Mason mi sor­ride!

-    Benissimo amico ! E adesso in marcia! Voglio arrivare da Bisher prima che abbia scoperto tutto.-

-    Ma... Jack, potrebbe riconoscerti... Avere dei sospetti…-

- Chi ? Bisher ? Quello non capisce un acca. Fi­gurati se ha l’intelligenza di sospettare Mason!-

Per tutto il cammino Brown tenta di farmi desistere. Non riesco a convincerlo della sua stessa abilità.

Ecco di nuovo il familiare portone della polizia. Tutto mi sembra tranquillo. Entro. Un paio di giorna­listi stanno intervistando Bisher che sprizza gioia da tutti i pori.

-    Scusate -  dico fingendomi intimorito -  Chi di voi è l’ispettore Bisher ?-

-    Io signore. Chi siete ? Che volete?-

-    Sono Mason. Rob Mason.-

-    Che cosa volete. Sono molto occupato...

-    Stamattina, rientrando prestissimo in albergo ho trovato la mia camera distrutta da un incendio. Credo che qualcuno, credendomi a letto, abbia voluto  attentare alla mia vita.-

-    Sporga denuncia, Ashli ? Dov’è Ashli ?-

-    Non è ancora di servizio capo -  risponde un agente.

-    Ritorni tra un’ora, mister Mason.-

 Mi volto per uscire. Giunto sulla porta, mi volto e dico:

-    Ah, dimenticavo Mentre stavo entrando un vecchio mi ha dato questo biglietto per voi, ispettore.-

Consegno il messaggio e sto a guardare la faccia di Bisher tingersi di viola, lascia cadere il biglietto e si precipita nella cella dove stanno i tre cadaveri.

I giornalisti raccolgono il biglietto e lo seguono tempestandolo di flash.

  

CAPITOLO XXIII

 Il   povero ispettore si butta sul cancello della cella. Apre la bocca per chiamare. Ma non esce nessun suono. Nel frattempo il tenente Ashli varca la soglia dell’uf­ficio.

-    Cosa succede ? -  domanda senza ottenere risposta.

Uno sguardo alla faccia di Bisher gli è sufficiente. Afferra le chiavi della cella e scostato l’ispettore che manda strani mugoli, apre.

Non ha bisogno di scuotere i cadaveri. Ha visto le mie palline e ne estrae una dai corpi delle vittime.

- Goddam... -  mormora.

- Chi è lei? -  E’ Ashli che mi rivolge la parola.

- Sono Rob Mason. Sono venuto per denun­ciare un tentativo di assassinio.-

Gli occhi del tenente si fissano nei miei.

Meno male che Brown mi ha messo delle lenti azzurre.

- Lei è quello dell’Hotel Plaza?-

- Esatto. Han messo una bomba nella camera sotto la mia. La camera era vuota. Fortuna che ero uscito.-

- Lei è quello con la gamba rotta? - 

- Ferita, non rotta.-

- L’avevano dato per morto.-

- Sono vivo per puro caso.-

- Va bene, mister Mason. Abbiamo già fatto un sopraluogo. Tornerò al Pla­za, nel pomeriggio.-

-  Grazie signore. -  

Posso uscire. Fuori, dietro l’angolo c’è Brown. Quasi non crede ai suoi occhi quando mi vede apparire, libero e solo.

Dopo alcuni metri lo abbraccio e lo saluto. Sono commosso e lui più di me.

Si allontana col suo passo incerto. Senza voltarsi.

Mi precipito al Plaza. Stavolta il cameriere mi fa un profondo inchino. Ma poi s’alza di scatto e mi guarda con aria stralunata. Crede d’aver visto un ca­davere evidentemente.

Faccio chiamare il maitre.

- Mi riconoscete ?-

- Dov’è miss Jane? -

- Al primo piano signore. Mi dispiace tanto per quello che è successo, ma le rifonderemo tutto se...-

Non ascolto più nulla. Sto già zoppicando veloce su per le scale.

Apro tutte le porte e finalmente:

-    Jane ! -  Mi butto su di lei.

-    Rob! -  Mi spalanca le braccia.

E’ il bacio più lungo, più meraviglioso, più ardente della mia vita.

-    Per un po’ abbiamo creduto che fossi morto! Il letto era distrutto carbonizzato e il pavimento crollato… -  e mi tocca quasi per accertarsi che non sono un fantasma.

-    Si, sono vivo e lo sono ! Partiremo, andremo lontano, vuoi ?-

-    Oh Rob!-

-    Ci sposeremo e ce ne andremo via per sempre da tutto questo.-

Esco. Sono felice.

Giù nel portone c’è Ashli. Speriamo che non abbia scoperto nulla.

-    Mister Mason... -  Il suo tono mi sembra normale - Ho trovato il colpevole.-

-    Siete bravi qui allora!-

Solo adesso mi accorgo di due agenti che tengono un uomo, piuttosto robusto, per le braccia.

-    Eccolo qui. Ha confessato.-

-    Ma io non ho mai visto quest’uomo ! -  escla­mo, cercando di mantenermi calmo perché ho riconosciuto uno degli uomini di Decents.

- Neanche lui credo vi conosca.-

-Ma allora, perché? -  fingo la più candida ingenuità e mi pare che Ashli ci caschi in pieno.

- Vede caro signore, questo è solo il mezzo... E’ il braccio a cui da stamani manca la testa.

Capisco  ma non devo farmene ac­corgere.

- Non capisco...-

- Semplice -  il buon Ashli si diverte -  Il nome di Decents non le dice niente ?-

-       Decents ? Ho qualche affare con lui ed è anche un mio caro amico.-

- Questo vostro caro amico è morto stanot­te. Prima però ha cercato di assassinarvi.-

- Non posso credere una cosa simile. Io...-

- E’ stato il vecchio a ordinarmi di farti fuori e  a dire la verità credevo di aver fatto un bel lavoro.

Mi guarda dispiaciuto di vedermi vivo.

- Ora non ha più nulla da temere. Decents è morto.- Ashli tenta di rassicurarmi, ma una brutta piega sulle labbra del prigioniero mi convince che le parole del tenente non corrispondono affatto a verità.

- Il nostro uomo non sembra di questo parere -  azzardo.

Ashli lo guarda in faccia:

- Sputa tutto se non vuoi finire sulla sedia elet­trica.-

- Non ha bisogno di minacciarmi, io col vecchio ci stavo bene e se ci fosse ancora lui... Ma con quel di­lettante del figlio, puah ! -  Sputa sul pavimento.

- Non mi pare il posto più adatto per continuare questo discorso -  dico guardando la gente che ci guarda incuriosita.

-    Che cosa sta tramando Mel Decents ? -  Ashli sembra interessato alla cosa.

Il killer increspa ancora le labbra. Sta per parlare quando un colpo silenziato gli manda una pallottola dentro il cranio. Gli schizzano gli occhi dalle orbite. Una macchina nera, sprovvista di targa, svolta in fondo alla strada.

Gli agenti si gettano all’inseguimento.

-    Questo era per lei .- dice il tenente.

-    Non credo. Troppo preciso. Era per lui.- e indico l’uomo steso al suolo.

-    Doveva testimoniare.-

-    Io parto. Qui tutti mi sembrano impazziti.-

-    Forse è meglio, mister Mason. - 

Torno su da Jane. Sta preparando un Martini.

- Due amore -  e la bacio dietro un orecchio.

-    Hanno tentato nuovamente di farmi fuori!-

-    Ancora ! -  Jane è costernata. E’ bellissima.

 I suoi occhi blu mi mandano fuori di me. Tutto il mio controllo quando mi guarda va a farsi benedire.

- Ma dimmi amore: perché ce l’hanno con te? –

- E’ una storia lunga e forse un giorno te la racconterò…-

FINE

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